Abbiamo scelto volutamente di mettere questa foto, che ritrae una ragazzina, appena entrata nell’età dell’adolescenza, di spalle, i lunghi capelli biondi che ondeggiano al vento, lo sguardo rivolto verso un orizzonte scuro ma ancora sufficientemente limpido per chi lo guarda con gli occhi dell’ingenuità.

L’abbiamo scelta perché sua sorella, Claudia Salvi, l’ha postata su Facebook, raccontando un episodio davvero indegno in cui, con lei, suo malgrado si è trovata coinvolta.

 Mia sorella ha una particolarità che la contraddistingue – scrive Claudia nel post – di cui è sempre andata fiera: i suoi lunghi e bellissimi capelli biondi. Mia sorella, però ha anche un grosso problema: è nata femmina.

Chiaro che già qui, in questa frase che stride come le unghie sulla lavagna, si capisce che il discorso non prenderà una bella piega. E mica perché Claudia pensi che sia un problema nascere femmina; semmai, perché qualcun altro, forse, ti induce a pensarlo.

 Questa sera a mia sorella è arrivata la prima molestia da parte di un uomo, anzi un verme, e tutto è avvenuto sotto i miei occhi. Una scena che tutte noi purtroppo conosciamo, una routine a cui siamo abituate, tutte, dalla prima all’ultima, un modus vivendi assodato nella nostra società: un uomo, fermo con le quattro frecce lungo la strada le ha urlato ‘Ma guardate che bella bionda’. Riportata così la frase pare quasi un complimento, ci potrà essere chi penserà che stia facendo un monologo per nulla, purtroppo il tono non lo posso riprodurre tramite delle parole scritte, ma io lo conosco bene, è quello lascivo a cui tutte noi, almeno una volta nella vita, qualcuno si è rivolto, perché magari quel giorno avevi deciso di metterti la gonna che ti piaceva tanto, oppure perché la tua altezza ti fa spiccare rispetto alle altre persone, o magari semplicemente il perché non lo comprendi.

Già, a quante di noi è capitato di ricevere frasi, commenti inopportuni, imbarazzanti, e magari di sentirci pure dire che eravamo troppo presuntuose, che in fondo erano solo complimenti, che mica ci si può offendere se uno ti dice che hai un bel paio di chiappe o di tette!

Soprattutto, quante di noi hanno rinunciato alla libertà di essere se stesse, di indossare un paio di pantaloni skinny che ci facevano sentire assolutamente fighe, un top più scollato del solito o, magari, di portare una chioma come quella di questa ragazzina, solo per sentirci al sicuro, dalle molestie indesiderate prima, dai giudizi critici di chi ci ritiene troppo altezzose per apprezzare i complimenti poi?

Oppure solo per non essere costrette ad avvertire noi stesse come “sbagliate”, cosa che sembra uscire dagli sguardi e dai mormorii della gente ogni volta che si osa un po’ di più nell’abbigliamento, nel trucco, con il tacco? Per non essere costrette a sentirsi fare la morale da perfetti padri pellegrini, “Certo che se vai in ufficio con la camicia sbottonata è normale che ti guardino il seno”.

Certo, come se fosse una legge della fisica, come se fosse d’obbligo sbirciare nella scollatura delle donne protetti da quell’insana logica per cui “Beh, se lo ha fatto è perché vuol farsi guardare”.

Anche questa ragazzina porta i capelli lunghi e biondi perché vuole attirare le attenzioni maschili? No, tant’è che, come spiega Claudia nel prosieguo del post, sta pensando di tagliarli. Perché è lei a sentirsi sbagliata, in errore, è lei a pensare di doversi cambiare. Non i maiali che hanno urlato a una ragazzina con lo stesso tono sguaiato da maschio Alpha con cui si va a fare l’elenco delle conquiste al bar con gli amici, no. Lei.

Parliamo tanto di femminismo e di parità dei diritti, ci battiamo per poter avere uno stipendio equo a quello di un uomo, fatichiamo tanto e poi mia sorella inizia a chiedersi se si debba tagliare i capelli, perché attirano troppo l’attenzione. Che società è questa, che porta una bambina a sentirsi sbagliata solo perché ha una particolarità. La verità è che non basta più essere impegnate, essere audaci e farsi valere: c’è bisogno che agli uomini venga insegnato il rispetto, e questo deve partire dalle famiglie, affiancate dalla scuola.

