Chi è Elizabeth Short: la donna che sognava il cinema e finì massacrata
Elizabeth Short, la Dalia Nera, sognava di sfondare nel cinema ma è finita massacrata da un omicida che, ancora oggi, non ha volto né nome.
Elizabeth Short, la Dalia Nera, sognava di sfondare nel cinema ma è finita massacrata da un omicida che, ancora oggi, non ha volto né nome.
La storia di Elizabeth Short ha ispirato film (The Black Dahlia, diretto nel 2006 da Brian De Palma), episodi di serie tv (il nono episodio della prima stagione della serie televisiva American Horror Story si chiama proprio La Dalia Nera), e in effetti rimane ancora oggi, a distanza di 71 anni, uno dei grandi misteri della cronaca nera americana, e non solo.
Sì, Elizabeth Short era la ragazza divenuta famosa come la Dalia Nera, soprannome attribuitole nel periodo passato a Long Beach per la passione sconfinata per il film La Dalia azzurra e per l’abitudine di vestirsi sempre di nero. Elizabeth, che amava farsi chiamare Beth, era, in fondo, una delle tante ragazze partite da casa con una valigia piena di bei sogni tra le mani; nel suo caso, quello di diventare un’attrice famosa. Con questo scopo aveva lasciato la casa di Medford, nel Massachusetts, dove viveva con la madre Phoebe Mae e le quattro sorelle, per iniziare un lungo pellegrinaggio attraverso la California, nella speranza di un’opportunità, di un colpo di fortuna che le avrebbe aperto le porte della notorietà. Prima il trasferimento, per un brevissimo periodo, dal padre Cleo, che aveva abbandonato la moglie e le figlie, a Los Angeles, poi i guai a Santa Barbara, dove venne arrestata, ancora minorenne secondo le leggi vigenti nello stato, in stato di ebbrezza, quindi il salto a Hollywood. Nel mezzo, una parentesi in Florida, dove conobbe il maggiore dell’Aeronautica statunitense Matthew M. Gordon Jr., che, spedito al fronte, le scrisse chiedendole di sposarlo, ma poi morì, il 10 agosto 1945, in un incidente aereo.
Che la sua vita non fosse baciata dalla dea bendata, forse Elizabeth avrebbe dovuto capirlo: una storia familiare difficile alle spalle, una malattia, l’asma, che aveva funestato la sua adolescenza, un futuro marito morto ancor prima di celebrare le nozze.
Eppure, negli occhi della Dalia Nera c’erano tutta l’ambizione, la tenacia e la forza di volontà di chi è persuasa di poter sfondare nonostante tutto, anche a dispetto delle avversità. Una di quelle persone convinte, insomma, che la ruota prima o poi gira, e bisogna farsi trovare preparati.
Purtroppo, anche l’ennesimo trasferimento, questa volta nella dorata Hollywood, non le riserverà che amari risvolti: arrivata nell’agosto 1946 con il suo bagaglio carico di aspettative giovanili e di desideri, Elizabeth verrà chiamata a interpretare solo film pornografici, oltre tutto all’epoca illegali negli Stati Uniti.
Fino all’epilogo più tragico e spietato, il suo massacro, scoperto il 15 gennaio del 1947: il suo corpo, martoriato, torturato e spezzato letteralmente in due all’altezza del bacino, fu scoperto per caso da una mamma, Betty Bersinger, che passeggiava con la figlioletta di tre anni a Leimert Park, un quartiere meridionale di Los Angeles. Elizabeth, morta, giaceva abbandonata in un terreno non edificato sul lato ovest del South Norton Avenue, tra Coliseum Street e la West 39th Street. Solo in un secondo momento, dopo aver scorto quel corpo, la signora Bersinger si rese conto che apparteneva a una giovane donna e decise di avvertire la polizia, all’inizio pensava si trattasse di un manichino.
Elizabeth era stata vista viva per l’ultima volta il 9 gennaio, nel salone del Biltmore Hotel di Los Angeles, mentre probabilmente si trovava in compagnia di un uomo. Benché due uomini siano finiti sotto la lente della polizia californiana, le cui indagini furono tra le più vaste e dispendiose, a livello di uomini impiegati, mai messe in piedi dalle forze dell’ordine USA, il nome dell’assassino della Dalia Nera ancora oggi resta ignoto.
Un primo sospettato fu Robert M. Manley, detto “Red”, l’ultimo ad aver visto Elizabeth in vita. Dopo che il suo alibi fu verificato, l’attenzione si spostò però su Walter Alonzo Bayley, un chirurgo di Los Angeles, che aveva vissuto in una delle case vicine a quella in cui è stata ritrovata Elizabeth Short fino all’ottobre 1946, quando si era separato dalla moglie. Bayley morì nel gennaio 1948, a 67 anni, per una malattia degenerativa, ma dopo il decesso la sua vedova rivelò che l’amante del marito era a conoscenza di un “terribile segreto” che lo riguardava. Bayley non è mai stato ufficialmente iscritto nel registro degli indagati, ma certamente il detective Harry Hansen, fra i primi ad occuparsi del caso nel 1949, ipotizzò che l’assassino della Short fosse proprio un chirurgo molto esperto. Molti nell’opinione pubblica, che ovviamente seguì il caso con attenzione, sostennero, a riprova della colpevolezza di Bayley che, probabilmente, proprio lo stato patologico in cui versava potrebbe essere stato alla base della violenza con cui l’assassino aveva infierito sul corpo della povera Elizabeth, mentre altri hanno ipotizzato che dietro il “terribile segreto” conosciuto dall’amante del chirurgo ci fossero degli aborti clandestini da lui praticati, non un omicidio.
Insomma, molte teorie, ma nessuna verità. Inoltre, negli anni sono stati sollevati dubbi sull’efficacia con cui le indagini si sono svolte, perplessità, legate al modo in cui gli agenti californiani hanno seguito il caso, che dipendono soprattutto dalla mancanza di indizi evidenti: ufficialmente, infatti, non sono mai stati ritrovate né impronte di macchine, né tantomeno di scarpe, così come non fu recuperata neppure una fibra nel capo dove il brutale assassinio si era consumato. In totale, almeno 60 persone si auto-accusarono o furono accusate di omicidio, mentre dai documenti ufficiali degli investigatori della Polizia di Los Angeles risultarono 22 sospettati “principali”.
Elizabeth fu sepolta il 25 gennaio 1947 nel Mountain View Cemetery a Oakland, California, non a Medford, ma senza giustizia. Le speculazioni sul suo omicidio furono davvero moltissime, alcune che inevitabilmente si legarono anche alla sua vita privata, alle illazioni sul fatto che fosse una ragazza squillo, che si prostituisse. Niente di confermato, neppure dalle autorità, ma evidentemente sufficiente a trasmettere quella sensazione, totalmente ingiusta, per cui la sua morte, il suo femminicidio potessero “valere di meno”. Perché, in fondo, si trattava di una ragazza “facile”, di una che frequentava brutti giri e si era scelta una carriera poco dignitosa.
In pochi, pochissimi, videro nel volto deturpato di quella ragazza di soli 23 anni le ambizioni, i sogni, i desideri comuni a molte coetanee, l’aspirazione di diventare una stella, la volontà di farcela. Per tutti era la Black Dahlia, per quasi nessuno, purtroppo, la giovanissima vittima di un folle omicida che le aveva strappato via tutto.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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