Laureate e Senza Lavoro (o Perennemente Precarie): 8 Cose Che Solo Noi Possiamo Capire

Tutte quelle di noi che dopo essersi laureate si sono tuffate nella ricerca di un lavoro sanno bene quale sia la situazione: porte in faccia, silenzi, troppa esperienza, mancanza di esperienza, "contrattini" e via dicendo. Ecco in 8 punti ciò che possiamo capire noi che siamo laureate, disoccupate o eternamente precarie.

Ma chi se la immagina, a metà 2016 inoltrata, la vita post laurea di due, tre o quattro decenni fa (tenendo conto che le lauree a quel tempo erano molto più rare rispetto a oggi e potremmo quindi parlare anche di vita post diploma)?

Riepiloghiamo brevemente: si prendeva l’agognato pezzo di carta, su pezzo di carta differente si vergavano a mano gli studi effettuati – a nessuno sarebbe venuto in mente di chiedere conto di improbabili skills (ma poi, “capacità” pare tanto brutto?), si faceva un colloquio, al massimo due o tre nella peggiore delle ipotesi e… magia! Dal giorno successivo si materializzavano un contratto a tempo indeterminato (pare ne siano rimaste tracce nei musei d’arte antica), una scrivania, un telefono, una segretaria e… basta. Da lì alla pensione era tutto futuro. Si poteva scegliere al massimo di essere un lavoratore “medio” o un dipendente rampante che sarebbe arrivato a fine carriera con un grado elevato e un ruolo prestigioso. Stop.

Vogliamo parlare della nostra vita post laurea? Di quello che tocca attraversare a noi più o meno amanti dello studio da almeno 15 anni a questa parte? E allora parliamone: di sicuro è un argomento su cui siamo tutte skillatissime!

1. Quando “Le faremo sapere” è già una vittoria

vita post laurea le faremo sapere
Fonte: Web

Oh, là. Dopo anni di sudate carte, abbiamo il nostro titolo tra le mani. Incredule, fiere, sognanti. Ora ci rimane “soltanto” un lavoro da trovare. La nostra scrivania è zeppa di riviste dall’ammiccante titolo “Trova lavoro subito” e affini che consultiamo con un occhio, mentre con l’altro non molliamo nemmeno per un secondo il monitor del pc. E se l’offerta giusta per noi si palesasse proprio ora e noi non fossimo pronte a coglierla?

A fine giornata abbiamo collezionato decine di ruoli per cui il nostro profilo sembra (meglio, sembrerebbe) calzare a pennello e altrettanti indirizzi email cui inviare il curriculum. Lettera di presentazione personalizzata, allega cv, invia. E così avanti per decine di volte.

Di giorno in giorno, pero, speranza ed entusiasmo si affievoliscono. L’unica risposta che otteniamo è quella dell’ingegner Tal dei Tali che ci avvisa, bontà sua, di essere in ferie e che quindi proprio non potrà leggere la nostra mail. Un mese dopo siamo quasi pronte a seppellire la speranza, sei mesi dopo siamo alla disperazione, oltre che sul lastrico.

Ma il brivido finale alla Hitchcock non risparmia proprio nessuno: 12 mesi dopo, quando (forse) avremo trovato il lavoro dei nostri sogni, l’ingegner Tal dei Tali ci chiamerà: “Buongiorno signorina, è ancora interessata a portarmi caffè da mane a sera? Aveva mandato domanda…”. “Sì ingegnere, le avevo mandato un curriculum… sì e no quando ero all’asilo!”.

2. Uno stage tira l’altro

Uno stage dopo l'altro precarie laureate
Fonte: Web

Che il cosiddetto stage o tirocinio fosse obbligatorio o facoltativo nel nostro piano di studi, nessuna di noi si è salvata: tutte, ma proprio tutte, siamo state battezzate almeno da qualche mese di stage. “Poco male – ci dicevamo – peccato per il lato economico ma almeno imparerò qualcosa. E comunque c’è un rimborso spese”. “Infatti – rincaravano la dose genitori e amici – per giunta è proprio nel settore che piace a te”. E la nonna, ingenua e speranzosa, aggiungeva che “brave come siamo alla fine ci avrebbero assunto di sicuro”. Insomma, entusiasmo a mille. Finché non mettiamo piede in ufficio.

