Pena di morte ai bambini: diventare grandi per essere impiccati

Condannati a morte da bambini per essere poi impiccati da adulti, passando gli anni in attesa dell'esecuzione in carcere. È quello che succede, purtroppo, ancora troppo spesso in diversi paesi. L'Iran è uno di questi. In occidente, invece, gli Stati Uniti sono l'unico paese in cui è ancora in vigore l'esecuzione capitale.

Ci sono paesi del mondo in cui i bambini devono diventare adulti alla svelta, dove l’infanzia e i suoi diritti più basilari vengono puntualmente calpestati. Perché se nasci in posti ancora radicati a culture arcaiche, integraliste o minati irrimediabilmente nel cuore da anni di guerre endemiche senza veri vincitori ma solo con tanti, tantissimi vinti, dove a regnare sono soprattutto miseria e ignoranza, non hai scelte davanti, ma solo l’obbligo di crescere in fretta, troppo in fretta. Per essere equiparato, in tutto e per tutto, agli adulti, per entrare a far parte del mondo dei grandi anche se sei appena un bambino e l’unica tua preoccupazione dovrebbe essere quella di andare a scuola e di giocare. Puoi finire, così, con il diventare una sposa bambina o una facile preda per delinquenti spietati e senza scrupoli.

Oppure finisci anche tu, tristemente, per “adeguarti” a quel sistema di illegalità dove vige la legge del più forte, ma dove, ovviamente, il passo verso l’illecito è breve. Solo che poi il crimine si paga, e in questi paesi dove i bambini sono costretti a diventare adulti anzitempo il dazio è alto, altissimo, e non si fanno sconti solo perché si tratta “di un bambino”. Perché in questi paesi anche i bambini possono essere condannati a morte. Pratica aberrante quando si tratta di adulti, che non trova parola per l’orrore quando nel braccio della morte rinchiude persino i bambini.

Nonostante il rigido divieto alla pena di morte imposto dal diritto internazionale, sono infatti ancora molti i paesi del mondo che continuano a condannare a morte, permettendo persino le esecuzioni di minori.
Nell’ultimo decennio vi sono state esecuzioni di minorenni in Nigeria, Pakistan, Iraq, Arabia Saudita, Yemen, Repubblica Democratica del Congo. Ma anche negli USA vi sono state esecuzioni di detenuti che erano stati condannati a morte per reati compiuti quando erano minorenni.

In Iran i minorenni vengono condannati alla pena di morte al momento del reato, ma si aspetta il momento in cui diventano adulti per impiccarli. Ciò significa che, molto spesso, questi ragazzi passano anni in carcere nella consapevolezza di essere impiccati appena diventati maggiorenni. I dati e le storie che arrivano dal paese asiatico sono a dir poco agghiaccianti.

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1. Minori e pena di morte

Fonte: web

In Iran la riforma del codice penale del 2013 ha sancito, in realtà, che la pena di morte possa essere sostituita con un’altra punizione per diversi motivi: ad esempio, se l’imputato minorenne non si è reso conto dell’effettiva gravità dell’atto commesso, né delle sue conseguenze. I prigionieri condannati a morte per reati commessi quando avevano meno di 18 anni possono chiedere un nuovo processo e il giudice può decidere per una pena alternativa alla condanna a morte, basandosi sul suo giudizio discrezionale circa la crescita mentale e la maturità raggiunta dal reo minorenne al momento del reato.

Già questa procedura non rispetta, in realtà, gli obblighi assunti 20 anni fa dal paese, grazie alla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, la quale sancisce chiaramente che né la pena di morte, né l’ergastolo ostativo, possono essere inflitti per reati commessi a un età inferiore a 18 anni. Essendosi l’Iran volontariamente legato a questo obbligo, poco importa che le leggi del paese fissino la maggiore a 9 anni per le bambine e a 15 anni per i ragazzi. Nel giugno 2015, inoltre, è entrata in vigore un’altra riforma, secondo la quale gli imputati minorenni devono essere processati da tribunali specializzati nella giustizia minorile e non più dai tribunali per adulti. Nonostante questo, però, le esecuzioni sono proseguite normalmente, per colpa anche di un modus operandi nei processi per cui i giudici, con qualche domanda banale, si formano l’idea che la persona che hanno di fronte sia mentalmente matura rispetto all’epoca del reato, confermando perciò la sentenza.

Così, nonostante il paese sia parte della Convenzione sui diritti dell’infanzia (CRC), i dati di Amnesty International raccontano di una realtà tremenda, dove, tra gennaio 2005 e luglio 2018, è stata registrata l’esecuzione di almeno 89 persone che avevano meno di 18 anni all’epoca del reato.

Nel solo mese di gennaio 2018, le autorità iraniane hanno messo a morte Amirhossein Pourjafar, Ali Kazemi e Mahboubeh Mofidi; il 27 giugno 2018 Abolfazl Chezani Sharahi, tutti minori di 18 anni al momento del crimine.

