Massacro del Circeo e il processo a Donatella Colasanti, vittima "troppo fastidiosa"
Era il 29 settembre del 1975.
Era il 29 settembre del 1975.
“Donatella Colasanti, 25 anni, quando ne aveva 17 un ragazzo conosciuto un paio di giorni prima la invitò insieme con un’amica, Rosaria Lopez, in una villa al Circeo. Qui c’erano altri due giovani. Dal 29 settembre al 1° ottobre Rosaria e Donatella subirono ogni tipo di violenza: Rosaria morì, Donatella fu trovata moribonda nel bagagliaio di una macchina vicina al corpo della sua amica”.
È incredibile come le 36 ore di sevizie e torture di quello che fu uno dei fatti di cronaca più efferati della storia italiana possano sintetizzarsi in poche parole. Ma Enzo Biagi era uno bravo nel suo mestiere e sua è la voce che introduce la storica intervista nel 1983 a Donatella Colasanti, sopravvissuta miracolosamente al Massacro del Circeo, e Tina Lagostena Bassi, il compianto “avvocato delle donne”, figura centrale della lotta femminista di quegli anni.
Questa la versione breve di quel confronto, disponibile sul web anche in più versioni estese.
Fu una delle tante interviste con cui Donatella Colasanti, con parole lapidarie e asciugate da ogni sfumatura di dolore e terrore, cercò per tutta la sua vita di impedire che la giustizia le mettesse il bavaglio e i media spegnessero i riflettori su quegli occhi impermeabili all’emozione per lasciare il palco a quelli da psicopatico, ben più mediatici, di Angelo Izzo, il più famoso dei suoi aguzzini.
Donatella fu vittima fino a quando fu estratta dal bagagliaio della Fiat 127 parcheggiata in via Pola di Gianni Guido, che insieme agli altri due ne aveva caricato il corpo, erroneamente ritenuto privo di vita, insieme a quello ormai freddo di Rosaria.
L’esito di questa storia sarebbe probabilmente stato diverso se Guido, Izzo e Andrea Ghira avessero deciso di sbarazzarsi dei corpi prima di andare a cena, invece di rimandare il piano e parcheggiare nel quartiere Trieste di Roma, dove un metronotte di passaggio intercettò le grida di Donatella provenienti dal baule di una delle vetture più vendute del tempo.
Donatella fu vittima fino a che un flash ne abbagliò gli occhi da animale braccato, quando i soccorsi aprirono quel bagagliaio.
Poi successe qualcosa di incredibile.
Guido, Izzo e Ghira non erano tre ragazzi qualsiasi, erano figli della Roma bene, “quei bravi ragazzi” del quartiere Parioli provenienti da famiglie facoltose e potenti. Intoccabili per lignaggio, avevano già preso parte a rapine a mano armate, stupri.
Il processo partì male: solo Izzo e Guido finirono in manette, non Ghira che, grazie a una soffiata, riuscì a fuggire.
Cercarono di mettere a tacere Donatella con i soldi, ma lei rifiutò i 100 milioni che le furono offerti in risarcimento. Li accettò la famiglia Lopez, che rinunciò a costituirsi parte civile al processo per ritirarsi nel suo dolore e sottrarsi alle luci di una ribalta indesiderata che, probabilmente sapevano, oltre a non riportare indietro la figlia 19enne, non le avrebbe assicurato neppure giustizia.
Giustizia, invece, decise di chiederla – e non cessò mai di farlo per tutta una vita – Donatella Colasanti, che salì da sola al banco dei testimoni, con al fianco Tina Lagostena Bassi, pioniera della lotta per i diritti delle donne.
Ma di fatto Donatella salì anche sul banco degli imputati. Le sue abitudini furono sezionate, la sua reputazione fatta a pezzi dalla difesa di Izzo e Guido che puntò tutto sui presunti facili costumi delle vittime, come sempre avveniva allora nei casi di stupro e come fu evidente a tutta Italia quando la RAI trasmise il Processo per Stupro che vide sempre protagonista Tina Lagostena Bassi.
