La danza è quella magica arte di descrivere il mondo e le sensazioni dell’anima attraverso il corpo; la danza è una continua tensione dello stomaco che nei movimenti lievi e nei volteggi rocamboleschi diviene il baricentro emotivo del nostro io; la danza ci sbatte davanti la magnificenza della nostra struttura fisica che è in grado di fare tutto e di saper tradurre quello che a parole non siamo in grado di esprimere.

La danza, tutta, in ogni suo stile, forma, declinazione e genere è un continuo inno alla vita, un urlo che rompe qualsiasi barriera e arriva dritto lì, sì, proprio lì dove custodiamo brutture e bellezze del nostro spirito; la danza ci trasforma da “verme immondo ad angelica farfalla” anche se non calcheremo mai un palcoscenico; la danza è libertà e massima espressione di sé; e, soprattutto, quel dispettoso e geniale satiro che abbiamo dentro e che ci fa muovere e sentire le vibrazioni del nostro corpo, non conosce genere femminile o maschile, ma appartiene – per fortuna – all’intera umanità.

Peccato che ancora oggi quando un bambino mostra delle inclinazioni verso questa nobile arte, specie per il genere classico, sia, nella maggior parte dei casi, stroncato, tarpato e deviato verso sport, tradizionali, veri e nerboruti perché considerata una disciplina per femmine e per gay o aspiranti tali; non si pensa mai, invece, che è un insegnamento che implica sacrificio, che scolpisce il corpo e la volontà ed educa alla fermezza e al rispetto di sé; ma di questi tempi è meglio non rischiare, no?

Gli haters e i bigotti sono sempre più agguerriti e pericolosi, quindi è preferibile dirottare sin da piccoli certe fantasie su qualcosa di più concreto e canonico, hai visto mai che si corra il pericolo di rendere i bimbi, i futuri adulti di domani, felici e liberi sin da subito? Per fortuna, però, che l’umanità non ha vissuto sempre momenti così bui e oscurantisti e ci ha regalato talenti di cui il mondo e i regimi totalitari non hanno potuto liberarsi così facilmente, ma che anzi ci hanno donato nuove prospettive e tanta, tanta bellezza da sembrare irreale.

Nureyev – The White Crow, distribuito da Eagle Pictures e diretto da un delicato e preciso Ralph Finnies che nel film interpreta Alexander Pushkin, uno dei maestri e mentori del grande ballerino russo (Maksimilian Grigoriyev da bambino e Oleg Ivenko da adulto) ricostruisce con arte e amore la storia e la determinazione di Rudolf Nureyev, il “corvo bianco” (ossia un outsider) che con la sua personalità, a tratti insopportabile, e il suo rigore hanno cambiato per sempre le regole della danza.

La pellicola, tratta dalla biografia Nureyev: The Life scritta da Julie Kavanagh, gioca e danza tra fotogrammi che tendono quasi al bianco e nero per i flashback e immagini a colori per il presente narrativo, creando un fluo narrativo ipnotico e soave e si concentra su un momento storico ben preciso della vita del “flying tatar”: il 1961, anno importantissimo per l’umanità per i grandi mutamenti sociali, politici e scientifici a cui stava assistendo quasi incredula,  quale il primo uomo nello spazio con Jurij Gagarin, e l’insediamento di John Kennedy alla Casa Bianca. 

In quell’anno, all’età di 23 anni, Rudolf arriva a Parigi con la Compagnia di Balletto del  Teatro Kirov di Leningrado e conquista tutti con i suoi movimenti; soprattutto Nureyev conquista la sua libertà interiore, si affranca dalle catene della paura e del suo passato e dà sfogo a tutto il suo carattere da sempre ribelle e riottoso alle imposizioni che lo limitavano nella sua capacità di espressione.

Il suo modo di danzare, ispirato ai movimenti delle ballerine a cui, per sua stessa ammissione, deve molto, ha dato nuova dignità e nervo interpretativo ai ruoli maschili fino quel momento molto statici e compassati. La sua energia sul palco, tanto da renderlo acrobatico nelle movenze, il suo estremo rigore professionale tanto da fargli sanguinare i piedi a fine giornata e animato da un’instancabile ricerca della perfezione, la sua insaziabile fame di arte e di conoscenza verso la pittura e la poesia, dalle quali egli stesso traeva ispirazione per le sue interpretazioni, lo hanno reso fin da giovanissimo un icona dell’arte sacra a Tersicore.

Grazie al suo approccio libero e pieno di sé, ogni confine tra balletto classico e moderno è superato e a quel giovane e bellissimo tataro si deve la nascita di un nuovo DNA per chiunque voglia ballare. Nel 1961 i suoi colleghi parigini tra cui Pierre Lacotte (Raphaël Personnaz) e gli amici intellettuali tra i quali Clara Saint (Adèle Exarchopoulos) vedono e comprendono tutto questo e aiutano Nureyev a richiedere asilo politico in Francia e a non essere rimpatriato in Unione Sovietica che non aveva tollerato la sua indisciplinatezza e non gli aveva perdonato la sua allergia alle regole e la fraternizzazione con l’Occidente e il mondo capitalista. Tutto il resto è storia.

E se ancora non avete chiaro il potere e la bellezza della danza, fate a voi stessi un ulteriore regalo dopo aver visto questo film. Ascoltate la fantastica canzone di Lucio DallaBalla, balla, ballerino” di cui vi riportiamo il testo qui sotto, perché letta o cantata è sempre una grande poesia che ci ricorda che la libertà e la determinazione di noi stessi sono valori inalienabili, per tutti noi. Se poi li esprimiamo danzando, è ancora meglio.

“Balla balla ballerino tutta la notte e al mattino
Non fermarti balla su una tavola fra due montagne
E se balli sulle onde del mare io ti vengo a cercare
Prendi il cielo con le mani vola in alto più degli aeroplani

Non fermarti sono pochi gli anni forse sono solo giorni
E stan finendo tutti in fretta e in fila
Non ce n’è uno che ritorni
Balla non aver paura se la notte è fredda e scura

Non pensare alla pistola che hai puntato contro
Balla alla luce di mille sigarette e di una luna
Che ti illumina a giorno balla il mistero
Di questo mondo che brucia in fretta quello che ieri era vero

Dammi retta non sarà vero domani
Ferma con quelle tue mani il treno Palermo-Francoforte
Per la mia commozione c’è una ragazza al finestrino
Gli occhi verdi che sembrano di vetro

Corri e ferma quel treno fallo tornare indietro
Balla anche per tutti i violenti veloci di mano e coi coltelli
Accidenti se capissero vedendoti ballare di essere
Morti da sempre anche se possono respirare

Vola e balla sul cuore malato illuso sconfitto poi abbandonato
Senza amore dell’uomo che confonde la luna con il sole
Senza avere coltelli in mano ma nel suo povero cuore
Allora vieni angelo benedetto prova a mettere i piedi sul suo petto

E stancarti a ballare al ritmo del motore ed alle grandi parole
Di una canzone canzone d’amore ecco il mistero
Sotto un cielo di ferro e di gesso l’uomo riesce ad amare lo stesso

Ama davvero senza nessuna certezza
Che commozione che tenerezza”

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