Il diritto di Charlie di morire con dignità: le parole di una mamma che ha perso il figlio
E se l'accettazione della morte di un bambino fosse, per lui e solo per lui perché è questo che conta, l'atto d'amore supremo?
E se l'accettazione della morte di un bambino fosse, per lui e solo per lui perché è questo che conta, l'atto d'amore supremo?
Dove sta il limite tra diritto alla cura e accanimento terapeutico?
Ognuno di noi ne ha probabilmente un’idea abbastanza chiara, almeno per sé, fino a che la necessità di stabilirlo non esce dal campo dell’astrazione ed entra in quello della scelta e delle sue conseguenze.
Ma quando si tratta di un bambino definire il limite diventa più complesso. Se i nostri cari possono dirci – o averci detto in passato – cosa vorrebbero “nel caso che”, chi sceglie per un bambino di pochi mesi?
I genitori, viene spontaneo dire.
E se il loro coinvolgimento emotivo sfociasse nell’accanimento terapeutico, a discapito del diritto inalienabile del bambino, alla stregua di qualsiasi altro essere umano, di morire in modo dignitoso?
La vicenda del piccolo Charlie Gard è tornata a scuotere le coscienze sul tema del fine vita. Il bimbo inglese, affetto da una grave malattia rarissima al quale il Great Ormond Street Hospital di Londra dovrebbe interrompere i trattamenti vitali nelle prossime ore, nonostante la disperata battaglia dei genitori per tenerlo in vita, ha scatenato un’ondata emotiva che è facile comprendere, ma che forse merita qualcosa di più del nostro “sentire di pancia”, in cui la morte di un bambino e lo strazio di un padre e di una madre che chiedono di tenere attaccate macchine senza le quali lui non può vivere, sono inaccettabili e trasformano “gli altri” nei cattivi.
C’è tanta semplificazione in chi, come noi, non conosce come stanno le cose.
C’è una cura americana sperimentale che, in almeno un altro caso, ha operato una sorta di miracolo: è l’obiezione di chi si oppone alla sentenza che ha decretato che, contro il volere dei genitori, si stacchi la spina. Ma è un altro caso, non quello di Charlie.
Restare lucidi, razionalizzare e, soprattutto, affidarsi alle competenze di chi conosce il singolo caso è necessario per non fare di una vicenda umana dolorosa una bandiera di populismo.
Lo stesso Bruno Dallapiccola, genetista e direttore scientifico dell’ospedale Bambino Gesù di Roma, che aveva dato la disponibilità ad accogliere il piccolo per continuarne le cure, complice anche l’intervento diretto del Vaticano nella questione, sulla questione farmaco sperimentale, in un’intervista a Vanity Fair ha detto
Era una sperimentazione modulata su un paziente con una mutazione diversa. Oggi si parla di una medicina di precisione, difficile applicarla. Ci sono trattamenti che hanno cominciato a dare risultati. Nel caso di Charlie ci sono però milioni di cellule che non hanno i mitocondri. In una storia ormai arrivata a livello preterminale non facciamo nessun servizio con una sperimentazione. Esistono i malati non le malattie, tutto va modulato sui diversi casi.
Lui stesso ha poi ribadito la questione:
Non penso che i traslochi in alti centri possano portare miglioramenti. Non credo che sia corretto, se siamo davvero in una situazione terminale, continuare ad accanirsi con interventi meccanici che non sono leggeri. Questa è però un’impressione generale vista dall’esterno, ogni caso va valutato. Detto questo: “Se noi possiamo essere utili, sappiate che ci siamo”». Il caso del bimbo di 10 mesi è gravissimo, la malattia rara con appena 16 casi noti al mondo.
Quello che a me turba nel dibattito di questi giorni è che tutti vogliono pontificare su come stanno le cose, senza poterlo di fatto fare perché non abbiamo visto la cartella clinica del bambino. La cosa importante è stabilire il confine che esiste fra l’accanimento terapeutico e un supporto terapeutico che può fare bene. Non si pensi che l’attaccare un bambino a una macchina sia una passeggiata, è un intervento altamente invasivo.
