"Le mulatte e le sudamericane sono sexy" e le altre frasi che complimenti non sono
Quando si esalta un'etnia, è probabile che la si disprezzi: ecco in cosa consiste il feticismo razziale e perché dovremmo combatterlo.
Quando si esalta un'etnia, è probabile che la si disprezzi: ecco in cosa consiste il feticismo razziale e perché dovremmo combatterlo.
Le parole sono importanti diceva Nanni Moretti in Palombella rossa. Perché a volte le parole nascondono – o, per chi le conosce, rivelano – insulti di vario genere. È questo che fa il feticismo razziale, una forma di disprezzo/apprezzamento per uomini e donne che presentano caratteristiche etniche particolari come il colore della pelle, i capelli, la forma degli occhi che richiamano lo stereotipo di un determinato popolo. Queste frasi comprendono sia pseudo complimenti come «impazzisco per gli uomini di colore», «le giapponesi sono sexy», «le latinoamericane sono incredibilmente formose» ma anche esternazioni del tipo «ma come non ti piace ballare? Sei latino!» o maliziose aspettative fondate unicamente sulla nazionalità dell’altro.
Non è sempre facile capirlo, ma dietro a tali affermazioni, anche quelle “positive”, si nasconde del retaggio razzista. Ci sono secoli e secoli di razzismo nel feticismo razziale, che è di fatto una perpetuazione degli stereotipi. Vice ha raccolto alcune testimonianze che raccontano come certi commenti non siano affatto lusinghieri.
Qua a Milano – spiega il rapper nigeriano Tommy Kuti, cresciuto a Brescia – c’è un universo di ragazze bianche che vogliono stare solo con neri e in media ne hanno tutte un’idea molto stereotipata. Si immaginano che siamo tutti dei ballerini eccezionali, swag, con un forte carattere. Purtroppo a me hanno fatto notare che non so ballare come gli altri neri.
Il feticismo razziale ha radici antiche. Risale, per esempio, al momento in cui, negli Stati Uniti dello schiavismo, i padroni delle piantagioni violentavano le schiave africane o venivano accusati immotivatamente degli schiavi neri di aver violentato donne bianche – e di possedere delle dimensioni notevoli nella patta dei pantaloni. La questione è proseguita con il colonialismo e con quel paternalismo à la Faccetta nera. E poi si è evoluto, a doppio senso quando la Cina si è aperta all’Occidente – e i cinesi hanno iniziato a guardare le donne caucasiche per i loro occhi rotondi, mentre gli occidentali hanno cominciato a desiderare le donne cinesi per la remissività stereotipata di tutte le donne asiatiche – sì, perché come nota ancora Vice, per noi italiani tutti gli asiatici sono cinesi (ed ecco forse uno degli stereotipi più comuni).
Mi definisco un feticista razziale moderato – si legge nel vecchio post in prima persona del blog Scienze Non Tanto Morbide – Non mi capita di associare stereotipi sessuali espliciti alle persone, ma mi capita di valutare le persone nere che incontro per la loro “nerezza” invece che per la loro personalità. Voglio il mio amico nero, la mia amica nera, la mia ragazza nera, non mi riesco ad immaginare con una ragazza non-nera. Spesso mi rendo conto di sfiorare la maniacalità nel guardare ragazze in giro e nell’apprezzarne la bellezza: non mi interessa neanche il loro carattere, né quello che dicono, mi rendo conto di trattarle come modelle o peggio come manichini etnici.
In tutto questo, forse i destinatari del maggiore feticismo razziale sono le latinoamericane o le mulatte, perché assommano gli stereotipi relativi a più etnie differenti. E c’è anche il fatto che le origini di alcuni personaggi del mondo dello spettacolo, da Grace Jones a Jennifer Lopez, vengano utilizzati spesso per rafforzare questi stereotipi/insulti. No, non tutti gli africani sono portati per il ritmo o sono superdotati, così come non tutti gli asiatici sono remissivi o sottodotati.
È chiaro come il confine tra insulto e complimento, tra razzismo consapevole e ingenuità sia molo labile in questi casi. Per intenderci: non vi è nulla di male (né razzista) nell’avere una predilezione per determinate caratteristiche fisiche, che possono andare dai fianchi larghi, alla pelle scura, agli occhi a mandorla e anche per membri di certe dimensioni. E non è neppure un crimine attribuire alcune di queste categorie a determinate etnie umane (non è razzismo, è statistica). Diventa però offensivo quando non riusciamo a scendere dalla teoria per calarci nella pratica, nella realtà, in cui il singolo individuo ha poco a che fare con i numeri. Diventa quindi scorretto sorprenderci se una determinata persona non rispetta quei canoni che pensavamo avesse solo perché appartenente a un’etnia ed è altrettanto molto arido ricercare persone che abbiano quelle caratteristiche, a prescindere dalla loro interiorità. Certo, si può fare, ma non stupiamoci se l’altro si sentirà trattato come un pezzo di carne sul banco del macellaio. È dunque razzismo se ancor prima di conoscere l’individuo, gli si attribuiscono pregi e difetti solo per via della sua “razza”, non riuscendo a comprendere che ogni persona è molto di più del suo colore, della sua lingua, della sua religione…
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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