Il dramma dei bacha-bazi: i bambini schiavi sessuali che ballano vestiti da femmina

La pedofilia ha molti nomi e bacha-bazi, in Afghanistan, è uno di quelli. Letteralmente, "bambini per gioco". Ma forse sarebbe più corretto tradurre come "giocattoli", giocattoli bambini. I bacha-bazi hanno un solo scopo, e cioè soddisfare i bisogni dei loro proprietari.

La pedofilia ha molti nomi e bacha-bazi, in Afghanistan, è uno di quelli. Una parola di fronte alla quale nessuno inorridisce perché si tratta di una tradizione accettata e, tutto sommato, normale. Legale, quello no: la pratica è contraria alla convenzione sui diritti dell’infanzia e la legge afghana non la la ammette. Ma pare più che disposta a chiudere un occhio, mentre gli abusi proseguono come se niente fosse.

Chi sono (e da dove vengono) i bacha-bazi

Sono ragazzini, età media fra gli 8 e i 14 anni. Alcuni sono rapiti per strada, altri presi direttamente dagli orfanotrofi. Ma i casi più gravi sono quelli in cui vengono venduti dalle loro stesse famiglie. Succede quando la povertà raggiunge livelli troppo alti e i loro genitori non riescono più a mantenerli.

In realtà c’è anche un altro, forte incentivo: l’identità di chi li compra. Si tratta sempre di uomini ricchi e importanti. Politici, alti ufficiali, uomini d’affari. Persone che fanno parte di una cerchia troppo potente perché qualcuno possa pensare di ribellarsi: non si oppone la legge, figuriamoci le persone più umili ed emarginate. Possedere un bacha-bazi è uno status symbol, denota ricchezza e prestigio sociale. E così questi bambini vengono portati via dalle loro case e spogliati della loro identità.

Che significa “bacha-bazi”?

Letteralmente, “bambini per gioco”. Ma forse sarebbe più corretto tradurre come “giocattoli”, giocattoli bambini. I bacha-bazi hanno un solo scopo, e cioè soddisfare i bisogni dei loro proprietari. La loro identità viene calpestata: questi ragazzini – sono sempre maschi – vengono truccati, agghindati e vestiti con abiti femminili. Imparano a ballare con grazia, in modo sensuale, e sono costretti a esibirsi alle feste dei loro proprietari.

E non è neanche la parte peggiore, perché al termine dello spettacolo subiscono stupri e violenze carnali. Da parte sia dei padroni che, spesso e volentieri, dai loro ospiti. Il “bambino danzante” è uno schiavo sessuale e, come tale, può essere prestato ad altri per qualche ora.

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L’adolescenza dei bacha-bazi prosegue nell’impotenza, scandita dalle prove di canto e danza e dalle violenze dei loro padroni. È la loro stessa identità (e non solo di genere) ad essere stuprata, perché vengono regolarmente picchiati, umiliati e trattati come oggetti. Questo, chiaramente, ha ripercussioni gravissime sulla loro psiche.

A 18 anni vengono liberati, ma ormai il loro futuro è compromesso. Esibirsi alle feste dei loro proprietari li rende riconoscibili e marchiati a vita. A volte capita che gli ex bacha-bazi incontrino in giro i conoscenti dei loro padroni di una volta: spesso queste persone non si fanno problemi a violentarli di nuovo, perché ai loro occhi non sono persone e mai lo saranno.

Perché nessuno fa niente?

Il fenomeno dei bacha-bazi è stato denunciato nel 2010 dal giornalista Najibullah Quraishi, che ha diretto il documentario “The dancing boy of Afghanistan”. Ma solo negli ultimi mesi si stanno prendendo i primi, seri provvedimenti contro questa pratica. Il codice penale afgano potrebbe introdurre il reato di violenza sessuale proprio in questi giorni: sarebbe un enorme passo in avanti.

Come abbiamo detto, le famiglie di questi bambini non hanno il coraggio di ribellarsi. E loro? Come mai nessun bacha-bazi, mai, denuncia i suoi proprietari? Non è solo il timore dei padroni a frenarli, ma anche la paura della legge. Perché quella legge che dovrebbe difenderli può invece giudicarli colpevoli di due diversi reati: omosessualità (loro, non i padroni!) e prostituzione. La vita di un bacha-bazi è già impossibile di per sé; non c’è da meravigliarsi che una persona venduta, violentata ripetutamente, e a cui sia stata tolta la sua identità, non abbia la forza di opporsi. C’è da sperare che finalmente, ora che il caso ha raggiunto una fama mondiale, la legge afghana dia una svolta alla situazione.

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