Ketty Passa, chi è la fata punk dai capelli turchini
Abbiamo conosciuto Ketty Passa, la cantautrice dai capelli turchini, e ve la presentiamo.
Abbiamo conosciuto Ketty Passa, la cantautrice dai capelli turchini, e ve la presentiamo.
Una bambina che gioca con il suo micio nero e ci ricorda l’importanza di essere complici con se stessi, di amarsi e non solo accettare la diversità, ma riconoscere in essa le infinite possibilità di bellezza. Lei è “Caterina”, il secondo singolo della cantautrice dai capelli turchini Ketty Passa. L’album, “Era Ora”, ha uno stile tutto suo e ricorda quello americano urban, tra l’electro rock e il tribal hip hop, che è insolito sentire in italiano ed è stato finanziato da una campagna su Musicraiser, superando i pronostici e mostrando che ancora prima dell’uscita del disco, sono già in molti i fans della cantautrice dai capelli turchini.
Ma chi è Ketty Passa, artista poliedrica figlia della Brianza e dell’Italia del sud.
Cominciamo da “Caterina”. “Ciao, sono sbagliata, ma sono fatta così”. Perché Ketty-Caterina è sbagliata? Quanto sono autobiografiche le tue canzoni?
Giusto, in effetti è partito tutto da Caterina, è stato il primo brano che ho chiuso del disco.
L’ accezione di “sbagliata” in Caterina ha una connotazione da una parte provocatoria, dall’ altra consapevole.
Troppo spesso ci si sente sbagliati per quello che siamo, quindi ad un certo punto o ci si adatta ai “pattern” che impone la società, o si fa pace con se stessi portando avanti e a testa alta la propria diversità.
Se ci crediamo noi, dovranno farlo anche gli altri, prima o poi.
I miei brani sono molto autobiografici, partono da mie esperienze e prese di coscienza, ma sono anche collegati a racconti di amici e parenti che mi sono ritrovata a condividere.
Altre tre citazioni dai tuoi brani che ti rappresentano.
“Voglio fare solo cose semplici, se vuoi stare qui prendimi così”
“Tanto tempo fa io non avrei capito che i dubbi pesano”
“Essere libera di fare quello che mi piace, dovrebbe rendermi felice e invece a tratti mi dispiace”
E ora partiamo dall’inizio. Raccontaci di te, chi è Ketty Passa prima dell’album “Era ora”.
Ketty Passa prima di “Era Ora” era una persona incompleta, con un mostro all’ altezza del ventre che sentiva continuamente il bisogno di fare uscire, ma meno coraggiosa di oggi, quindi meno capace di fare qualcosa di buono per se stessa, con il rischio consapevole di farsi anche del male.
E torno a parlare in prima persona: verso i 18 anni ho avuto una malattia molto tosta, che mi ha fatto toccare con un dito l’aldilà, ma sono rimasta da questa parte per qualcosa che a noi umani piace definire “miracolo”, e da quel giorno ho capito quanto sia breve la vita e quanto sia necessario vivere assecondando tutte le energie da cui siamo investiti.
Nonostante questo, dati i tempi, il mio carattere molto lunatico e sensibile, il fatto che partissi totalmente “sola” a fare questo viaggio non avendo parenti nel settore o comunque musicisti in casa, nel cammino della cantautrice mi ci sono buttata alla soglia dei 30 anni, ed ho già fatto in tempo a darmi dell’ idiota per questo, e successivamente a capire quanto invece fosse giusto così, per il percorso di vita che ho avuto e per le esperienze che forse prima di scrivere il mio disco solista d’esordio avevo bisogno di masticare.
Perché questi “capelli turchini” da fata tatuata moderna di Collodi? C’è un riferimento?
I capelli turchini sono stati il primo atto di coraggio di cui parlavo sopra; ho sempre vissuto con la paura di deludere chi mi stesse intorno, a partire dalla mia famiglia.
Poi un giorno mi sono svegliata e mi sono detta: “li voglio da 10 anni, oggi lo faccio, sono gli altri che devono accettare che io sono fatta così, e che mi sento bene così”.
Quel giorno coincideva con l’inizio di questa nuova fase, della nuova scrittura, delle scelte drastiche di abbandoni e nuove conquiste, che con connotazione poetica amo definire PERIODO BLU.
Poi ovviamente ci metto anche l’amore per il punk come look, stile e anche musica, quindi in qualche modo il capello “fluo” rappresenta la parte più selvaggia di me.
La fata di Collodi c’entra poco, forse c’entrano più i miei idoli di sempre che sono le metafore esatte delle due parti più sviluppate di me, ovvero LAMU, il manga che rappresenta la mia parte femminile e romantica (ma non le mie tette), e TANK GIRL, il fumetto inglese di Hewlett e Martin (padri anche dei Gorillaz) che rappresenta la mia parte più zarra, selvaggia e sbadata.
Il tuo album propone un genere musicale insolito per un’artista che sceglie di cantare in italiano. Come lo definiresti e come si è formato questo tuo gusto musicale.
Questo genere musicale per comodità di scelte sonore è stato già definito “URBAN”, ed è molto sviluppato in America, in Italia non esiste ancora una vera scena, ma come sonorità diciamo che si avvicina a quella hip hop. Da quando sono piccola ho coltivato la passione della danza associata a quella musicale, e mi sono sempre detta “se scrivo il mio disco, deve suonare così”.
