Piergiorgo Welby, Eluana Englaro, Terri Schiavo: sono tanti, in Italia e all’estero, i casi che hanno riaperto, negli anni, il dibattito sull’eutanasia e il fine vita.

Nelle scorse settimane, peraltro, l’argomento è tornato di grande attualità, stavolta per la scelta opposta, da parte della famiglia, rispetto a quella dei familiari delle persone sopra citate, nel caso di Cito, il ragazzo morto dopo 31 anni passati in stato vegetativo.

Sia chiaro, non abbiamo il diritto di dare giudizi sulla liceità dell’una o dell’altra scelta, che, in un caso o nell’altro, sono e devono restare sempre assolutamente libere, individuali, frutto di un pensiero ragionato che risponde alle convinzioni personali (siano esse etiche, religiose, mediche o di qualsivoglia natura) di chi si trova, soprattutto in mancanza di un testamento biologico, a dover scegliere per una persona amata impossibilitata a farlo.

La nostra volontà è semplicemente quella di provare a fare chiarezza su un argomento sicuramente controverso e che per molti presenta ancora diversi punti oscuri, al fine di dare, nel limite del possibile, un quadro completo e quanto più informato.

Partiamo quindi dal significato stesso di eutanasia.

Eutanasia: il significato

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Fonte: web

In greco antico eutanasia significa letteralmente “buona morte” e, ancora oggi, si definisce con il termine il trattamento volto a evitare l’accanimento terapeutico su un malato terminale, abbreviando la sua agonia.

Esistono tipi diversi di eutanasia, da quella passiva, che si ha quando il medico si astiene dal praticare cure volte a prolungare la vita del malato, a quella attiva che invece avviene quando il medico causa, direttamente, la morte del malato; passando infine dall’eutanasia attiva volontaria, quando il medico agisce su richiesta esplicita del malato.

Nel termine eutanasia tende a essere ricompreso anche il suicidio assistito, che è l’atto volontario di porre fine alla propria vita in presenza e con i mezzi forniti da un medico. Quello, cioè, che ha fatto dj Fabo, accompagnato in Svizzera dalla fidanzata e da Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni, che da anni si batte per far approvare l’eutanasia anche nel nostro paese, dato che in Italia non è prevista dalla legge.

L’eutanasia in Italia

Nel nostro paese l’eutanasia attiva è assimilabile all’omicidio volontario (ex art. 575 del Codice Penale). Anche qualora si riuscisse a dimostrare il consenso del malato, ci sono pene che vanno dai 6 ai 16 previste dall’articolo 579 (omicidio del consenziente).

Anche il suicidio assistito è considerato un reato, ai sensi dell’articolo 580, anche se, come precisato dal tribunale di Milano nel novembre 2017, è stato stabilito che non si può ostacolare la volontà di chi vuole recarsi all’estero per avere il suicidio assistito.

Diverso è il caso dell’eutanasia passiva, che, pur essendo anch’essa proibita, è dimostrabile più difficilmente.

Questo è ciò che si può fare in Italia:

Cure palliative

Le cure palliative aiutano i pazienti affetti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici e di cui la morte è diretta conseguenza. In esse sono fondamentali il controllo del dolore, degli altri sintomi e dei problemi psicologici, sociali e spirituali, e il loro scopo è migliorare il più possibile la qualità di vita per i pazienti e per i loro familiari.

Rifiuto dei trattamenti sanitari

Disciplinato con la legge 219/2017 (prima si ritrovava solo nella giurisprudenza) dà al malato la possibilità di rifiutare o sospendere qualsiasi terapia, comprese quelle salvavita. L’effetto diretto di tale decisione è la morte.

Disposizioni anticipate di trattamento (DAT)

Con queste ogni persona maggiorenne capace di intendere e volere può lasciare indicazioni sui trattamenti sanitari che, nell’eventualità di trovarsi in una condizione di malattia irreversibile e capace di compromettere il suo giudizio e la sua coscienza, vorrà accettare o rifiutare. Nelle proprie DAT, il cosiddetto testamento biologico, è possibile indicare anche un fiduciario, ovvero una persona che rappresenterà il disponente nei rapporti con il medico, assicurando che le volontà vengano rispettate.

Interruzione delle terapie in assenza di DAT

Qualora non ci sia un testamento biologico, l’amministratore di sostegno della persona malata irreversibile associata può richiedere l’interruzione delle terapie davanti a un giudice tutelare, supportata dalla ricostruzione della volontà pregressa della persona.