Ma vediamo alcune storie reali di bambini condannati:

2. Mohammad , scampato per ora alla condanna

Mohammad Reza Haddadi è entrato in carcere nel 2004, a soli 15 anni, e condannato a morte ancora minorenne.

Per sei volte è stata annunciata la sua esecuzione, e solo grazie alle proteste pubbliche l’esecuzione è stata sempre posticipata. Così, dopo l’ultimo rinvio, Mohammad ha presentato domanda per un nuovo processo, rifiutata però dalla Corte Suprema dell’Iran.

Mohammad ha subito un processo ingiusto: nonostante la sua piena confessione, durante il processo ha spiegato di averlo fatto solo perché i suoi due coimputati si erano offerti di dare i soldi alla sua famiglia. In base a quanto dichiarato in aula, Mohammad sostiene di non aver preso parte all’omicidio di cui è accusato,  tesi sostenuta anche dagli altri coimputati.

3. I bambini condannati

Fonte: web

Nei bracci della morte delle carceri iraniane si trovano oltre 90 condannati a morte per reati commessi quando erano minorenni, il più delle volte in attesa dell’esecuzione da anni. Nei primi tre mesi del 2017, sono stati impiccati due condannati minorenni, al momento del reato: Arman Bahrasemani e Hassan Hassanzadeh. Di alcuni, come Mehdi Bahlouli, da più di 15 anni in prigione e condannato da un tribunale penale a Teheran nel novembre 2001 per aver pugnalato a morte un uomo durante un combattimento, Peyman Barandah, condannato a morte per aver ucciso con una coltellata un suo coetaneo durante una rissa, nell’agosto del 2012, quando aveva appena 16 anni, non si hanno più notizie dall’aprile 2017, nonostante gli appelli incessanti di Amnesty International. Naturalmente non ci sono solo ragazzi a finire nel braccio della morte: Fatemeh Salbehi è stata messa a morte nell’ottobre 2015 per aver ucciso il marito, che era stata obbligata a sposare a 16 anni. Dopo un secondo processo, durato appena qualche ora, in cui la valutazione sulla sua maturità mentale si è basata su domande del tipo se usasse pregare o se studiasse testi religiosi, il giudice ha confermato la sentenza di morte, avvenuta nell’ottobre del 2017.

Il 2 ottobre 2018 anche Zeinab Sekaanvand, in prigione da quando aveva 17 anni per l’omicidio del marito che era stata costretta a sposare due anni prima e che abusava di lei, è stata giustiziata.

4. I dati di Amnesty International

Fonte: web

Come detto, i dati che arrivano da Amnesty International sono a dir poco sconvolgenti: dal 2005 al 2015, secondo l’organizzazione internazionale, l’Iran ha messo a morte 73 minorenni al momento del reato, prevalentemente per omicidio. Nel paese asiatico, inoltre, nel 2016 sono state eseguite non meno di 567 condanne a morte, una cifra che, seppur enorme, è comunque inferiore di più del 40% rispetto a quello del 2015, di cui sette nei confronti di minorenni al momento del reato.

In generale, i dati del 2017 riportati nel rapporto di aprile 2018 di Amnesty International danno un’idea a 360° della gravità del problema: ci sono 21.919 persone in attesa dell’esecuzione in tutto il mondo, molti di loro sono minori.

La comunità internazionale non chiede che questi ragazzi rimangano impuniti per i crimini, estremamente gravi, che hanno commesso, né le condizioni deprecabili in cui vivono vogliono essere una “giustificazione” a un atto brutale come l’omicidio. Certamente, però, non è condannandoli alla pena di morte che si dimostra di voler fare un deciso passo in avanti verso la civiltà etica e il rispetto dei diritti umani. Condannare a morte un uomo è barbaro, condannare un bambino aspettando che diventi adulto per negargli la vita è semplicemente un orrore che deve terminare.

Ma cosa succede in Occidente?

5. Ma cosa succede in Occidente?

Fonte: Huffington Post

Nelle righe precedenti abbiamo parlato principalmente di fatti avvenuti in Iran, ma la pena di morte è ancora una realtà anche in Occidente e, in particolare, negli Stati Uniti, dove su 51 stati che costituiscono gli Usa (più precisamente 50 e la celebre Whashington D.C.) solo 17 hanno abolito l’esecuzione capitale e in altri 4 è attualmente in stato di stallo. Anche se dal 2004 il tasso di attuazione di tale pena è diminuito di circa il 60%-80%, il Texas detiene tuttora il primato come luogo con il più alto tasso di esecuzioni (sul suolo americano). Per quanto riguarda la pena di morte su criminali non ancora maggiorenni, come riportato dal sito internet d’informazione Società, Salute e Diritti, l’1 marzo 2005 la Corte suprema degli Stati Uniti d’America ha stabilito con una maggioranza di 5 voti su 4 la completa incostituzionalità dell’esecuzione capitale su detenuti minorenni. Una legge che ha avuto un effetto immediato e ha portato alla conversione della condanna di circa 70 detenuti. A oggi, però è ancora scioccante il numero di criminali che aspettano di essere giustiziati per un reato commesso quando erano ancora minorenni. A ricordare una di queste tristi storie è il giovane Napoleon Beazley, ucciso tramite iniezione letale nel non lontano 2002 per un reato commesso nel 1994. Purtroppo, non è l’unico caso.

