Piccole schiave del sesso vendute dalla famiglia

Se ne parla troppo poco, solo quando le loro povere vite vengono stroncate e diventano un fatto di cronaca. Le schiave del sesso, bambine, ragazze che non sono considerate esseri umani, ma un prodotto ad altissimo rendimento per le organizzazioni criminali.

Hanno storie molto simili le schiave del sesso,  spesso vendute dalla propria famiglia, vengono in Italia con la promessa di un lavoro. Si tratta spesso di ragazzine, alcune poco più che bambine che vengono comprate e sbattute sul marciapiede dopo essere state violentate. Sono costrette a prostituirsi per riscattare un debito, gli viene detto che dovranno restituire migliaia di euro. il prezzo per essere arrivate in Italia, dove potranno mangiare e pagarsi un posto dove dormire. Migliaia di bambine, ragazze partite soprattutto dalla Nigeria, ma anche dall’Africa settentrionale, dall’Asia e dall’America latina. Sono giovani donne reclutate con il miraggio di una vita migliore, comprate e vendute fino all’ultimo anello della catena, quando vengono cedute agli sfruttatori che le prendono in ostaggio ( altissima è la cifre che devono pagare per riscattare la loro libertà), predatori che cancellano con la violenza i loro sogni e che le costringono a prostituirsi. L’Italia occupa uno dei primi posti in questo fiorente mercato e, nella grande fabbrica umana attiva in tutto il mondo con almeno cinquecentomila ragazze “trafficate” soltanto in Europa per un giro di danaro di ben oltre 13 miliardi di dollari, i clienti del Belpaese figurano ai piani alti nella lista degli “utilizzatori finali”.

E’ scioccante la radiografia del fenomeno che emerge dal libro di Giuseppe Carrisi, La fabbrica delle prostitute.

“La tratta degli esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale è un business estremamente redditizio, e con pochi rischi per chi lo gestisce, in mano a network criminali con connessioni in tutto il mondo (attualmente il tasso di crescita è di circa il 40-50% all’anno, con un aumento esponenziale dei profitti). Secondo le Nazioni Unite, nel 1991, la somma ricavata dai trafficanti era di oltre 2,5 miliardi di dollari, mentre alla fine degli anni Novanta si aggirava tra i 7 e i 13 miliardi di dollari, facendo registrare un incremento del 400 per cento. Gli ultimi dati dell’Onu parlano di un volume di utili complessivo di 32 miliardi di dollari all’anno che, spesso, va di pari passo con il traffico di armi e droga. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni stima che, nella sola Europa occidentale, siano oltre mezzo milione le donne trafficate. Quantificare numericamente l’esercito di queste nuove schiave è molto difficile: queste ragazze, infatti, provengono da realtà povere, sconvolte dalla guerra dove i nuclei familiari spesso non esistono e i bambini, alla nascista, non vengono registrati all’anagrafe. Inoltre, nella maggior parte dei casi, sono clandestine (soprattutto quelle provenienti dal Continente Nero) e, quindi, sfuggono ad ogni tipo di stimao di controllo. Nel nostro Paese, in particolare, poi, a finire nel mercato del sesso a pagamento, oltre alle donne, ci sono 40 mila transessuali, 10 mila dei quali che vivono prostituendosi. Di questi, il 60 per cento è di origine sudamericana: arrivano soprattutto dal Brasile, dalla Colombia, dal Perù, dall’Argentina e dall’Ecuador. E la maggior parte di loro diventa vittima di sfruttamento, alimentando un giro d’affari che supera i 20 milioni di euro al mese”.

“Uno dei Paesi in cui ha origine il traffico delle ragazze è la Nigeria, lo Stato più popoloso del Continente Nero. Secondo i dati emersi dalla ricerca “La tratta delle minorenni nigeriane in Italia”, pubblicata nel 2010, negli ultimi dieci anni solo in Italia sono state circa 25 mila le donne nigeriane coinvolte nel business della prostituzione, di cui 2.500 minorenni. Oltre che dalla Nigeria, le vittime di questo business arrivano anche dall’Asia, dall’America Latina, dall’Africa Settentrionale e Orientale, dal Medioriente, dalla Russia, dalla Cina e, in percentuale maggiore, dall’Europa dell’Est (Albania, Romania, Ucraina, Moldavia, Ungheria, ecc…). Le conseguenze derivate dalla trasformazione di quest’area, dalla persistente e sempre più accentuata divisione economica tra Nord e Sud del mondo e dall’esplosione di crisi complesse di carattere interno e internazionale, ha prodotto in questi ultimi anni un aumento delle diseguaglianze sociali, della conflittualità inter-etnica, degli autoritarismi, della militarizzazione dei territori e, in ultima analisi, della precarietà delle condizioni di vita. Tutte cose, queste, che spingono, le giovani donne (i soggetti più vulnerabili, insieme ai bambini) a cercare altrove prospettive di vita migliori, finendo così nella rete della criminalità organizzata che approfitta della loro situazione di assoluto bisogno. Un esempio può aiutarci a capire la portata del fenomeno. A Bangkog, dove l’industria del sesso rappresenta una fetta rilevante del lavoro femminile retribuito, nella seconda metà degli anni Ottanta si potevano contare circa 100 mila prostitute su 241 mila donne occupate; dopo meno di dieci anni, le donne impiegate in quest’attività in tutta la Thailandia erano oltre 2 milioni, di cui il 40 per cento minorenni“.

Quali le organizzazioni criminali maggiormente attive sulla scena internazionale?

“L’attuale scenario economico globalizzato rappresenta un terreno fertile per il proliferare del business mondiale dello sfruttamento schiavistico, in mano ad organizzazioni mafiose transnazionali o a potenti lobbies. Come i “negrieri” dell’antichità, questi network criminali “catturano” le loro vittime con la forza, la minaccia, l’inganno, ma anche con mezzi più subdoli, approfittando della condizione di necessità in cui si trovano. Prezzate, vendute o barattate, queste persone finiscono nelle mani dei loro sfruttatori finali quando sono state ormai completamente spogliate della propria dignità. I principali gruppi attivi nei settori del traffico e della tratta sono quelli albanesi, cinesi, nigeriani, maghrebini, rumeni. Gli albanesi gestiscono la prostituzione con modalità particolarmente violente; per i nigeriani, la tratta rappresenta un’attività primaria ed è lo strumento maggiore di autofinanziamento per lo sviluppo di altri traffici, soprattutto di stupefacenti. Nella tratta a scopo sessuale i nigeriani hanno raggiunto standard di alto livello, gestendo interamente ogni fase dal momento del reclutamento sino allo smistamento nei vari settori dello sfruttamento. Per i cinesi il traffico di migranti e la tratta di persone sono un mezzo indispensabile per tutte le attività commerciali diramate all’estero. Vi sono, poi, i maghrebini che hanno accresciuto la loro importanza nella gestione del traffico di migranti, in particolare nell’area sub-sahariana; i russi, che hanno un ruolo crescente per lo snodo dei flussi di migranti clandestini provenienti dal Sud-Est asiatico e dalla Cina. Molto attivi sono, infine, i moldavi, che spesso operano con rumeni e italiani, i quali favoriscono l’ingresso di migranti destinati alla prostituzione o al lavoro nero”.

 

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