Centri antiviolenza: una guida da condividere con tutte le donne che conosciamo
Quando una donna è in pericolo, può chiedere aiuto: ecco cosa sono i centri antiviolenza, come funzionano e come contattarli.
Quando una donna è in pericolo, può chiedere aiuto: ecco cosa sono i centri antiviolenza, come funzionano e come contattarli.
Dal 2018, l’Istat conduce annualmente un’indagine “sulle prestazioni e i servizi offerti” dai centri antiviolenza e dalle case rifugio, interrogando gli addetti di 302 Cav sul territorio nazionale. Secondo l’ultima rilevazione, le donne che vi si sono rivolte sono 49.394, in aumento del 13,6% rispetto all’anno precedente. Tra queste donne, il 18% è straniera e il 63% ha figli – nel 67,7% dei casi minorenni.
Perché quando le donne – ma a volte anche gli uomini – hanno bisogno di aiuto concreto per sfuggire alla violenza su più livelli, si rivolgono ai centri antiviolenza. Si tratta di organizzazioni senza scopo di lucro – come per esempio delle Onlus – che hanno un primo approccio con le donne vittime o potenzialmente vittime di violenza – che sia fisica, psicologica o economica poco importa – e che le guidano in un percorso di liberazione dalla violenza e, naturalmente, dalla paura (anche se quest’ultimo percorso è lunghissimo e accidentato). Perché a volte il primo e più difficile passo è proprio chiedere aiuto. Ci si sente molto sole in queste situazioni, soprattutto perché quasi sempre il carnefice tende a isolare la vittima e vive in casa con lei.
La pandemia, la quarantena e l’isolamento forzato hanno peggiorato questa situazione, in molti casi rinchiudendo in casa con il proprio carnefice le vittime e diminuendo drasticamente le possibilità di chiedere aiuto. Basta dare un’occhiata allo Speciale Emergenza Covid-19 pubblicato dall’Istat per rendersi conto della portata del fenomeno:
Nel 2020 le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking, sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019, sia per telefono, sia via chat (+71%).
Il boom di chiamate si è avuto a partire da fine marzo, con picchi ad aprile (+176,9% rispetto allo stesso mese del 2019) e a maggio (+182,2 rispetto a maggio 2019), ma soprattutto in occasione del 25 novembre, la giornata in cui si ricorda la violenza contro le donne, anche per effetto della campagna mediatica. Nel 2020, questo picco, sempre presente negli anni, è stato decisamente più importante dato che, nella settimana tra il 23 e il 29 novembre del 2020, le chiamate sono più che raddoppiate (+114,1% rispetto al 2019).
Ad aumentare sono state soprattutto le chiamate delle giovanissime sotto i 24 anni e delle donne sopra i 55. Nei primi 5 mesi del 2020 sono state 20.525 le donne che si sono rivolte ai CAV: nell’8,6% dei casi, la violenza ha avuto origine da situazioni legate alla pandemia (es. la convivenza forzata, la perdita del lavoro da parte dell’autore della violenza o della donna).
Per fortuna, in tutta Italia e anche in altri Paesi, ci sono tanti professionisti che, con il loro lavoro volontario, riescono a far fronte a quelle situazioni che potrebbero perfino diventare dei femminicidi e che, anche se in difficoltà a causa del lockdown, hanno saputo trovare strategie per continuare a fornire i propri servizi.
I centri antiviolenza sono strutture in cui delle persone prestano aiuto volontariamente per contrastare la violenza. Solitamente i casi riguardano la violenza di genere e quindi sono soprattutto le donne a rivolgervisi. In queste strutture, le donne in pericolo possono trovare l’aiuto di psicologi, avvocati, medici e le più varie categorie di professionisti per una consulenza e un aiuto pratico.
Non sono una realtà recente: sono nati negli anni ’80 sull’onda delle mobilitazioni femministe del decennio precedente, quando grazie alle analisi sviluppate dal movimento femminista, la violenza domestica iniziò ad emergere come fenomeno strutturale e si cercò di trovarvi una risposta.
Da allora si iniziarono a creare strutture per aiutare e sostenere donne – e i minori coinvolti – nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza.
