"Chi ha paura dell'uomo nero?": quel tweet di Rita Pavone e il "Papa musulmano"
C'era un gioco, che si faceva da bambini, in cui bisognava scappare dall'"uomo nero". Oggi non è più un gioco.
C'era un gioco, che si faceva da bambini, in cui bisognava scappare dall'"uomo nero". Oggi non è più un gioco.
Me lo ricordo mio nonno che mi diceva Guarda che se non fai la brava arriva l’uomo nero.
Giurerei che anche mia madre abbia fatto ricorso più di una volta al temibile spauracchio per impedirmi di allontanarmi e andare a esplorare qualche luogo in cui lei, in quel momento, non aveva modo o voglia di accompagnarmi con un Là c’è l’uomo nero che se ti prende ti porta via.
Sì, insomma, anni di pedagogia e metodi montessoriani infranti contro la “dolce” nenia che induce i bimbi al sonno “per minaccia”:
Ninna nanna, ninna oh
questo bimbo a chi lo do
Lo darò all’uomo nero
che lo tiene un anno intero
E poi c’era il gioco Chi ha paura dell’uomo nero? dove, ovviamente, era meglio darsela a gambe e non farsi acchiappare dal malcapitato di turno che aveva il ruolo di rappresentare (ed esorcizzare) l’incarnazione delle nostre paure.
Siamo diventati grandi e non è cambiato molto. L’uomo nero ci fa paura.
È una paura talmente entrata sottopelle che a volte sorprendo me stessa, nonostante le mie convinzioni, a essere preventivamente in allerta rispetto all’uomo arabo seduto al mio fianco in metro.
È normale, con quello che sta succedendo nel mondo
Direbbe l’amica che non condivide le mie idee di uguaglianza e multietnicità. Quella che “Non sono razzista, ho un sacco di amici stranieri ma…”.
Non ho la stessa allerta quando accanto a me è seduto un italiano, un orientale, un americano, un europeo.
In Italia, ogni 3 giorni una donna viene uccisa, in genere dal proprio compagno o ex, e una su 5 nella sua vita subisce molestie sessuali: volendo vedere cosa “succede in giro” e affidandomi al calcolo delle probabilità, forse dovrebbero farmi la stessa paura l’uomo arabo al mio fianco e i due italiani poco più in là.
Ma è normale. Direbbero i più.
Così come è normale che una persona, sia essa un personaggio pubblico o meno, cada nella trappola della bufala o della mala informazione di una pagina Facebook spagnola nota per diffondere bufale e notizie sensazionalistiche.
Il riferimento è ovviamente al tweet di Rita Pavone che ha rilanciato la fake news – poi dimostratasi essere una bufala – che sulla Rambla, al momento dell’attentato, non fossero presenti i “manteros”, i venditori ambulanti e, con essa, il quesito sciopero o sapevano?
È normale, nel senso che è una vicenda figlia di questi tempi, violenti e spaventati, territorio perfetto per un populismo che vorrebbe semplificare tra buoni e cattivi, identificarli con un’etnia, un credo politico o religioso e trovare così il caprio espiatorio, ghettizzarlo e risolvere il problema.
Una storia già sentita, che non ha insegnato nulla.
Meno normale, in un Paese laico in teoria ma cattolico di fatto come l’Italia, in cui la chiesa è stata spesso ingerente negli affari di Stato, vedere la sollevazione popolare e di vari esponenti pubblici contro le parole di Papa Francesco che ha preso posizione a favore dello ius soli, il diritto di cittadinanza per chi nasce in Italia, e dello ius culturae, il diritto all’istruzione primaria e secondaria.
Così le stesse persone che si sono indignate alla richiesta di togliere il crocifisso dalle scuole statali a tutela della laicità della scuola italiana, oggi ricordano al massimo rappresentate della chiesa cattolica che l’Italia è un paese laico e che la chiesa deve starsene fuori dagli affari temporali e pensare alle anime.
Tweet, post e articoli parlano dell’arabo Bergoglio, del Papa musulmano, dell’infiltrato o reclamano il diritto al “trono papale” di Ratzinger. Cose che, su altri temi, avrebbero fatto gridare le stesse persone che oggi scrivono queste cose alla blasfemia.
Del resto era successo anche qualche giorno fa qualcosa di simile con la vicenda del prete di Pistoia.
Insomma, volendo mettere i fatti di questi giorni in una battuta, l’uomo nero deve fare ancora molto paura se è riuscito a far scordare a molti italiani quell’altra grande paura ancestrale del castigo divino.
Intanto penso a Randa, la ragazza nera che si paga l’università lavorando in un bar e di cui il mio bambino è innamorato perso. Parla un italiano perfetto senza accenti che tradiscano la sua origine perché è nata e cresciuta in Italia; ha una padronanza dei congiuntivi e un senso civico che i 3/4 degli italiani non ha; ha la mia, la nostra stessa paura e lo stesso disgusto per quanto sta accadendo nel mondo.
E penso che sì, Randa è italiana. Come il mio bambino.
Giornalista professionista e responsabile editoriale di Roba da Donne, scrive di questione di genere. Per Einaudi ha scritto il saggio "Libere. Di scegliere se e come avere figli" (2024). È autrice di "Rompere le uova", newsletter ...
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