Eppure ci fu una sentenza storica.
Tutti e tre i criminali furono condannati in prima battuta all’ergastolo. Ma successe poi di tutto.
Ghira, condannato in contumacia, non scontò un solo giorno di pena. Dopo la fuga, stando a quanto fu reso noto, sotto la falsa identità di Massimo Testa de Andres, fuggì in Spagna e si arruolò nel Tercio, la legione straniera locale, da cui fu espulso nel 1993 per abuso di stupefacenti. La morte per overdose risalirebbe all’anno dopo, anche se solo nel 2005 fu tolto dal registro dei 30 latitanti italiani più pericolosi dopo che l’esame del DNA sul corpo riesumato ne confermò l’identità. “Indagate meglio”, disse anni prima Donatella Colasanti che non credette alla versione della morte e, in effetti, furono più d’una le circostanze sospette: dagli avvistamenti “post mortem” di un uomo straordinariamente somigliante a Ghira di fronte alla casa romana di una prostituta, al medico legale cui toccò l’esame del DNA, già allieva della zia materna di Ghira.
La pena di Gianni Guido nel 1980 fu ridotta a 30 anni per aver firmato una lettera di pentimento e aver sostenuto il risarcimento milionario alla famiglia di Rosaria Lopez. Evaso nel 1981, nel 1994 fu arrestato a Panama ed estradato in Italia. Dal 2009 è in libertà, dopo aver finito di scontare la sua pena.
Angelo Izzo divenne quasi una star mediatica. I suoi occhi spalancati e la leggerezza con cui parlava dei dettagli degli omicidi e degli stupri sospetti accesero i riflettori su di lui. Ma incredibile fu il modo in cui la giustizia e la stampa finirono per esserne soggiogati al punto che, nel 2004, ottenne la semilibertà, riuscendo agevolmente a sfuggire a ogni controllo e avere tempo e modo di organizzare l’omicidio di Maria Carmela Linciano, moglie 49enne del figlio di un pentito della Sacra Corona Unita, e della figlia 14enne Valentina Maiorano.
È incredibile… Incredibile! Perché non era in carcere?
Donatella Colasanti urlò alla stampa tutto il suo sdegno.
Ora basta che nessuno parli più del massacro del Circeo. L’unica titolata sono io, che in tutti questi anni ho lavorato da sola mentre tutti facevano finta di niente, dai magistrati, ai ministri, ai giornalisti che pur di fare uno scoop intervistavano Izzo.
Lui al processo diede tutti i dettagli del caso, ridendo, raccontò di come ne “insacchettò” i corpi rammaricandosi per la bambina uccisa, perché, si sa
A volte tocca uccidere anche chi non c’entra niente
Era già successo un’altra volta
La giornalista Franca Leosini fece con lui una lunga intervista per Storie Maledette nel 1998, restituendone l’immagine di un uomo pentito, per poi commentare quanto successe in seguito a Vanity Fair
Fu un colpo terribile, mi ero illusa che fosse cambiato. Dopo il nuovo arresto l’avvocato mi recapitò una lettera in cui Izzo scriveva: ‘Sappia che non l’ho ingannata e quella parte di me nella quale ha creduto esiste veramente’. Sono certa sia così.
A parlare fu più lui che lei, Donatella Colasanti. Enzo Biagi si stupì quasi di lei quando, alla domanda” è stato peggio il dolore fisico o l’umiliazione morale?”, Colasanti rispose
L’ignoranza, la strumentalizzazione
Capire che l’unico interesse era di chi voleva vedere la sopravvissuta, come un’attrazione e conoscere i dettagli di quelle 36 ore.
Nelle aule c’erano solo donne. Per me dovevano intervenire tutti e non solo le donne. Loro sono uomini, ma non considero tutti gli uomini uguali… Non si tratta solo della violenza dell’uomo sulla donna.
Stupiva, non stupisce con il senno di poi: DonatellaColasanti aveva compreso che l’attenzione al massacro del Circeo era solo quella morbosa, quella che Angelo Izzo garantiva ai suoi intervistatori.
