Lo scorso 6 settembre il giornalista del The Guardian George Monbiot ha pubblicato un interessante editoriale in merito allo stile di vita ‘verde’ e alla società ‘usa e getta’ verso cui le multinazionali sembrerebbero volerci condurre. Molti gli spunti di riflessione offerti dall’autore, che si sofferma soprattutto sul consumo e lo smaltimento di un materiale complesso come la plastica. Ma la domanda che si pone realmente è: quale sarebbe il corretto modo di vivere sul nostro pianeta oggi?

Il punto cruciale è che servirebbe una corretta educazione su questi temi, piuttosto che aggirare gli ostacoli con palliativi tutt’altro che risolutivi. Perché al di là delle risorse a disposizione, il problema non è solo la plastica e la soluzione non sta semplicemente nell’adottare materiali biodegradabili. Il nodo della questione è lo stile di vita, indipendente da ciò che consumiamo o cerchiamo di riciclare.

Pensare che adottare uno stile di vita ‘bio’ possa essere una soluzione è semplicistico: uscire dalla cultura usa e getta è ciò a cui dovremmo ambire, per il bene del nostro pianeta.

Infatti i dati parlano chiaro: la popolazione mondiale è in crescita e con essa, ovviamente, anche i consumi e il fabbisogno di risorse. Ad oggi, però, ciò che consumiamo va ben oltre le disponibilità del nostro pianeta. Quelle che sfruttiamo, sono risorse paragonabili a quelle di quattro pianeti messi insieme, non solo della Terra. Un ritmo divenuto ormai insostenibile e che porterà al collasso. Spiega il giornalista:

La nostra fame di plastica è un grave problema ambientale e le campagne per limitarne l’uso sono ben motivate e talvolta efficaci. Ma non possiamo affrontare la nostra crisi ambientale scambiando una risorsa sovrasfruttata con un’altra. 

Dalle tazze di plastica alle biodegradabili: è davvero la soluzione?

starbucks
Fonte: Istock

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la richiesta, avanzata di recente a Starbucks, di sostituire le sue tazze di plastica con tazze biodegradabili fatte di amido di mais.

In molti, sui social, hanno condiviso la notizia dichiarandosi favorevoli alla proposta, senza però chiedersi come si ricava l’amido di mais, quante coltivazioni e quanti terreni servirebbero per produrne una tale grande quantità, quali sarebbero gli effetti negativi sul suolo. Questo tipo di coltivazione, infatti, è nota per causare l’erosione del suolo e perché richiede dosi piuttosto elevate di pesticidi e fertilizzanti. Ma nessuno si è posto queste domande, soffermandosi solo sull’apparente soluzione definitiva di sostituire la plastica con un materiale biodegradabile usa e getta.

Il nostro pianeta ci chiede a gran voce di mobilitarci non solo nella direzione della riduzione dei consumi, ma anche in quella della riduzione della spazzatura prodotta. L’inquinamento è un problema di fronte a cui non possiamo girarci dall’altra parte e per prenderlo di petto, Monbiot dice che bisogna:

[…] combattere il potere delle multinazionali, cambiare i risultati politici e sfidare il sistema basato sulla (continua) crescita che consuma il pianeta e che noi chiamiamo capitalismo.

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Il settore ittico è uno di quelli più problematici, perché sta portando ad un vero e proprio collasso ecologico dei mari. Un effetto a cascata divenuto ormai irreversibile. La plastica che va ad alimentare l’inquinamento dei nostri mari è strettamente collegata alle attività di pesca.

Una curiosità: il 46% della spazzatura del Great Pacific Patch (l’enorme accumulo di spazzatura che galleggia nell’Oceano Pacifico) è costituito da reti e altri attrezzi da pesca. Tutto ciò è pericolosissimo per la vita marina, molto più di altre forme di rifiuti.

La conclusione di George Monbiot è:

Le tazze di caffè usa e getta prodotte con nuovi materiali non sono solamente una ‘non soluzione’: sono una perpetuazione del problema. Difendere il pianeta significa cambiare il mondo.

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