Se ci dice proprio bene, se abbiamo un lato B grande come Saturno o se portiamo un cognome di quelli che proprio non si possono ignorare (intendiamoci, nulla si toglie alla professionalità, nel caso), abbiamo un ufficio. Uno stanzino per le scope, magari, o l’antibagno, ma pur sempre un ufficio. In tutti gli altri casi saremo destinate a trascorrere il nostro intero periodo di stage sedute accanto a un altro dipendente che ci urterà continuamente con i gomiti e sbufferà senza soluzione di continuità a causa della nostra presenza: “Come non avessi abbastanza da fare, mi appioppano pure la stagista. Senti, io non ho tempo per insegnarti, preparami un caffè e fammi 100 fotocopie“. Giorno uno così, giorno due idem, giorno tre uguale e così via. Fino all’agognata giornata di paga: evviva! Ah, no: è il momento in cui scopriamo che il nostro rimborso spese basta al massimo per dar da mangiare al pesce rosso. Poco male, non vogliamo demordere e continuiamo a vedere la boccia mezza piena: il nostro tirocinio sta per terminare, sicuramente ci faranno la classica “proposta che non si può rifiutare”.

Proposta che, di solito, si traduce in una stretta di mano e un arrivederci (se in azienda sono proprio educati) o, nelle evenienze più fortunate, nell’invito a firmare un contratto a progetto. Qual è il progetto? Non è dato sapere. E lo stipendio? “Commisurato alle reali capacità”, quindi pari a quello dello stage.

“Ci penso, grazie”. Come quando non ci piace la gonna che abbiamo provato e non vogliamo far brutta figura con la commessa. 

3. Laureate con esperienza

laureate e precarie un cv per ogni selezione
Fonte: Web

Ok, non sarà stata l’esperienza professionale più esaltante della vita, ma almeno il nostro stage è archiviato, qualcosa ci ha lasciato e finalmente possiamo sentirci libere di tuffarci nel mondo del lavoro “vero”. Ci azzardiamo persino a rispondere ad annunci che offrono lavoro a “laureati con esperienza, anche breve”: la laurea c’è, l’esperienza breve pure. Quindi inviamo, che problema c’è?

I risultati, in percentuale, non sono da fuochi d’artificio, ma qualche colloquio riusciamo a ottenerlo. Ci presentiamo col nostro miglior sorriso e sfoderiamo tutto il carisma che ci ha consentito di laurearci col massimo dei voti.

Alla fine dell’incontro, quando siamo convinte che il colloquio sia andato benissimo e siamo praticamente certe che stiano per sottoporci il contratto, arriva la doccia fredda (ma l’avevamo fatta prima di uscire!). Di solito il nostro interlocutore si esprime in questo modo: “Signorina, lei è certamente molto sveglia, si vede. Ma dal curriculum ci aspettavamo qualcosa di diverso“. In che senso? “Abbiamo bisogno di una persona più giovane rispetto ai suoi 24 anni e molto più esperta. Inoltre pensavamo che la sua conoscenza delle lingue, per quanto siano solo due contro le quattro che generalmente chiediamo, fosse di livello madrelingua, il suo Erasmus ci ha tratto in inganno. Mi dispiace. Faccia esperienza e si rifaccia sentire”.

Ma se stavamo studiando, dove potevamo trovare il tempo per fare esperienza, se non con contrattini, stage o lavoretti in pizzeria? E se avessimo lavorato a tempo pieno facendoci un’esperienza, dove avremmo trovato il tempo per laurearci in tempo e il modo di fare un Erasmus? 

Come cantava Enrico Ruggeri, “Mistero”. 

4. Laureate con troppa esperienza

vista post laurea
Fonte: Web

Abbiamo imparato la lezione. Almeno così pensiamo. Disperate e bisognose di un lavoro, decidiamo di costruircela dal basso e con dignità, questa benedetta esperienza. Facciamo un giro in città fotografando tutte le vetrine che abbiano apposto un annuncio di ricerca personale e visitiamo i siti delle catene di abbigliamento e di fast food più note.

