A chi vuoi più bene? A mamma o a papà?

Queste due domande sono state il leitmotiv della mia infanzia e a pormele in maniera totalmente disarmante, quasi fosse il gioco della verità, erano le vecchie zie del paese natale dei miei genitori, nel quale andavamo in vacanza in estate. C’era sempre un momento in cui qualcuna di loro che non vedevi per mesi e di cui neanche ricordavi l’esistenza si avvicinava a te, ti carezzava la testa, si complimentava per quanto eri cresciuta e per gli ottimi risultati scolastici e con una stilettata degna del miglior spadaccino, ti metteva davanti tale atroce dubbio amletico: mamma o papà?

Come se io o qualsiasi altro mio coetaneo a 10 o  a 12 anni fossimo in grado di svelare i misteri dell’umanità o come se il bene per uno dei due genitori si potesse misurare e comprare a chili. La stupidità degli adulti, a volte, è davvero incommensurabile. Crescendo, ne ho avuta sempre più consapevolezza e certezza.

Se, però, le mie vecchie zie ponevano tali domande con un’innocenza quasi fanciullesca, animate da una sorta di pourparler giocoso anche se terrificante, c’è, invece, chi fa sul serio e pretende che i ragazzini debbano vestire i panni dei “grandi” nei confronti delle enormi decisioni della vita e si sostituiscano ai propri genitori nelle scelte più importanti. Guarda caso, tutto ciò si verifica, nella maggior parte dei casi, nei momenti più critici della coppia o a ridosso dei divorzi quando le famiglie stile Mulino Bianco si trasformano nel remake, tristemente vero e reale, de La Guerra dei Roses o dei Kramer contro Kramer.

E anche se tale situazione ci è raccontata in una commedia, Mamma o Papà appunto, diretta da Riccardo Milani e interpretata da Paola Cortellesi e Antonio Albanese, quella sensazione di amaro in bocca non passa, perché a farci ridere possono essere la bravura degli attori a interpretare la ridicolaggine in cui è possibile cadere quando adottiamo escamotage di ogni sorta per non affrontare le situazioni, ma a farci riflettere  – e seriamente – dovrebbero essere le reazioni dei tre ragazzi che vanno dagli otto ai sedici anni, chiamati in causa a dover gestire e risolvere una situazione più grande di loro e a dover scegliere.

Sì perché, vedete, l’amore dopo quindici anni di matrimonio, come nel caso dei nostri protagonisti, può anche finire ed è anche un atto molto coraggioso e adulto dirselo apertamente in faccia ma lo stato di genitori, no, mi dispiace, quello non smette di esistere anche se l’altra metà non c’è più. Nel caso della nostra commedia i due ex lottano, però, per non ottenere l’affidamento dei figli e fanno di tutto perché questi scelgano l’altro genitore; la motivazione per entrambi è inseguire il proprio sogno lavorativo, un incarico in Svezia per lei e uno in Africa per lui, senza avere la zavorra delle responsabilità familiari e il peso dell’educazione di tre pargoli, due dei quali adolescenti, che trasformerebbero in un orco qualsiasi persona.

Ovviamente la riflessione che ne scaturisce non vuole essere un giudizio negativo verso chi nutre sogni carrieristici pur avendo una famiglia sulle spalle, anzi! Quello che ci dà da pensare è la mancanza di sapersi comportare da adulti e di delegare a dei ragazzi la scelta di stare o con mamma o con papà, togliendo ai tre la possibilità di continuare a fare i figli e di essere guidati. E questa strumentalizzazione proprio non mi va giù.

Mi rendo perfettamente conto che non sia facile conciliare sempre tutto, doveri familiari e lavorativi, aspirazioni personali e voglia di sentirsi vivi e amati, ma purtroppo ultimamente, nella vita di tutti i giorni, mi è capitato spesso e volentieri di assistere a scene di fuga di tal fatta da parte di genitori che, all’improvviso, sentono l’esigenza di scaricare tutto e tutti e di fuggire lontano dalla famiglia, dando le motivazioni più disparate e proteggendosi attraverso gli alibi più inattaccabili.

Di contro, a restare senza protezioni di sorta sono proprio loro, i figli, e vi assicuro che nei loro occhi resterà sempre impresso un grande smarrimento e tanta rabbia, nonché un inconsapevole senso di colpa per qualcosa che pensano di aver commesso e di cui non sono coscienti, quando la loro unica “colpa” è quella di stare lì, a ricordare ai genitori fuggitivi che non hanno chiesto di venire al mondo e se ci sono perché voluti, hanno il diritto pieno e inalienabile di fare i figli. Sempre.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!