Pubblicata originariamente il 15 luglio 2016, all’indomani dell’attentato a Nizza con il titolo
Lettera a un figlio dopo Nizza: “Non posso proteggerti e non lo farò”

Quando da bambina immaginavo di tenerti tra le braccia senza sapere di che colore sarebbero stati i tuoi occhi e quanta fatica e notti insonni richiede la gioia, pensavo che ad accoglierci ci sarebbe stato un mondo migliore.

Ti guardo dormire, dalla foto sullo schermo del mio smartphone. I nonni mi hanno appena scritto che la febbre di ieri è passata e stai facendo le nanne nel lettino.
Ti immagino così, come nella foto: supino, ma con il busto avvitato su un lato, la testa all’insù e le manine giunte all’altezza del nasino. Dormi sempre così. So, con la certezza di una madre, che lo stai facendo anche ora.

C’è una bambola sulla Promenade des Anglais di Nizza. Ha un vestitino rosa e fa le nanne vicino a una delle vittime della follia umana. Mi chiedo se sia una bambina, la sua “mamma per gioco”, o la madre di lei, la zia, un’amica, una donna che passava per caso. Mi chiedo se sia un papà, un figlio, uno studente, un uomo cui lei, perduta nella ressa, è rimasta vicina, pur non conoscendolo, come a fargli compagnia.

Vorrei correre da te, abbracciarti e chiederti scusa. Pensavo a un mondo migliore anche quando ho visto quelle due righe rosa che mi hanno detto che c’eri e mi hanno fatto paura, prima di capire che la felicità può farne. E tanta.

Vorrei chiederti scusa per questo mondo dove una bambola con il vestito rosa della festa, coccolata e desiderata, finisce accanto a un corpo che, fino a un momento prima, era una persona che stava parlando, magari sorridendo. Aspettava qualcuno? Si era messa il vestito buono per piacere a quegli occhi? Era arrabbiata? Magari triste in mezzo a quella folla gioiosa che guardava i fuochi? O stava ballando e seguendo i bagliori sul mare con il naso all’insù, come faresti tu? Chi l’aspettava a casa? E oggi: a quale appuntamento non si è presentata? Quale scadenza o incombenza mai arrivata la metteva in ansia?

Vorrei dirti di non preoccuparti. Che saprò proteggerti. E tu mi crederesti, perché pensi davvero che tra queste braccia o tra quelle di tuo papà non possa succederti nulla.
Vorrei non prendere in considerazione neppure per un attimo il fatto che avesse ragione chi mi disse, tempo fa, che per il solo fatto di voler mettere al mondo – in questo mondo – un figlio, ero un’incosciente egoista.

Vorrei poterti dire che tutto questo ha un senso. I ragazzi morti al Bataclan, gli uomini trucidati a Dacca, le vittime di Bruxelles, Instanbul, i vignettisti irriverenti di Charlie Hebdo, Aylan, il bambino sulla spiaggia e tutti quelli che non hanno avuto neppure la dignità di un nome. Come le migliaia di persone le cui vite si dissolvono, ogni giorno, all’improvviso, fatte brillare come fuochi di artificio, in Paesi che non fanno notizia.

Vorrei dirti qualcosa di cui tu, in questo momento, non chiedi ragione e non senti il bisogno, nella meraviglia fiduciosa dei tuoi 5 mesi e di un mondo piccolo come te, cui bastano queste mie braccia per dormire e morsichetti sul pancino per farti ridere felice.

Vorrei dirti che, se guardo al futuro, ho paura e sono arrabbiata al solo rendermene conto, perché il mio futuro è la prima volta in cui mi dirai “mamma”, i tuoi passi incerti, un tuo brutto voto a scuola per cui dovrò riprenderti, altre notti a controllare che la febbre non salga troppo, bacini sbavosi e manine appiccicose sul mio vestito nuovo, la porta chiusa della tua camera quando lei ti lascerà, rimproveri per errori che io faccio ancora oggi, film sul divano stretti stretti con papà che si arrabbia perché non ricordo mai i nomi degli attori, tu che non chiami per giorni e io che aspetto, paziente.

No, amore mio, io non voglio avere paura del futuro. Perché la paura pietrifica, ti schiaccia a terra, ti toglie la libertà, ti fa guardare le altre persone con diffidenza, ti impedisce di prendere un aereo e andare a esplorare questo grande mondo.

No, piccolo, per la tua vita darei la mia, da 5 mesi so cosa vuol dire, e ti proteggerò come ogni madre protegge suo figlio, ma non ti metterò sotto una campana di vetro, non ti terrò fuori da questo mondo, lontano da qualsiasi persona sia in qualche modo “diversa”, né ti dirò di temerla per questo. Non posso proteggerti da tutto questo e non lo farò. Non farò di te un uomo spaventato, sfiduciato e rinchiuso in una gabbia dorata.

Perché una gabbia, per quanto possa essere d’oro, è sempre una gabbia. E io voglio che tu sia libero. Voglio insegnarti a essere curioso, a prendere tutti gli aerei e i treni che potrai e vorrai prendere, a lasciarmi indietro per inseguire i tuoi sogni. Voglio costruire con te un mondo migliore.

Non posso proteggerti da tutto questo. Accadrà ancora. Perché l’uomo è anche questo, assenza di umanità. Non posso proteggerti, ma ti mostrerò che c’è tanta bellezza da farti piangere più del dolore, ma lacrime diverse. Solo, in genere, la bellezza fa meno rumore, richiede attenzione, cura… ma ne vale la pena.

Non ti chiederò scusa. Perché incontrerai tante persone che strazieranno il tuo cuore, calpesteranno i tuoi sogni e non capiranno. Ma so anche che incontrerai uomini degni di tale nome. E quando poi la tua strada incrocerà quella di una persona che saprà mostrarti la parte migliore di te che neppure tu riuscivi più a vedere, basterà che questa ti prenda per mano e ti accarezzi i capelli e tu saprai che ne è valsa la pena.

Ti guardo dormire e lo so. Non posso proteggerti dal male. Ma posso insegnarti a non farti rubare la vita e la gioia dalla paura che questo ci tocchi e che una bambola si posi vicino a noi o a qualcuno che amiamo.

Insieme a questa straziante lettera non possiamo fare altro che proporvi la visione di questo esperimento sociale sulla fiducia umana:

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