Eutanasia e religione

C’è chi pensa che la mancanza di una legge sull’eutanasia nel nostro paese abbia ragioni che affondano nella grande tradizione religiosa italiana, e nell’influenza che la Chiesa cattolica ha rispetto all’argomento: secondo la Chiesa, infatti, la vita è stata donata da Dio e solo lui può disporne. Ragion per cui, chiaramente, il suicidio, assistito o meno, e l’eutanasia non sono ammissibili. Tutt’al più viene ammessa la fine delle terapie laddove considerate sproporzionate.

C’è però qualche dottrina religiosa che la pensa diversamente: basti pensare, ad esempio, alle Chiese protestanti che negli anni hanno assunto posizioni decisamente più liberali, mentre alcune chiese minori riconoscono apertamente il diritto dell’individuo di disporre della propria vita. Un esempio? Per i valdesi l’eutanasia è “un diritto che va riconosciuto”.

Eutanasia nel mondo

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Fonte: web

Proprio perché in altri paesi l’ingerenza religiosa non è così forte, o le posizioni della Chiesa non così intransigenti, l’eutanasia è ormai pratica legalmente riconosciuta da anni. In Europa attualmente sono quattro gli Stati che la prevedono: Svizzera, Olanda, Belgio e Lussemburgo. Questi sono alcuni esempi delle legislazioni nei diversi Paesi.

Olanda: è lo Stato che ha approvato per primo una legge che legalizza l’eutanasia, nell’aprile del 2001.

Belgio: qui la legge che legalizza l’eutanasia è entrata in vigore nel settembre 2002, ed è valida anche per i minori.

Lussemburgo: la legge è entrata in vigore nel marzo 2009, e dispone che non esistano sanzioni penali né azioni civili possibili da intraprendere nei confronti del medico che risponde a una richiesta di eutanasia.

Svizzera: la legge consente l’aiuto al suicidio se prestato senza motivi “egoistici”, ed è garantito anche ai cittadini stranieri.

Svezia: è dell’aprile 2010 la decisione dell’autorità nazionale di acconsentire all’eutanasia passiva, con l’interruzione-omissione di trattamenti medici, mentre l’eutanasia attiva è tuttora proibita.

Germania: la Corte di giustizia tedesca nel giugno 2010 si è espressa a favore dell’eutanasia passiva, ed è ammessa anche l’eutanasia attiva se vi è una chiara volontà del paziente, pur non essendoci disposizioni giuridiche in merito.

Spagna: sono ammessi eutanasia passiva e suicidio assistito, ma non l’eutanasia attiva.

Danimarca: sono ammesse solo le direttive anticipate di trattamento.

Francia: parzialmente ammessa l’eutanasia passiva, quella attiva è vietata.

Gran Bretagna: è perseguibile anche l’aiuto al suicidio, anche se un giudice può autorizzarlo in casi estremi.

Nel resto del mondo l’eutanasia è ammessa in Cina (negli ospedali), Colombia (dal 1997) e Giappone.

Negli USA lo Stato più tollerante è l’Oregon, che l’ha ammessa nel 1997 e la permette anche in caso di depressione dei pazienti.

Eutanasia e donne

Secondo uno studio dell’Università di Berna, condotto nel 2014, sarebbero le donne a scegliere più spesso il ricorso all’eutanasia. Su 1.301 persone domiciliate in Svizzera accompagnate alla morte tra il 2003 e il 2008 il 56,9% sarebbe infatti stato di sesso femminile.

Questo dato deve anche tenere presente il fatto che la popolazione, nel paese, è a maggioranza femminile, ma non è comunque un’informazione irrilevante. A questo si aggiunge che a fare più spesso ricorso al suicidio assistito sono le persone con una buona istruzione e quelle che vivono in zone urbane o in quartieri benestanti, a dispetto di quanti pensano che a incrementare il numero contribuiscano solo le fasce di popolazione più deboli.

In 1.093 su 1.301 casi esaminati, per quasi la metà delle persone che hanno scelto l’eutanasia si è capito che la decisione è stata presa per porre fine a una forma di cancro, in altri casi invece a causa di patologie neurodegenerative come sclerosi multipla, Parkinson e sclerosi laterale amiotrofica.

Una figura culturalmente affascinante, tipicamente italiana, in particolare sarda, a metà tra mito e verità è sicuramente l’accabadora, una donna deputata proprio a regalare la “dolce morte” ai malati terminali, raccontata anche da Michela Murgia nel suo libro.

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