Sebbene già dall’inizio degli anni ’90 i centri in Italia abbiano cercato di fare rete tra loro, non c’è ancora una normativa nazionale. Nel 2006, 35 centri antiviolenza hanno siglato la Carta dei centri antiviolenza, per individuare dei valori comuni sulla base dei quali orientare il proprio operato. Nella carta vengono citati alcuni dei principi che identificano l’identità e la metodologia dei Centri tra cui:
il considerare la violenza maschile alle donne come una violenza che ha radici nella disparità di potere tra i sessi, che i Centri sono costituiti e gestiti solo da donne, che viene garantito alle donne anonimato e sicurezza. E molti altri ancora. Questi sono solo alcuni dei punti per definire la filosofia dei Centri, diversi per storia, nascita, rete sociale e politica in cui sono inseriti, per collocazione su tutto il territorio (da Merano a Palermo), ma uniti da un legame, oggi, ancora più forte ed esplicito.
Il funzionamento dei centri antiviolenza è molto semplice. Ci si reca o si telefona a quello più vicino a casa vostra e si ha un primo contatto con un operatore. Questo operatore vi mette in contatto, in forma assolutamente sicura, con le altre figure del team – psicologi, avvocati e medici in primis – per poi dare avvio a vere e proprie azioni pratiche per aiutare la donna in difficoltà.
Solitamente si agisce immediatamente sulla questione economica e sull’eventuale custodia dei figli – per allontanare il pericolo dell’uomo violento sia dalla donna che dalla prole – con una casa, un lavoro e un iter di natura legale. Il supporto, però, avviene a 360 gradi.
I centri antiviolenza svolgono attività di consulenza psicologica e legale, sostegno, formazione, promozione, sensibilizzazione e prevenzione, orientamento e accompagnamento al lavoro.
La loro azione, però, non si limita a intervenire nei casi di violenza e di richiesta di aiuto, ma cerca di andare alla radice del problema, cercando di prevenire invece di curare. “Prevenzione” significa organizzare manifestazioni ed eventi di sensibilizzazione – spesso questi centri aderiscono e promuovono ad esempio la Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne il 25 novembre – ma non solo.
Significa agire sul territorio di riferimento, cercando di eliminare alla radice i retaggi maschilisti – perché violenze di genere e femminicidi partono proprio da lì. In particolare, quest’azione è tanto più importante sulle nuove generazioni, che solitamente sono più sensibili e ricettive a queste input.
Ci sono due strade per trovare un centro antiviolenza. È possibile chiamare il numero istituzionale, il 1522 – il cosiddetto Telefono Rosa – che serve per dare un primo supporto alle donne in difficoltà a metterle in contatto con il centro più vicino. In alternativa, sul sito comecitrovi.women.it, esiste una mappatura di queste strutture sul suolo italiano (anche se potrebbe non essere esaustiva, tanto che sul sito si invita a suggerire delle correzioni e soprattutto delle integrazioni).
Di seguito un elenco, ovviamente non esaustivo, delle principali associazioni o reti di CAV a cui è possibile rivolgersi per chiedere aiuto o per avere un’indicazione sulle sedi a cui rivolgersi:
È molto difficile, quando si è all’interno della spirale di un rapporto malsano, comprendere il pericolo. Le avvisaglie della violenza domestica ci sono sempre e sono molteplici, perché riguardano la violenza fisica, psicologica ed economica, ma è difficile riuscire a vederle con chiarezza quando si vive un rapporto abusivo. Più spesso possono essere le nostre amiche a notare tutto, i genitori, fratelli e sorelle o altri parenti che siamo riuscite a tenere vicino.
Reama, Rete per l’Empowerment e l’Auto Mutuo Aiuto – Sportello Antiviolenza online, ha anche creato un semplice test online completamente anonimo
attraverso il quale è possibile capire se si sta vivendo all’interno della coppia, con il proprio marito, fidanzato, convivente, amico o ex partner, una conflittualità particolarmente forte o una qualche forma di violenza, quale sia il pericolo di subire ulteriori vessazioni, se è necessario rivolgersi a qualcuno per farsi aiutare.
Attraverso 20 domande a risposta multipla, il test restituisce un “profilo di violenza” che la persona sta vivendo o ha vissuto, sulla base del quale vengono dati consigli e indicazioni utili su cosa è opportuno fare.
Ovviamente, le indicazioni non sono universali e ogni caso deve poi essere valutato assieme agli specialisti del centro antiviolenza; nondimeno può rappresentare un primo strumento per aprire gli occhi sulla realtà della propria relazione e un primo passo, che può essere percepito come meno drastico e definitivo, verso una richiesta di aiuto.
Curiosa, polemica, femminista. Leggo sempre, scrivo tanto, parlo troppo. Amo la storia, il potere delle parole, i Gender Studies, gli aerei e la pizza.
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