Quali sono i riferimenti musicali che hanno ispirato la tua carriera. Italiani e non.
Io amo il crossover nella musica, adoro incrociare tutte le subcultura musicali con qualcosa di più mainstream, credo che il concetto di URBAN si definisca proprio in questo, esattamente come fanno in America anche le cantanti più famose, tipo M.I.A., Gwen Stefani, Rihanna, Beyoncé, Sia.
Loro lavorano cantando melodico sui beat che genericamente vengono più utilizzati per la scrittura in metrica del Rap, e per lavorare al mio disco gli ascolti sono andati tutti oltreoceano.
Io ho cercato di fare lo stesso con la lingua italiana, ed ammetto che non è stato facile, la nostra lingua non suona sempre bene come invece accade per l’inglese.
L’inglese suona bene anche se lo inventi, tant’è che tutti i miei provini sono nati in “fake english”, e tutt’ora molti suonano meglio così, anche se non dicono nulla.
Per questo motivo oggi posso ritenermi doppiamente soddisfatta, perché era una sfida con me stessa, e ne sono uscita viva, vegeta, e forse a prescindere da come andrà mediatamente, vincitrice.
L’educazione impone che tu non ci dica chi non ti piace, ma chi sono invece gli artisti che trovi più interessanti sul panorama italiano attualmente.
Per quanto riguarda i riferimenti musicali italiani, adoro citare NICCOLO’ FABI, MAX GAZZE’, DANIELE SILVESTRI, come esponenti della bella e non banale scrittura italiana.
E tra le più giovani donne, provo tanta stima artistica (e umana) per LEVANTE.
Canti di persone che si misurano a like, di relazioni in vendita nel mercato dei apparenza, tra selfie, smartphone ultimo modelli, soldi più ostentati che posseduti: davvero il mondo che ritrai in C’Mon e Tre cose che detesto è così permeante tra i ragazzi oggi?
Penso che siamo in un momento storico terribile: abbiamo tutto tra le mani, troppo, non c’è più ricerca, è non c’è più tempo speso per fare qualcosa di qualitativamente più alto.
Che poi non è che non c’è più, è che per fare i “soldi soldi soldi” devi fare tutto subito, non fermarti mai, trovare il fidanzato giusto o il momento giusto, o altre cose che preferisco non approfondire, sono anche stanca di fare polemica.
Appartengo alla generazione di mezzo, sono una trentenne che ha visto nascere il mondo di youtube già da grande, con un’educazione diversa e meno attaccata all’ aspetto virtuale.
Amo i rapporti umani, mi amareggia vedere che sempre meno gente la pensi così.
ED è normale che questa cosa non mi faccia sentire comoda e al sicuro: non è nelle mie radici.
Nella tua musica canti il tuo diritto di essere come sei e il rifiuto di essere etichettata da un tatuaggio: com’è possibile che lo stereotipo non sia ormai superato.
Basti pensare a 2 cose: la vita umana sta in una media di 85 anni, e l’Italia è un paese governato da anziani.
Credo sia normale che le mode le lancino i giovani ma che chi sta in alto le digerisca più lentamente, o forse non lo farà mai.
Per questo ho smesso di vivere basandomi sulle mode; preferisco fare i conti con le etichette che mi vengono affibbiate, che equivale a fregarmene, con eleganza e rispetto, sia chiaro.
Esiste anche una discriminazione al contrario, però: ovvero quelli che misurano (ed etichettano) il grado di “conformismo” di un’altra persona da un abito elegante
Questa cosa credo stia nella natura umana, basti pensare al mondo LGBT, o alle persone di colore: hanno subito talmente tante discriminazioni che alla lunga diventano lobby di persone con un’ attitudine uguale e contraria a quella di chi li ha maltrattati a lungo solo per non essere negli schemi stabiliti da un foglio di carta.
Credo sia umano, e giusto.
Pensavo fossimo amici: perché l’amicizia tra uomo e donna non esiste?
La natura è inevitabile: siamo fatti di molecole chimiche, e se c’è attrazione credo sia anche normale provare la voglia di unirsi fisicamente.
Detto questo, esiste, di sicuro è più facile avere rapporti onesti tra due persone che non si attraggono, o già fidanzate reciprocamente con altre persone.
Ma anche in quei casi, ci sarà sempre una delle due parti che un po’ se la sta raccontando secondo, me.
Quindi esiste, ma forse non è per sempre.
Ci parli de Il sole tramonta?
Credo che questo brano parli da sé, ma certo.
è una raccolta dei più bei momenti vissuti con le due figure di riferimento più alte che ho avuto: le mie nonne. In particolare, con una delle due ho vissuto un momento molto intenso il giorno in cui ha deciso di passare altrove: mi ha detto di continuare a cantare, di farlo bene, e in quel momento mi sono ritrovata a vivere il suo addio come un sole che tramonta, che ti lascia al buio, mica sola.
Non lo vedi, ma c’è.
Raccogliendo il tuo invito in Sogna… Qual è il tuo più grande sogno come artista e quale come donna.
Credo coincidano le due cose in un unico desiderio: lasciare qualcosa di indelebile.
Quindi, scrivere tanta musica che resti viva nell’eternità, e diventare mamma, prima o poi.
Giornalista professionista e responsabile editoriale di Roba da Donne, scrive di questione di genere. Per Einaudi ha scritto il saggio "Libere. Di scegliere se e come avere figli" (2024). È autrice di "Rompere le uova", newsletter ...
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