La dura vita dei gay dietro le sbarre di una prigione
La vita in prigione per chi è omosessuale non è un paradiso: ecco le testimonianze dell'inferno di alcuni ex carcerati, sottoposti a stupri e vessazioni
La vita in prigione per chi è omosessuale non è un paradiso: ecco le testimonianze dell'inferno di alcuni ex carcerati, sottoposti a stupri e vessazioni
La sveglia, i pasti, il tempo passato in bagno, le pause, i momenti di ricreazione: la vita di qualsiasi persona condannata alla prigione viene monitorata ventiquattro ore su ventiquattro. Si tratta di vere e proprie società monosessuali, in cui l’interazione con la famiglia e gli amici è ridotta all’osso. In un contesto di questo tipo, non stupisce come ogni detenuto possa diventare emotivamente e fisicamente dipendente dagli altri, sotto molti punti di vista. L’esistenza di gruppi forti, talvolta vere e proprie gang, non è di certo un concetto nuovo nel sistema carcerario.
Si crea così una sorta di sottocultura più o meno latente, con le sue regole e i suoi schemi. La sessualità dei detenuti, in particolare, è un tema che viene studiato da decenni. Come raccontato dall’associazione Human Rights Watch, nel 1934 Joseph Fishman studiò per la prima volta le abitudini sessuali all’interno di una prigione maschile. A quel tempo l’omosessualità era considerata un reato e molti uomini venivano arrestati solo per il fatto di essere gay. Il ricercatore aveva indagato le dinamiche comportamentali, osservando come i detenuti che lui chiamava “lupi”, ovvero quelli più forti, prendessero di mira proprio quelli omosessuali, facendoli oggetto di reiterate vessazioni.
Gli aggressori (o lupi) all’interno della prigione usavano e usano tuttora comportamenti violenti per assumere un ruolo dominante verso gli altri soggetti più deboli. Sono tante le storie di violenze e soprusi raccontate da chi in prigione c’è stato. La realtà degli omosessuali e dei transgender non è molto lontana dagli eccessi visti al cinema o nelle serie tv. Gli stupri all’interno dei carceri accadono regolarmente e possono essere incredibilmente brutali. Spesso, inoltre, si tratta di forme di sottomissione sessuale subdole, accompagnate da continue minacce psicologiche e verbali, difficili da eludere in un sistema così chiuso.
Dopo una manciata di giorni in prigione, il 23enne Rodney è stato vittima di tre episodi di violenza sessuale da parte di cinque compagni di cella. Ha raccontato la sua esperienza a Mel Magazine.
La mia prima settimana è stata l’inferno sulla Terra. Una tortura fisica, mentale ed emotiva. Dopo essere stato violentato, ho fatto quello che mi chiedevano. Era quello che si aspettavano. Non c’era modo di proteggermi, dato che avevo 23 anni ed ero terrorizzato per la mia stessa vita. Non ho detto niente a nessuno perché temevo che la mia esistenza fosse a rischio. Ho imparato in fretta che l’etichetta di “spione” era peggio di quella di “finocchio”.
Pur essendo gay, Rodney ha voluto smentire l’opinione popolare secondo cui la prigione sia il paradiso degli omosessuali. Essere minacciati, violentati e obbligati a rapporti contro la propria volontà è quanto di più lontano dal paradiso.
Un detenuto della Florida ha scritto a Human Rights Watch per raccontare la sua esperienza. Secondo lui ci sono diverse forme di violenza sessuale all’interno della prigione.
Prima di tutto c’è quello che io considero “stupro forzato con il corpo”, perché non ho altre parole per spiegarlo meglio. Questo è il tipo di violenza in cui uno o più individui attaccano una sola persona, forzandola a fare sesso orale o anale. Il secondo è lo “stupro dietro minaccia”. Un esempio può essere quando un individuo dice a un individuo più debole che per evitare di essere violentato deve sottomettersi. Il terzo e più comune è quello che io definisco l’uso delle paure di una persona per convincerlo a fare sesso… Tra compagni di cella ci si chiede se anche quello sia stupro. Per me lo è.
Quando non sono gli altri detenuti, a volte persino le guardie si accaniscono sui detenuti gay, considerati più deboli degli altri. Lo ha raccontato a Vice un uomo che ha provato a denunciare le angherie delle guardie, ma senza essere ascoltato.
Quando abbiamo problemi con lo staff della prigione, dobbiamo seguire la procedura reclami. Ho avanzato diversi reclami verso il personale della prigione che mi chiamava “finocchio” o con altri nomi dispregiativi, ma il risultato è sempre lo stesso. L’amministrazione mi fa sapere che il personale ha categoricamente smentito le mie accuse. Le bugie delle guardie vengono automaticamente accettate come verità.
Web content writer e traduttrice. Parlo poco, scrivo tanto e cito spesso Yeats.
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