Inviamo la domanda a tutti, specificando nella lettera di presentazione che sì, siamo laureate, ma che prendiamo in considerazione senza problemi qualsiasi mansione onesta  e che ci piacerebbe iniziare “dal basso” per poi costruirci piano piano un’esperienza. In fondo lavorando a contatto col pubblico impareremo ad avere a che fare con le persone, potremo esercitare le lingue, fare pratica in cassa e apprendere nozioni specifiche della mansione che andremo a ricoprire. Interessante, no?

Ci invitano a colloqui che, curiosamente, seguono tutti il medesimo copione.

“Buongiorno, stiamo cercando giovani che abbiano voglia di lavorare”.

“Eccomi”.

“Se si impegnerà potrà crescere molto rapidamente, crediamo nei giovani e nel merito. Vediamo il suo curriculum”.

Un minuto di silenzio. Due minuti di silenzio. Tre minuti di silenzio. Un abisso di silenzio.

“Signorina, ma lei ha una laurea specialistica col massimo dei voti, ha fatto un Erasmus, parla correntemente due lingue straniere e ha frequentato un master“.

“Sì, certo”.

“Mi dispiace, il nostro colloquio finisce qui: è evidente che un profilo come il suo sia molto ricercato (dalla polizia, forse, ndr) e che quindi lei ci lascerà non appena troverà un posto migliore, come merita. Arrivederci. E in bocca al lupo“.

Almeno, alla fine di tutto questo, una lezione l’avremo imparata davvero: il curriculum onesto non paga. Il segreto è taroccarlo ad arte in base alla posizione per cui ci stiamo candidando. E non per falsità nostra, ma perché ci costringono a farlo.

Mandiamo la domanda di assunzione in un fast food? Qualifica professionale, conseguita con fatica, un anno da lavapiatti a Londra, esperienza nella cucina di nonna e mamma e tanta, tanta voglia di lavorare. Lo studio? Macché, non fa per noi.

Non ci verrà voglia di laurearci prima o poi? Giammai, piuttosto l’inferno.

5. AAA Cercasi ragioniere per far quadrare i conti

lavoro precario post laurea
Fonte: Web

Arranchiamo di giorno in giorno, barcamenandoci tra l’ennesimo stage, un ulteriore contratto a progetto (il progetto rimane sempre ignoto) e un contratto a tempo determinato di un mese rinnovabile al massimo per un altro mese. 

Intanto il tempo passa, noi diventiamo grandi e chiedere la paghetta ai genitori ci imbarazza sempre più. Per questo cerchiamo in tutti i modi di fare economia – da quanto tempo non ci compriamo una t-shirt? – ma se i soldi non ci sono, non ci sono.

E anche la vita si mette di buzzo buono per dilapidare gli ultimi brandelli di dignità che ci rimangono. Quando cerchiamo di prelevare al bancomat, il monitor, anziché restituirci la lista delle operazioni possibili, ci presenta un’emoticon che ride a crepapelle, sino alle lacrime (le nostre). E quando, arrivate di corsa in stazione per andare all’ennesimo inutile colloquio, dobbiamo comprarci una bottiglietta d’acqua per evitare di morire di sete, ci vediamo costrette a chiedere lo sconto al distributore automatico… 

Guai a chi osa chiamarci taccagne. 

6. Ufficio con vista (sulle vacanze altrui)

lavoro precario post laurea
Fonte: Web

Naturalmente, quando si vivono situazioni come la nostra, ci sono momenti in cui lo sconforto ha la meglio, purtroppo: ci chiediamo se per caso non siamo noi le mosche bianche che pensavano di poter combinare qualcosa nella vita e invece sono solo delle perfette incapaci; ci immaginiamo amici e compagni di studi felici, “indeterminati” e rampanti pronti a fare il salto verso la direzione generale.

