Quando si viene a contatto con la cultura giapponese, si sente spesso parlare di ikebana. Ma di cosa si tratta? Semplicemente di un’arte che consiste nel creare composizioni floreali. Attenzione però a non banalizzare la questione: non si tratta certo di mettere un mazzo di fiori in un vaso con un po’ d’acqua. Insieme ai fiori, vengono posti anche rami, tronchi, foglie e naturalmente fa parte della composizione anche il contenitore. Vi chiederete: e in cosa tutto questo si discosta dal mestiere di qualunque bravo fioraio? Un fioraio occidentale agisce in base a dei dettami meramente estetici, chi si occupa di ikebana affronta un’attività che è innanzi tutto filosofica.

L’ikebana è un’arte antica, giunta in Italia solo negli anni ’60 del Novecento, ma che arrivò in quella che oggi consideriamo la sua patria, il Giappone, nel VI secolo d.C., essendo un’attività originaria di India e Cina. L’affermarsi del buddismo nella nazione nipponica ha consentito il proliferare di quest’arte, innanzi tutto collegata alla consapevolezza – di tipo scientifico – che lega religione e natura. Inoltre, iniziarono a diffondersi delle composizioni di tipo votivo. In un mondo fortemente globalizzato, oggi quest’attività è venuta a contatto con molte culture ben differenti da quelle originarie.

Ikebana, il significato

Ikebana
Fonte: Pixabay

Il termine significa «disporre fiori», perché è composto da ike- (prendere vita) e -bana (fiore). In pratica, con quest’arte, i fiori prendono vita. Il termine è appunto utile per capire meglio quello che dicevamo prima circa il confronto con l’opera del fioraio. Il fioraio interviene, in pratica, badando non ai propri sentimenti, per trasmetterli all’ambiente che lo circonda, ma alle richieste del committente, al proprio gusto personale e ad altre istanze che hanno a che vedere con una natura fortemente pratica, non spirituale. Chi pratica l’ikebana mette cuore e cervello al servizio di un’attività fortemente complessa. E il risultato colpisce, non esclusivamente a livello sensoriale.

Ikebana, le composizioni

Quando parliamo di composizioni ikebana, dobbiamo operare una differenziazione tra diversi stili. Uno di essi si chiama Rikka e prevede la presenza di tre rami principali e quattro secondari. Un altro stile, più semplice però, prende invece il nome di Nageire, che era tuttavia abbastanza austero. Più semplice e meno austero è invece il Seika. Oggi però esistono molti più stili, anche perché ogni scuola ha elaborato il proprio, con elementi peculiari.

In generale però tutti gli stili hanno degli elementi in comune. E cioè che, per esempio, tutto ciò che viene utilizzato nell’ikebana viene disposto a forma di triangolo – perché tutto si basa su un sistema ternario. Simbolicamente, il numero 3 ha a che vedere con il rapporto tra cielo, terra e uomo, che devono armonizzarsi tra loro. Di solito si parte con il ramo più lungo, che deve essere verticale, per poi aggiungere gli altri due. Infine, ci sono delle composizioni speciali che riguardano la cerimonia del tè. C’è addirittura un nome specifico per quest’occasione: chabana, ovvero «fiori per il tè».

Ikebana, libri sull’argomento

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Tra i tanti volumi che trattano dell’arte dell’ikebana, sono molto utili quelli che mescolano piano pratico a piano filosofico. Tra le varie pubblicazioni possiamo citare per esempio “Ikebana – L’arte dei fiori per tutte le stagioni” di Rie Imai e Yuji Ueno, che propongono 53 originali composizioni, realizzabili in diversi periodi dell’anno. Per addentrarsi in questa materia affascinante dal punto di vista teorico c’è invece “Lo Zen e l’arte di disporre i fiori” di Gusty Herrigel, che spiega come tutti gli aspetti culturali nipponici si compenetrino tra loro. Infine c’è “Ikebana – L’arte di disporre i fiori nelle celebrazioni liturgiche” di Jeanne Emard, che analizza il complesso rapporto tra fiori e ricorrenze, ma esplora anche il concetto di composizione come lode a Dio.

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