Aggiornamento del 27 settembre 2017

A meno di una settimana dall’ultimo aggiornamento, ecco che giunge dall’Arabia Saudita il lieto avvenimento: finalmente le donne potranno guidare. A lanciare questo decreto anticonformista e a sfidare ogni precetto religioso e morale del mondo arabo, è l’erede al trono Mohammed bin Salman, come spiegato dal New York Times. Una scelta, quella del principe e politico saudita, che ha fatto non poco scalpore e che simboleggia una vera e propria rivoluzione storica con conseguenze riguardanti la vita sociale delle donne e l’economia stessa del Paese. Un simbolo, inoltre, di un’Arabia Saudita che pian piano sta cercando di avvicinarsi all’Occidente, allineandosi quindi con gli ideale di parità dei sessi che contraddistinguono tale area geografica. Il divieto di guida alle donne è stato quindi abolito con un vero e proprio decreto ufficiale che, nonostante avrà effetto dal 24 giugno 2018, ha scatenato un’immensa gioia fra la popolazione saudita. A Riad, capitale storica dell’Arabia Saudita, numerose donne e uomini si sono riversati nelle strade della città per ballare e festeggiare in completa sintonia per questa nuova legge che soffocava ormai da anni il Regno.

Il lieto avvenimento è stato annunciato in contemporanea con la città di Washington, simbolo quindi di modernizzazione e di voglia di innovazione legata al primo alleato dell’Arabia Saudita, Gli Stati Uniti. Come spiegato dalla Stampa, la religione di stato dell’Arabia Saudita è il wahhabismo, una ramificazione dell’Islam altamente conservatrice, per non parlare delle numerose dottrine anti-occidentali presenti nel mondo saudita. La libertà di religione e di espressione è quindi quasi nulla. Dottrine che nel 2017 sembrano stare strette all’erede al trono Mohammed bin Salman, simbolo di un’innovazione giovanile che prenderà presto piede nel Regno. Il principe erede ha inoltre lanciato un innovativo programma di modernizzazione economica chiamato Vision 2030, progetto che coinvolgerà anche una netta parte della popolazione femminile nella vita pubblica saudita (attualmente, infatti, solo il 22% delle donne è occupato). Il programma creato dal principe, incarica ufficialmente una commissione di alto livello (formata da diversi ministri dell’Interno, delle Finanze, del Lavoro e dello Sviluppo sociale dall’Arabia Saudita), di esaminare gli strumenti mostrati nello stesso e di applicare le disposizioni scritte in quello che sarà il “nuovo” codice della strada, compresa l’emissione di patenti per ambo i sessi. Una vera e propria rivoluzione che ripaga, in qualche modo, tutte le attiviste di sesso femminile che in passato hanno combattuto il divieto e si sono messe alla guida, andando incontro il più delle volte a feroci condanne.

Articolo originale – 22/09/2017
Titolo originale – Arabia Saudita: “Le donne non possono guidare perché hanno un quarto di cervello”

Che l’Arabia Saudita fosse il solo paese rimasto al mondo a mantenere il ben poco invidiabile divieto di guida alle donne è cosa risaputa; l’interdizione, entrata in vigore nel 1990 per decreto ministeriale, è tuttora in vigore nell’intero paese, nonostante non ci sia alcuna legge a sancire effettivamente l’impossibilità per le donne di mettersi al volante, né precetti religiosi: nessuna Sura, nel Corano, contiene infatti disposizioni in merito.

A quella che sembra essere diventata più una norma consuetudinaria nella cultura e nella società saudita, in molti hanno perciò tentato di dare una spiegazione pseudo-scientifica, aggrappandosi di volta in volta a ragioni biologiche, o a presunte differenze fisiologiche.

