“Nascere maschi=nascere figli di un boss”: leggere prima di insultare Michela Murgia
Il post di Michela Murgia sul maschilismo paragonato alla mafia ha fatto discutere non poco. Ma il suo non è un attacco ai maschi, ma a un intero sistema.
Il post di Michela Murgia sul maschilismo paragonato alla mafia ha fatto discutere non poco. Ma il suo non è un attacco ai maschi, ma a un intero sistema.
Michela Murgia è una abituata a dire e scrivere quello che pensa senza troppi fronzoli ed edulcorazioni, conscia anche del potere che le sue parole hanno, e delle possibili, conseguenti critiche che potrebbe ricevere. Del resto, con l’ultimo libro, Istruzioni per diventare fascisti, con tanto di “fascistometro” con cui misurare il proprio grado di appartenenza agli ideali del regime, ha fatto ampiamente capire che poco le importa l’idea di doversi scontrare con quella parte di pubblico risentito e offeso che giudica i suoi lavori indegni, e che la libertà di pensiero e opinione è l’unica cosa che le interessi davvero perseguire. Perciò, forse lei per prima si aspettava il vespaio di polemiche che si sarebbe scatenato per uno dei suoi ultimi post pubblicati su Facebook, questo.
L’argomento, lo si capisce fin dalle prime righe, è di quelli delicati e da trattare coi guanti, perché il paragone è forte, immediato, potente.
Nascere maschi in un sistema patriarcale e maschilista è un po’ come essere figli maschi di un boss mafioso. Non sai nemmeno cosa sia la mafia, ma da quel momento tutto quello che mangerai, berrai, vestirai verrà dall’attività mafiosa.
La Murgia continua, dicendo:
È colpa tua se sei nato in casa di un mafioso? Ovviamente no. Non sei tu il capomafia, non hai fondato tu la cosca, non hai murato bambini nei piloni, non hai ucciso giudici con l’esplosivo, non spacci droga e non chiedi il pizzo a nessuno. Però vivi lì e se hai occhi e orecchie da un certo punto in poi non potrai più dire: non sapevo con chi stavo vivendo. […] Fino a quando potrai fare finta che tutto questo avvenga per ragioni diverse dal fatto che sei figlio del boss? Verrà un momento in cui avrai davanti tre scelte possibili e due sono molto chiare: tradire il boss o diventare il boss. Ce n’è però una terza, più sfumata e furba: restare “figlio del boss” senza assumersi responsabilità operative, godendo lo stile di vita che deriva dall’attività criminale senza però commettere mai direttamente un crimine. Altri uccideranno, altri spacceranno e faranno prostituire, altri si comprometteranno. Tu continuerai a dire: “cosa c’entro io? Perché guardi me? Non ho mai ammazzato nessuno, mai nemmeno tirato di coca, figurati venderla!”
Il significato del discorso è estremamente chiaro, parla di responsabilità: quella che porta a denunciare un sistema evidentemente corrotto, sbagliato, ingiusto, senza assumere una parte esclusivamente passiva e starsene lì a guardare, ben consapevole che il non agire significa il non poter avere colpe. Un comportamento decisamente comodo, insomma, che non richiede coraggio né azione, ma che alla lunga è deleterio e non aiuta a cambiare le cose. Sia che si parli di mafia, sia che si parli di maschilismo.
Allora perché il discorso della Murgia ha attirato tante critiche, al punto che molti, nei commenti sotto il post, si sono chiesti “in quale presa elettrica abbia infilato le dita” o perché voglia continuare a “ergersi a paradigma della mediocrità intellettuale”?
Perché forse Michela, nel suo discorso, ha effettivamente trascurato un piccolo dettaglio: perché è vero, come qualcuno le ha fatto notare, che il nascere maschio è un fattore biologico, l’essere o crescere come maschilista è un valore culturale, da cui anche le donne possono essere influenzate.
Questo, val la pena precisarlo, non giustifica comunque e in alcun modo coloro che, al posto di argomentare, hanno liquidato le sue considerazioni con brevi ma eloquenti insulti, cosa che, sfortunatamente, sembra essere diventato però lo sport preferito di molti quando si tratta di esprimere un’opinione via social: al posto di manifestare i motivi del proprio dissentire, che ci sta, e ci sta tutto, è molto più facile usare, come in questo caso, parole come “scema”, “malata mentale”, che non rendono certamente onore al merito del loro autore né, tantomeno, alla causa che si sta cercando di portare avanti.
La nostra società è maschilista, inutile nascondersi dietro un dito: ma il nascere maschilista in una società maschilista non è prerogativa esclusiva degli uomini, e il crescere con determinate convinzioni che appartengono a retaggi antiquati, ma tutt’oggi molto radicati, strascico di quel modello patriarcale forse mai davvero dimenticato, dipende da elementi diversi rispetto al semplice sesso di nascita, e come tale l’essere maschilista deve essere valutato. La cultura maschilista con cui cresce un individuo non è data dal suo genere, ma dall’educazione familiare, ad esempio; o da componenti soggettive che, nel percorso di crescita, ciascuno di noi acquisisce, e che diventano parte integrante della sua persona. Dall’ambiente che, esattamente come accade in quello mafioso, talvolta tende a indottrinare e a soffocare ogni qualsivoglia altro elemento di libertà e indipendenza intellettuale.
Per seguire il leitmotiv della Murgia, anche le donne di mafia sanno in quale ambiente crescono o vivono, e se non denunciano, se fanno spallucce e si voltano dall’altra parte, sono responsabili tanto quanto gli uomini che appartengono a quel mondo anche se non vi agiscono direttamente.
Quindi il discorso, e questa è la sola critica che possiamo permetterci di fare al discorso di Michela, dovrebbe essere allargato a tutti, non solo agli uomini. Perché, ahinoi, ci sono anche donne che perpetrano i più sordidi stereotipi maschilisti, e non serve andare troppo in là con la memoria per trovarne degli esempi perfetti, ma fermarsi a questo articolo, ad esempio, a leggere i commenti che proprio dalle donne arrivano, ad ascoltare quelle che, di fronte alla vittima di uno stupro, hanno bisogno di indagare su vestiario e atteggiamenti per capire se, in fondo, non ci sia stata una certa corresponsabilità anche da parte di lei.
È anche da loro, quindi, che ci si dovrebbe aspettare un gesto, un’azione, una parola, affinché le cose cambino. Perché che la società sia tutt’oggi patriarcale fino al midollo è un dato di fatto, e in fondo non è stata la Murgia la prima a ricordarcelo, ma il Manuale per ragazze rivoluzionarie, come Giulia Blasi ha giustamente fatto notare in questo post.
Visualizza questo post su InstagramUn post condiviso da Giulia Blasi (@lagiuliab) in data:
In realtà, purtroppo, il discorso della Murgia è decisamente più ampio e desolante, proprio perché non facilmente circoscrivibile a una tipologia di persone, a una categoria. Magari davvero il maschilismo e il patriarcato si potessero eliminare convincendo tutti gli uomini a schierarsi dalla parte delle donne! Ma di fatto la verità parla anche di donne, molte, tristemente devote a questo insano ideale di cultura, ed è anche da loro che si dovrebbe pretendere la responsabilità di non restare passivi di fronte all’invadente presenza patriarcale, ma di ribellarsi e agire concretamente. Esattamente come si dovrebbe fare con la mafia.
La questione, quindi, non è “nascere maschi”, ma è nascere “figli/e di un boss”, ovvero figli/e di un sistema che, anche se scegliamo di non prendervi parte attivamente, dovrebbe essere interesse comune abbattere.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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