Lei voleva che l’attenzione fosse alla giustizia.
Dei milioni rifiutati disse solo
Che li accettavo a fare?
Già, a cosa servono i milioni se tu vuoi giustizia?
In una delle ultime interviste alla giornalista che le chiese, Com’è cambiata la vita di Donatella Colasanti dopo il 29 settembre 1975? rispose:
Ho sempre amato le cose belle, la musica. Quello che è successo non ha intaccato questa passione. Anzi, oltre al lavoro alla Regione, ho sempre coltivato un’attività di artista: ho scritto poesie, ho recitato in teatro. Ma negli ultimi anni ho dovuto sospendere per dedicarmi alle mie battaglie giudiziarie.
Ha paura degli uomini?
No, ma ho preferito stare sola, essere autonoma, come molte altre donne della mia generazione. Non ho sofferto per il fatto di non avere un marito, dei figli.
Non c’è stato nessun grande amore?
Uno solo, molto spirituale. Poi lui è dovuto partire, per lavoro. Ma non voglio dire di più, è un mio segreto.
A conti fatti è una donna felice?
E come potrei non esserlo? Sono una miracolata e ogni giorno devo ringraziare Dio per avermi salvata. Quelli come me hanno il dovere di essere felici!.
Morì pochi mesi dopo, il 30 dicembre 2005 a 47 anni di tumore al seno.
Questa non vuole proprio morire.
Furono queste parole di Izzo a farle capire, in quella villa al Circeo, che per tentare di salvarsi doveva fingersi morta.
Non è bastata la stessa determinazione a non tacere a darle la verità e la giustizia che ha cercato fino alla fine.
Oggi l’unico dei suoi aguzzini ancora in vita, proprio quell’Angelo Izzo che con i suoi occhi gelidi ha riassunto tutto l’orrore compiuto, sta scontando due ergastoli nel carcere di Velletri, e con lo stesso candore con cui descrisse all’epoca il massacro del Circeo avrebbe confessato, nel maggio 2018, di essere responsabile – con altre persone, fra cui Ghira – del rapimento, stupro e uccisione della diciassettenne Rossella Corazzin, una 17enne pordenonese di cui si persero le tracce il 21 agosto 1975 dai boschi di Tai di Cadore, nel bellunese.
Izzo ha spiegato che l’uccisione della giovane sarebbe avvenuta durante una vacanza del gruppo in Cadore e, nonostante il procuratore di Belluno, Paolo Luca, sul cui tavolo è finita la vicenda, abbia specificato che il mostro del Circeo non abbia fatto esplicitamente il nome di Rossella, “ha dato dei riferimenti sulla vicenda del rapimento, con la data del fatto, tali da far ritenere che si trattasse di Rossella Corazzin”. La scelta sarebbe ricaduta sulla giovane in quanto vergine.
La beffa, anche in questo caso, sarebbe che sia il rapimento che la violenza, risalenti ormai a 44 anni fa, siano caduti in prescrizione; l’unico reato sul quale si può continuare a indagare sarebbe l’omicidio, motivo per cui il magistrato nel 2018 ha trasmesso il fascicolo a Perugia, per incompetenza territoriale di Belluno. Sarebbe stato lo stesso Izzo, nel luglio 2019, a chiedere di essere processato per quell’omicidio, per “togliersi un peso dalla coscienza”.
Eravamo guerrieri, quindi stupravamo, rapinavamo, rubavamo – ha raccontato Izzo con il solito piglio freddo e imperscrutabile durante la cronaca dei suoi orrendi delitti – Questo come la nostra mentalità, aveva anche lo scopo di legarci tra noi, personaggi dell’ambiente pariolino.
Quei bravi ragazzi di cui si deve aver paura.
Giornalista professionista e responsabile editoriale di Roba da Donne, scrive di questione di genere. Per Einaudi ha scritto il saggio "Libere. Di scegliere se e come avere figli" (2024). È autrice di "Rompere le uova", newsletter ...
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