Quando torniamo lucide, però, facciamo l’unica cosa da fare in questi casi: chiamiamo i suddetti amici e compagni di studi e chiediamo come vada a loro. Con nostra sorpresa, noi – con il nostro contratto che è arrivato addirittura a una sostituzione maternità – siamo tra le meglio sistemate. Molti dei nostri contatti non lavorano e si sono persino stancati di cercare e gli altri sognano un contratto a progetto di 15 giorni manco fosse un biglietto vincente di una lotteria milionaria. Si dicono disperati, senza un euro, tanto che i fumatori incalliti avrebbero persino smesso di fumare per risparmiare e le modaiole indefesse ormai si confezionerebbero i vestiti da sole. 

Vista la premessa, la domanda sorge spontanea: come mai quando noi, in pausa pranzo nel nostro ufficio con la lunch box portata da casa per risparmiare, apriamo la nostra finestra sul mondo (leggi: Facebook) e scorriamo la timeline, vediamo i sopraccitati personaggi impegnati in party a base di champagne, sdraiati su spiagge caraibiche e localizzati in un aeroporto una settimana sì e l’altra anche?

La risposta ce l’ha sempre Enrico Ruggeri: “Mistero”. Ma forse, stavolta, un aiuto potrebbe darlo anche Cesare Cremonini: “PadreMadre”. 

7. Colleghi brava gente

colleghi lavoro post laurea
Fonte: Web

Finalmente ce l’abbiamo fatta: abbiamo un contratto a tempo indeterminato. Non possiamo dire che sia il lavoro dei nostri sogni, ma dopo tutte le traversie che abbiamo vissuto non ci metteremo certo a fare le schizzinose.

Ma ai sogni infranti uno dietro l’altro se n’è dovuto aggiungere un altro: pensavamo che fosse possibile stringere rapporti amichevoli, o comunque cordiali, con i colleghi e invece ci sbagliavamo. Un’altra volta.

Siamo le più giovani dell’ufficio e, senza false modestie, siamo anche carine. Inutile dire che le arpie del terzo piano, secondo noi donne del tutto piacenti sui quaranta, ci odiano a morte per la nostra ostinata assenza di cellulite e rotolini. Gli uomini, ovviamente, non risparmiano battutine e soprattutto battutacce, pronunciate a voce eccessivamente alta soprattutto quando ci sono capi in vista, provocandoci rossori in viso che in confronto Giove è il candore fatto pianeta. 

Stagiste/i, determinate/i e progetti non ci possono vedere nemmeno dipinte. Il fatto che noi, dopo una gavetta in cui abbiamo sputato sangue, lavorato giorno e notte per un tozzo di pane e un bicchiere di latte e abbiamo ingoiato rospi grossi come castori uno via l’altro dev’essere sfuggito grossomodo a tutti. Di sicuro, dicono, siamo raccomandate. E/o abbiamo una storia con il boss. Anzi, entrambe le cose. Raccomandate e pure facili. Di professionalità nemmeno si parla: chi la conta più, quella?

8. Indeterminato a chi?

 

contratto a tempo indeterminato
Fonte: Web

Concediamocelo: dopo gli stage, i colloqui andati male, i contratti improbabili, le mansioni ancora più improbabili e i periodi di magra, il nostro contratto a tempo indeterminato – per quanto ovviamente non milionario – ci suscita entusiasmo e felicità. Così ai nostri genitori e pure alla nonna. Tutto legittimo, normale e bellissimo.

E invece no. Potevano mancare capi, colleghi e “amici” che a ogni occasione buona ci ricordano che tanto, ormai, “i contratti a tempo indeterminato non valgono nulla perché se ti vogliono licenziare lo fanno comunque?”.

Amiche, ci teniamo a chiarire che questo articolo intende affrontare, pur in chiave evidentemente ironica, i problemi che realmente molti neo laureati si trovano ad affrontare quando entrano in contatto con il mondo del lavoro. Accantonando gli scherzi, sappiamo fino troppo bene che disoccupazione e precariato sono piaghe gravissime che, stando al peggioramento costante della situazione, sembrano non avere soluzione. Sappiamo anche che molte di voi si trovano in situazioni drammatiche a causa della mancanza di lavoro. A tutte le amiche in questa condizione non possiamo che augurare di trovare quanto prima, e finalmente, il posto di lavoro che tutti meritiamo per poter avere una vita dignitosa e per poterla garantire ai nostri casi. In bocca al lupo a tutte, amiche. 

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