L’ultima affermazione choc in merito alla questione viene dallo sceicco Saad Al Hajry, presidente del Consiglio della fatwa della provincia di Asir, nel sud del Paese, il quale, durante un incontro riservato -naturalmente – al solo pubblico maschile, come riporta Repubblica ha spiegato che: “Le autorità darebbero la patente a un uomo che dimostra di avere solo metà cervello? E perché mai dovrebbe darla alla donna che ne ha solo un quarto? Ovviamente non è colpa sua, ma è un aspetto fisiologico“. Per carità, nessuna offesa verso le donne, dice in sostanza Al Hajry, è la natura umana che le condanna, avendole dotate, asserisce il religioso, di meno materia cerebrale dell’uomo.

Certo, frasi simili suonano a dir poco scandalose, ma non possiamo sottovalutare il contesto in cui sono state pronunciate, e dobbiamo analizzarle rispetto a questo; del resto, lo abbiamo detto, non è la prima volta che si cercano ragioni “scientifiche” per giustificare un provvedimento restrittivo di questo genere, il quale altrimenti non sarebbe motivabile né giuridicamente né religiosamente. Nel 2013, Sheikh Saleh al-Lehaydan, consulente legale e psicologo dell’Associazione Psicologi del Golfo, ha spiegato al giornale arabo Sabq che il divieto di guida servirebbe soprattutto a preservare la capacità riproduttiva delle donne:

Se la donna guida senza che ve ne sia una reale necessità, ciò potrebbe avere un impatto negativo sulla sua fisiologia; questo argomento è stato studiato dalla fisiologia funzionale ed è stato provato che vi è un impatto spontaneo sulle ovaie, il bacino viene spinto verso l’alto e, di conseguenza, le donne che guidano continuamente danno alla luce figli affetti da disfunzioni cliniche di diverso grado.

Ma c’è addirittura chi ha smosso l’Unesco per trovare una giustificazione al divieto: durante un Ted Talks del 2013, Manal al-Sharif, che aveva sfidato il divieto di guidare nel 2011, mettendosi al volante di un’auto e riprendendosi, prima di pubblicare il filmato su YouTube, ha spiegato che un docente universitario, basandosi appunto sui dati raccolti da una ricerca Unesco, avrebbe mostrato come le percentuali di stupri, abusi, figli illegittimi, droga, prostituzione e adulteri fossero più alte nei paesi in cui alle donne è permesso guidare; il problema è che per “paesi” si intende il resto del mondo, visto che l’unica eccezione è proprio l’Arabia.

Negli ultimi anni, comunque, spinte anche dall’esempio di Manal, tantissime donne arabe hanno deciso di alzare la voce rispetto al loro diritto a poter condurre un’auto: nel 2011 è stata lanciata la campagna #women2drive, in cui moltissime donne, rischiando l’arresto, si sono messe insieme al volante, in concomitanza con una petizione online che ha raccolto ben 11 mila firme; e due anni più tardi, l’iniziativa è stata rilanciata culminando nella “October 26 driving“, un evento fissato appunto al 26 ottobre di quell’anno, che puntava a radunare il maggior numero di donne arabe possibile alla guida. La giornata si è conclusa con più di 50 donne al volante e 16 arresti, ma ha indubbiamente richiamato l’attenzione internazionale sulla tenace restrizione che la popolazione femminile saudita deve subire.

Anche dal Regno, però, sembra che qualcosa si stia muovendo, e presto Al Hajry potrebbe ritrovarsi a essere una voce fuori dal coro; il giovane principe ereditario Mohammed Bin Salman, di 32 anni, salirà al trono nel giro di qualche anno, al posto del padre, e fra le importanti riforme della sua monarchia potrebbe essere proprio anche quello riguardante la guida femminile: pare che fra i progetti in cantiere ci sia l’elargizione dei permessi di guida alle donne con più di 40 anni e solo nelle città. In effetti, nell’ottobre 2017 la Shura, l’organo consultivo della monarchia, dovrebbe riunirsi per discutere proprio di questo, almeno per la parte che riguarda la concessione della patente alle over 40. Potrebbe essere un primo passo davvero niente male, per quelle “dotate di un quarto di cervello”.

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