Così è necessario domandarsi se il nostro scendere in piazza con cartelli a difesa della vita di Charlie difenda davvero Charlie.
Negli ultimi tempi ci è capitato di riportare le parole di Francesca Testoni, mamma di Nicolò, morto a 7 anni di tumore, in due occasioni: quando abbiamo raccontato la sua storia
e quando Francesca ha affrontato la questione dei vaccini a difesa dei bambini più deboli:
Oggi riportiamo, ancora una volta, le sue parole, senza altri commenti, senza la pretesa di indicare dove sta la ragione, ma solo per proporre, con la delicatezza che questa vicenda merita, l’altra faccia di questa caccia alle streghe, quella dove non ci sono “cattivi”: la possibilità che l’accettazione della morte di un bambino possa essere, per lui e solo per lui perché è questo che conta, l’atto d’amore supremo.
Sono in oncologia pediatrica dal 99, allora non per scelta ma per mio figlio di 5 anni che morì nel 2001. Conosco la morte, il dolore, la sofferenza, la rianimazione troppo bene. Tanti, troppi bambini.
Non voglio accusare o polemizzare e non conosco i dettagli specifici del caso che infiamma il web e le coscienze. Credo che però se si riflette e si sentenzia su certi argomenti sia necessario considerare tanti aspetti.La ricerca, in particolare sulle malattie rare, ha bisogno di ricerca clinica. Dal punto di vista scientifico è un cercare risposte per guarire altri in futuro, gli anti/tutto la considerano sperimentazione su cavie umane. Io ho imparato che sempre c’è una giusta via.
Sicuramenet per un ospedale avere la possibilità di avere in cura un piccolo paziente affetto da una rara patologia, mantenuto in costante sedazione e con due genitori disposti a tutto e convinti di fare il meglio per “tenerlo i vita” (e nessuno considera l’egoistico ottenebramento che, in questi frangenti, spesso sopraggiunge nella lettura della realtà che fa tanta paura perché il dolore da affrontare è troppo grande); se consideriamo inoltre le raccolte fondi che arriveranno sollecitate dall’amplificazione mediatica del caso…bè.. è una bella opportunità!!! Di contorno questa spontanea e viscerale partecipazione, questa armata pronta a mobilitarsi, a compatire i genitori che non prende, però, in considerazione la dignità e il diritto di questo bambino a morire in santa pace.Il diritto alla morte del bambino, che Janusz Korczak bene descrisse, è l’atto di amore e rispetto più profondo di un genitore verso il figlio. Egli affermava che i diritti fondamentali del bambino sono tre: il diritto alla morte, il diritto alla sua vita presente, e il diritto ad essere quel che è. Non a caso il lavoro di Korczak ha ispirato la Carta Internazionale dei Diritti del Bambino (lui la anticipó di molti lustri) fino ad arrivare alla Carta dei Diritti del Bambino in Ospedale. Passi fondamentali per considerare il bambino non più Oggetto di Cure bensì SOGGETTO portatore di diritti.
Molto di quello che leggo è innaffiato da emotività scomposta e sincera ma anche da tanta superficialità. E tanti giudizi sommari che io chiamo pregiudizi. Non sempre i medici sono cattivi e cinici! Se vaccinano: trattano i bambini come cavie, se si pronunciano contro l’accanimento terapeutico: sono crudeli calcolatori. Le strumentalizzazioni si sprecano. E non centra la religione! la pietà, il credere alla caducità della vita terrena e ad una vita dopo la morte chè è vita eterna (e non corrisponde a vivere in eterno oltre alle leggi della natura) sono fondamenti del cristianesimo. Comprendo profondamente i genitori, quello che credo manchi sia un ascolto e una restituzione oggettiva di come loro vivono questa storia, un giusto accompagnamento all’accettazione della morte del figlio come supremo atto d’amore.
Giornalista professionista e responsabile editoriale di Roba da Donne, scrive di questione di genere. Per Einaudi ha scritto il saggio "Libere. Di scegliere se e come avere figli" (2024). È autrice di "Rompere le uova", newsletter ...
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