È un discorso che abbiamo fatto molte volte, un tasto dolente che, pure, dovrebbe rappresentare il primo mattone per (ri)costruire una società scevra da sessismi e maschilismi di qualsiasi genere: quello dove non è la donna in quanto tale a dover modificare il proprio essere, ma le persone in generale educate al rispetto verso tutti, e delegittimate dall’idea di essere libere di dire, o fare, tutto ciò che vogliono. Eppure, siamo sempre e ancora la società che preferisce commercializzare foulard anti stupro o pistole al peperoncino, piuttosto che insegnare agli uomini che l’epoca del machismo, del padre padrone e del matrimonio riparatore è finita da un pezzo.

Siamo la società che insegna alle donne a difendersi, non agli uomini che non devono offendere. Ma, anche accettando questo fatto, difendersi non è facile, e Claudia lo sa.

 Fatto sta che il mio istinto da pit-bull è fuori uscito prorompente, e mi sono voltata nella direzione dell’uomo, pronta a rifilargli un secco ‘ma che cazzo vuoi pervertito di merda!’. Ma nulla di tutto ciò è uscito dalla mia bocca, perché anche io ho un grosso problema: anche io sono una femmina. Ho notato subito che non era da solo, ma si accompagnava ad altri quattro uomini che ridacchiavano, come se a 40 anni l’importunare una bambina (perché mia sorella non ha minimamente il corpo da donna ed è ancora una bambina) fosse il massimo. In quel momento mi sono sentita impotente, inutile e assolutamente fragile. Nella mia testa ho scartato l’opzione di rispondergli a tono perché avevo paura, per me ma ancora di più per mia sorella, loro erano in quattro, se fossero scesi dalla macchina cosa avrei potuto fare? E allora sono stata zitta, ho ingoiato un rospo più amaro del solito, perché questa volta non se l’erano presi con me, ma addirittura con la mia sorellina che ha ben dieci anni in meno rispetto a me. Però il mio orgoglio non mi ha evitato lo sguardo carico di disprezzo nella loro direzione. E la cosa aberrante è che quel verme ha avuto l’acume di commentare ‘Cos’ha quella? È gelosa forse?’

Che dobbiamo fare, allora? Sperare che gli individui in cui sono incappate Claudia e sua sorella siano solo un’esigua rappresentanza maschile, che siano l’eccezione (negativa) rispetto a una regola che parla di rispetto e devozione verso la donna? Forse, ma ciò non toglie la gravità del fatto. La gravità che un’adolescente possa arrivare a pensare di dover rinunciare a se stessa e all’espressione di sé per non attirare sguardi e frasi non apprezzate, per “sparire”, per passare inosservata. Ha ragione Claudia, quando dice che

 Forse la risposta è ancora una volta nelle nostre mani, forse starà a noi donne ferite da questa società cambiarla, educando, da mamme o da insegnanti, le future generazioni al rispetto, che sia esso di genere, di credo politico o religioso, di etnia, di cultura e inculcarlo una volta per tutte come principale valore sopra ogni altro.

Ma per ora siamo sempre nel rango dei “forse”, in cui non possiamo, purtroppo, dire che questa ragazzina non abbia buone ragioni per credere che siano i suoi capelli lunghi il problema, e non l’atteggiamento degli altri. Perché è dall’esterno che arriva questa percezione, questo sentire, e non è solo un sentire maschile, ve lo assicuriamo.

Noi, però, le chiediamo di non rinunciarci: di non rinunciare alla sua bellissima chioma bionda, di far crescere i suoi capelli e di tagliarli, un giorno, solo quando l’avranno stufata e non le andranno più. Fino ad allora, le chiediamo di non cedere ai ricatti di un mondo ingiusto e forse misogino, di portare con fierezza i suoi capelli, di indossarli come un segno distintivo. Fallo per te, fallo un po’ per tutte noi.

 

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