Perché si chiamano giorni della merla e dovrebbero essere i più freddi
Perché si chiamano giorni della merla? Ecco da dove arriva questa leggenda che, anche se non risponde al vero (lo dice la meteorologia), resta sempre affascinante.
Perché si chiamano giorni della merla? Ecco da dove arriva questa leggenda che, anche se non risponde al vero (lo dice la meteorologia), resta sempre affascinante.
Preparate cappotti, sciarpe, cappelli e guanti: stanno arrivando i giorni della merla, ovvero il periodo dell’anno che, come vuole la tradizione popolare, è il più freddo dell’anno. Già, ma da dove nasce il mito che associa alla merla la venuta del clima rigido di fine gennaio, e perché si chiamano proprio giorni della merla?
Tradizionalmente i cosiddetti giorni della merla sono gli ultimi tre giorni di gennaio, 29, 30 e 31, oppure gli ultimi due giorni di gennaio e il primo di febbraio. Questi, vuole la tradizione, sarebbero i tre giorni più freddi dell’anno; anche se, ad essere onesti, la realtà ultimamente sembra smentire il mito popolare, dato che le statistiche meteorologiche degli ultimi decenni contrastano nettamente con il detto, non rivelando nessun vero calo significativo di temperature rispetto al resto del periodo invernale. Certamente, però, ormai i giorni della merla sono entrati nell’immaginario collettivo e nella cultura di ciascuno di noi, ed è sempre affascinante conoscere le origini della leggenda che ha contribuito a coniare questo nome particolare.
In realtà, benché la matrice sia più o meno simile per tutti, non esiste una sola leggenda sui giorni della merla; diciamo che ogni regione o quasi ha la propria versione della storia, in cui l’elemento in comune, comunque, è naturalmente l’uccellino dal caratteristico piumaggio nero (o marrone). Già nel 1740, come spiega Wikipedia, Sebastiano Pauli pubblicava due ipotesi di spiegazione:
“I giorni della Merla” in significazione di giorni freddissimi. L’origine del quel dettato dicon esser questo: dovendosi far passare oltre Po un Cannone di prima portata, nomato la Merla, s’aspettò l’occasione di questi giorni: ne’ quali, essendo il Fiume tutto gelato, poté quella macchina esser tratta sopra di quello, che sostenendola diè il comodo di farla giugnere all’altra riva. Altri altrimenti contano: esservi stato, cioè un tempo fa, una Nobile Signora di Caravaggio, nominata de Merli, la quale dovendo traghettare il Po per andare a Marito, non lo poté fare se non in questi giorni, ne’ quali passò sovra il fiume gelato.
Insomma, secondo Pauli l’origine della leggenda trarrebbe spunto da un fiume, il Merla, oppure da una nobildonna che oltrepassò il fiume proprio negli ultimi giorni di gennaio. Ma secondo altre fonti la spiegazione della locuzione deriva dalla leggenda secondo cui una merla e i suoi pulcini, in origine neri come gli adulti, per ripararsi dal gran freddo si rifugiarono dentro un comignolo, dal quale uscirono il primo febbraio, tutti grigi a causa della fuliggine. Da quel giorno tutti i merli femmina e i piccoli sarebbero diventati grigi. La leggenda cerca in questo modo di spiegare la differenza fisica nella livrea del merlo, che è bruna/grigia (becco incluso) nelle femmine, mentre è nera brillante (con becco giallo-arancione) nel maschio. Un’altra versione, in cui si ha la personificazione dei personaggi, sostiene che una merla fosse regolarmente presa di mira da Gennaio, che si divertiva ad aspettare che lei uscisse dal nido in cerca di cibo, per gettare sulla terra freddo e gelo. Stanca delle continue persecuzioni del mese dispettoso, la merla decise per una volta di fare provviste sufficienti per un mese, prima di chiudersi nella sua tana per tutto il mese di gennaio, che allora aveva solo ventotto giorni. L’ultimo giorno del mese, la merla uscì dal nascondiglio cantando, pensando di aver ingannato il cattivo Gennaio, che, risentito, chiese in prestito tre giorni a febbraio e si scatenò con bufere di neve, vento, gelo, pioggia. La merla fu quindi costretta a rifugiarsi in un camino, dove restò al riparo per tre giorni, ma quando ne uscì il suo bel piumaggio si era ingrigito a causa della fuliggine del camino, restando così per sempre. Insomma, ciò che accomuna le versioni, oltre alla merla, è un camino, la cui fuliggine sarebbe responsabile del cambio di colore del piumaggio dell’uccello. Esistono, come detto, alcune varianti regionali della storia, come nel cremonese, dove i giorni della Merla sono il 30, 31 gennaio e 1º febbraio; la leggenda dice infatti che ci fu un gennaio particolarmente mite, e in quegli anni i merli erano di colore bianco e deridevano Gennaio per il fatto che l’inverno stesse finendo senza che ci fosse stato un gran gelo. Ciò fece arrabbiare il mese che, pur essendo quasi al termine, si vendicò facendo arrivare un freddo polare. Proprio per le condizioni inclementi, i merli, allora bianchi, si rifugiarono all’interno dei comignoli, dai quali uscirono tutti neri. Nel forlivese e nel cesenate, invece, si narra di una merla bianca che aveva atteso tutto l’inverno al caldo del suo nido fin quando, gli ultimi tre giorni di gennaio, convinta fosse arrivata la primavera, uscì. Fu quindi accolta da un freddo glaciale, tanto intenso che, per salvarsi la vita, la merla fu costretta a ripararsi all’interno di un camino fumante. Un racconto maremmano dice invece che due merli, un maschio e una femmina, di colore originariamente bianco, durante un “diaccio marmato” (freddo glaciale) a fine gennaio, trovarono rifugio dentro il comignolo di una casa e vi rimasero per tre giorni, salvo poi ritrovarsi neri una volta usciti.
Nella tradizione pagana il 1° febbraio, che come abbiamo detto per alcuni corrisponde a uno dei giorni della merla, si celebra la festa di Imbolc – detta anche Oimelc o Imbolg – termine che potrebbe derivare da Imb-folc, cioè “grande pioggia”, motivo per cui in molti Paesi celtici questa ricorrenza è detta appunto “Festa della pioggia”. Secondo la leggenda gli esseri fatati si radunavano per celebrare Brigit, la Dea della Luce (chiamata anche Brigantia), divinità del triplice fuoco dell’arte, della fucina, delle tradizioni conservate e della guarigione; per questo, ancora oggi è in uso, presso alcuni contadini, la tradizione di appendere nastri colorati ai rami degli alberi di loro proprietà, per esorcizzare la malasorte e segnarli come simulacri delle malattie da cui vogliono essere guariti. La festa si celebrava anche accendendo lumini e candele, fino a che, in epoca cristiana, Imbolc venne “inglobata” dalla Candelora, e la ricorrenza della dea Brigit si trasformò in quella di Santa Brigida. Durante Imbolc è tradizione accendere dei falò, visto che il fuoco è considerato sotto il suo aspetto di luce e di purificazione, cose che possiamo notare dalle giornate che si allungano e dal sole che che prepara la terra per la prossima semina. La leggenda vuole che in questi giorni elfi, folletti, fate benedicano di nuova luce la propria casa, girando per le stanze in senso orario con in mano una candela bianca accesa, mentre gli elfi si recano in un bosco o in un prato per raccogliere una penna d’uccello, una pietra o un sacchetto d’erbe da portare nell’abitazione. Le fate, invece, hanno il compito di spazzare fuori l’uscio per far uscire le energie morte dell’anno passato. .
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
Cosa ne pensi?