6. Il caso di Napoleon Beazley

Fonte: Web

Uno dei più celebri casi di pena capitale inflitta a un detenuto minorenne è stato quello del giovane Napoleon Beazley. Il 19 aprile 1994, il ragazzo (al tempo dei fatti 17enne), al fine di rubare un’automobile a Tyler, in Texas, sparò a John E. Luttig (un uomo d’affari di 63 anni proprietario dell’auto) e tentò di uccidere anche la moglie Bobbie. Un mese dopo l’atroce delitto venne arrestato, incriminato dell’omicidio e condannato a morte. La sorte volle che la vittima fosse il padre del giudice federale J. Michael Lutting, il quale trasferì il suo ufficio proprio nella città di Tyler per seguire il processo contro l’omicida del genitore. Durante l’appello alla Corte Suprema, ben 3 giudici su 9 si ritirarono dalla carica proprio a causa dei legami personali con il giudice Lutting, lasciando così solo 6 persone a esaminare il caso di omicidio. Fu così che il 13 agosto 2001, la Corte Suprema rigettò la richiesta di Napoleon Beazley circa una revisione della sua pena e il 28 maggio 2002 venne eseguita la sua condanna a morte presso il carcere di Huntsville per mezzo di un’iniezione letale. La sua fu una delle ultime condanne a morte per atti commessi in minore età precedente al divieto istituito nel 2004 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America.

7. L’errore giudiziario di George Stinney

Fonte: Wikipedia, dagli archivi: State of South Carolina

La condanna che ha forse mosso di più l’opinione pubblica è stata quella di George Stinney, giustiziato mediante sedia elettrica a soli 15 anni. Un caso che fa riflettere e che oggi risulterebbe essere il più grande errore giudiziario nella storia degli Stati Uniti d’America. Il ragazzo fu infatti incriminato dello stupro e successivo omicidio di due bambine di 11 e 18 anni (Betty June Binnicker e Mary Emma Thames) mediante un processo che durò soltanto due ore, che si concluse con la confessione del ragazzino (che fu poi definita estorta), che dopo l’arresto non rivide mai più la sua famiglia. All’epoca dei fatti non esisteva alcuna prova sulla colpevolezza del ragazzino, se non alcune testimonianze di persone che avevano visto George e la sorella parlare con le vittime poco prima del loro barbaro omicidio e quelle di tre agenti di polizia (di cui non risulta trascrizione). Il ragazzino passò soltanto 83 giorni in carcere prima che la sua pena venne eseguita,  il 16 giugno 1944 al Central Correctional Institution di Columbia: il giovane George dovette sedersi su un libro (secondo alcuni si trattava di una Bibbia, altri parlano invece di una guida telefonica) poiché le sue piccole fattezze rendevano difficile il fissaggio al telaio degli elettrodi della sedia elettrica. Morì dopo tre scariche, a quattro minuti dalla prima. A oggi, non esiste nessuna trascrizione di questo barbaro processo.

Un’esecuzione dettata unicamente da basi razziste che ancora oggi distruggono gli Stati Uniti e che hanno spinto, nel 2004, alla riapertura del caso grazie allo storico George Frierson e al successivo interessamento degli avvocati Steve McKenzie, Matt Burgess e Ray Chandler. Secondo lo storico, come riportato dal The Guardian nel marzo 2014, una persona ormai deceduta in punto di morte ha confessato alla propria famiglia il barbaro omicidio delle piccole Betty June e Mary Emma. Un uomo bianco, appartenente alla classe agiata. La cosa più scioccante, ha raccontato George Frierson, fu il fatto che durante il processo del giovane George Stinney, un membro della famiglia del vero colpevole presenziò nella giuria. A seguito delle successive indagini sul caso, il 17 dicembre 2014, a circa 70 anni dalla morte di George Stinney, il giudice Carmen Muller ha annullato la sua sentenza definendo la confessione del ragazzino estorta tramite minacce psicologiche. Un vero e proprio omicidio di Stato, quindi, pronunciato unicamente solo per il colore della pelle della giovane vittima (George fu infatti giudicato da una giuria di soli bianchi in un periodo storico in cui la forte differenza razziale non era difficile da notare). A parlare dell’annullamento della condanna è stata anche la sorella di George, Amie Ruffner, ora 78enne:

Ricorderò sempre il giorno in cui hanno portato via mio fratello da casa. Non ho mai più visto mia madre ridere.

Ha dichiarato la donna, come riportato dai media.

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