Madri di Plaza de Mayo: 4 storie strazianti di donne e dei loro figli desaparecidos
La storia dei desaparecidos in Argentina è ancora viva: per questo le Madri di Plaza de Mayo chiedono verità e giustizia.
La storia dei desaparecidos in Argentina è ancora viva: per questo le Madri di Plaza de Mayo chiedono verità e giustizia.
La storia dei Paesi dell’America Latina si studia sempre troppo poco a scuola. Ma ci sono molte storie che vale la pena conoscere. Quella che stiamo per raccontarvi – quella delle Madri di Plaza de Mayo – è quella di un gruppo di donne che lotta per la giustizia da oltre 40 anni.
Nelle loro vicende troverete dignità, pervicacia per un giusto riconoscimento dei loro figli, ma anche elementi comuni ad altre storie che cominciano con una dittatura – e quindi anche a qualche celebre romanzo distopico.
È il 1976, siamo in Argentina. Juan Perón è morto due anni prima, e il potere è nelle mani di Rafael Videla che con un golpe – cioè un colpo di stato, l’ennesimo in questa nazione – ha reso autoritaria la società. Durante il periodo che va dal ’76 al 1983 (dopo Videla, seguì la cosiddetta «dittatura dei generali», una dittatura militare), le libertà precedentemente concesse dalla Costituzione furono soppresse e il governo si trasformò in un regime reazionario pronto a distruggere ogni forma di dissenso.
È in questo periodo che iniziano a scomparire le persone. Parliamo di dissidenti – o anche solo semplici sospetti – che come in ogni dittatura vengono catturati, interrogati, torturati e – peculiarità di questa forma di tirannia – fatti sparire. I dissidenti, dai semplici studenti agli operai, poi sindacalisti, giornalisti, non vengono trovati morti: non vengono trovati affatto, mai più.
Ma non ci sono solo dissidenti: ci sono bambini e adolescenti, catturati per fare pressione sulle loro famiglie. Le Madri di Plaza de Mayo sostengono che in quei sette anni i desaparecidos (letteralmente «scomparsi, rapiti») siano stati 30mila, i militari ne hanno ammessi solo 9mila, mentre le fonti ufficiali parlano di 11mila, a seguito di una recente inchiesta. E questa è una ragione per cui queste donne valorose continuano la loro lotta.
Quella delle Madri di Plaza de Mayo è un’associazione, divisa per la verità in due tronconi. In entrambi, in forme diverse, ci sono donne, madri di desaparecidos, che cercano di ottenere verità e giustizia per i loro congiunti, scomparsi durante la dittatura dei generali in Argentina e mai più ritrovati, neppure senza vita.
Le due fazioni nell’associazione sono nate perché non tutte condividono le stesse metodologie: in particolare, una parte di queste madri ha dovuto accettare nel tempo – a causa della crisi economica – un compenso in denaro come indennizzo, cosa che invece altre hanno percepito come un fallimento della loro ricerca di verità e giustizia.
Le storie di queste madri sono contenute nell’archivio orale di Memoria Abierta e alcune di esse sono state tradotte in italiano da VociGlobali. Il primo raduno delle Madri di Plaza de Mayo risale al 30 aprile 1977: fu da un lato un raduno organizzato, dall’altro spontaneo. Le madri dei desaparecidos non si conoscevano tra loro, forse si erano incrociate in qualche palazzo governativo dove erano andate a chiedere informazioni senza ottenerne. Ma si diedero convegno quel giorno.
All’inizio venivano fatte spostare dai militari armati, che impedivano loro di radunarsi anche solo fingendo di lavorare a maglia, poi hanno iniziato a girare intorno alla piramide di Plaza de Mayo, di fronte alle stanze del potere, attirando sempre più persone, dai parenti agli amici, fino ai giornalisti di altri Paesi. Qualcuna veniva arrestata e fingeva lo svenimento: le altre intorno a lei rimarcavano lo stress affrontato, perché il figlio le era stato rapito.
L’idea – racconta una madre a Memoria Abierta – era quella di unirsi a chi stava cercando qualcuno. Alla fine ci siamo ritrovate ad essere 14 madri alla ricerca dei propri figli «scomparsi». Li stavamo cercando ed esigevamo delle risposte.
La storia di Azucena è probabilmente la più emblematica tra quelle delle Madri di Plaza de Mayo. Fu infatti lei a invitare le altre a raccogliersi in quel luogo, com’era effettivamente tradizione a Buenos Aires. Nel dicembre del 1977, i militari arrestarono alcune madri, tra cui Azucena, che si trovava nei pressi della sua casa.
Accadde nella Giornata Internazionale dei Diritti Umani: quel giorno alcuni quotidiani pubblicarono la prima petizione delle Madri di Plaza de Mayo. Azucena non fece più ritorno a casa, così come Maria ed Esther, rapite dalla polizia mentre erano nella chiesa della Santa Croce nel giorno della Madonna Immacolata. E come i loro figli. Si ritiene che i loro corpi – ritrovati nel 2005 – siano stati sepolti su una spiaggia di Buenos Aires.
Estela è una sopravvissuta alla dittatura militare e ancora oggi una delle due guide dei tronconi delle Madri. Estela, con le altre socie, lavora sul recupero della memoria, anche quella precedente alla dittatura, cioè lo scenario socio-economico su cui la tirannia si è innestata. Estela è però anche la fondatrice delle Nonne di Plaza de Mayo. Si tratta di un’associazione affine a quella delle Madri, che è stata fondata nel 1977 e mira a ritrovare i bambini sottratti alle famiglie negli anni della dittatura e ricollocati nelle famiglie dei gerarchi – sì, esattamente come in The Handmaid’s Tale.
Questi bambini hanno oggi all’incirca 40 anni e probabilmente ignorano la propria origine. Per ritrovarli si ricorre al mtDna, cioè il Dna mitocondriale, che si trasmette per via matrilineare e quindi può riconnettere i nipoti alle loro nonne.
Le Madri lottano ancora oggi, anche se forse non rivedranno mai più neppure i resti dei loro figli. La giustizia resta una loro priorità: nel 2017, la legge è sembrata orientata verso la parziale assoluzione – legale, ma anche politica e storica – di coloro che si macchiarono di crimini umani durante gli anni della dittatura dei generali. Contro questo orientamento, le Madri di Plaza de Mayo scesero in piazza, così come continuano a fare ogni giovedì negli ultimi oltre 40 anni, girando intorno alla piramide della piazza.
Con loro un immancabile fazzoletto bianco in testa – il loro simbolo – che non è un foulard, ma richiama i pannolini in tela in cui queste donne avvolsero i loro figli neonati.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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