“Come ho lasciato un lavoro a tempo indeterminato per seguire le mie passioni”
"Alcune persone danno per scontato il fatto che io abbia potuto farlo perché raccomandata o mantenuta da qualcun altro. Ma non è così. Tutto quello che ho oggi l'ho costruito da me e ne vado fiera!"
Le persone che incontro, sul lavoro o nella vita privata, sono affascinate dal fatto che io abbia lasciato una strada certissima per una che non lo era.
Oggi faccio la bartender e ho un food truck con cui giro l’Italia a fare “l’alchimista dei cocktail”, mia passione da sempre, ma fino a un anno fa avevo un lavoro di tutt’altro tipo nel posto considerato “sicuro” per eccellenza: la Pubblica Amministrazione (lavoravo all’anagrafe del Comune in cui abito).
Quando la gente lo scopre, tutti prima o poi me lo chiedono: “Ma come hai fatto?”.
In realtà con il tempo ho capito il sottotesto di questa domanda che, quasi sempre, è fatto di altri interrogativi e convinzioni che mal nascondono i pregiudizi che chi fa una scelta come la mia spesso si trova ad affrontare. Del tipo:
- Sei ricca e puoi permetterti di non lavorare
- Hai dietro una famiglia/ un fidanzato/ un marito che può pagare affitto e spese al posto tuo
- Sei raccomandata
- E se ti succede qualcosa, che fai senza tutele?
- E quando sarai vecchia/ e la pensione?
Il fatto di essere donna, chiaro, costituisce un’aggravante perché apre al mondo del “e se poi vuoi fare un figlio?”.
All’inizio questi sottintesi (a volte per altro ben dichiarati) mi ferivano molto. Mi umiliava l’idea che le persone mi giudicassero come la raccomandata di turno. Anche perché non lo sono mai stata.
Anzi. Sono nata in una famiglia normale: tre figli, un padre operaio, una mamma casalinga che si arrabattava tra piccoli lavoretti. La mia non è la storia della piccola fiammiferaia: non mi è mancato nulla, ma di sicuro non ho avuto dietro il paparino pronto a finanziare i colpi di testa imprenditoriali della figlia viziata.
Il mio, del resto, non è stato un colpo di testa – non potevo permettermelo – ma un lungo percorso, fatto di pianificazione, risparmi, ripensamenti, tentennamenti e, infine, il coraggio di iniziare, con tutto il timore e le incognite che una scelta di questo tipo comporta, pur senza lanciarmi nel vuoto.
Il mio progetto imprenditoriale è nato circa tre anni fa. Sarà che il traguardo dei 25 anni era vicino e, si sa, è un po’ per tutti momento di bilanci esistenziali, per qualche mese ho pensato di investire i risparmi accumulati fin lì in un mutuo che trasformasse l’uscita del mio affitto in qualcosa di più costruttivo.
Fatto sta che non riuscivo a convincermi a farlo. Forse perché negli ultimi due anni, con i vari corsi di flair bartending – sì, sono una barlady acrobatica! – e le performance postate sui social, i miei account hanno ricevuto una bella botta in fatto di follower e le mie collaborazioni nel weekend, fatte più per passione che per soldi e un tempo sporadiche e più che altro nel giro della cerchia di amici, sono diventate sempre più sistematiche e prestigiose.
Così, dopo un’estate 2016 particolarmente fervente di collaborazioni extra lavoro ufficiale, ho deciso di fare un business plan e di darmi due anni per iniziare la mia nuova vita.
Ho scelto che il mutuo poteva aspettare (diciamo fino ai 30 anni!) e che i risparmi che già avevo e quelli che ho pianificato di mettere via nei due anni successivi, sarebbero serviti come base per iniziare la mia nuova attività (a partire dall’acquisto e dall’allestimento del food truck).
Nel frattempo ho lavorato sempre più sul mio personal branding e sulle mie relazioni; svolto in serale i corsi necessari; raccolto tutte le informazioni burocratiche, valutando bandi e agevolazioni; e lavorato ininterrottamente in quasi tutti i weekend fino a quando, a febbraio 2018, ho chiesto l’aspettativa non retribuita dal mio lavoro fisso e ho aperto partita iva.
Ero spaventata? Sì. Lo sono ancora a tratti. Sto facendo tanti sacrifici; lavoro 7 giorni su 7 perché anche quando non sono sul food truck sto organizzando/ gestendo progetti presenti e futuri; i soldi che entrano sono praticamente già tutti allocati tra investimenti, tasse, spese necessarie, ma so che devo sforzarmi di ricavarne mensilmente un cuscinetto per i “non si sa mai” e il futuro.
Quando lavoravo all’anagrafe del mio Comune (ora anche l’aspettativa non retribuita è finita e, quindi, mi sono definitivamente licenziata) non avevo uno stipendio che mi avrebbe mai fatto diventare ricca, ovvio, ma tutte queste preoccupazioni non c’erano e non avevo certo bisogno di monitorare il singolo centesimo.
Ora lo faccio. Mi sono messa alla ricerca di una soluzione per gestire facilmente budget e spese legate alla mia attività e, grazie al consiglio di un’amica ho scoperto un conto per freelance, zero spese e 100% mobile, che mi permette di tenere sotto controllo le mie finanze ovunque sono e di fare qualsiasi operazione da smartphone.
Ho imparato a dare il giusto peso al denaro e a servizi che fanno la differenza, come lo 0,1% di cashback che ricevo per ogni acquisto che effettuo con la mia carta di debito business.
Ho imparato, del resto, a tenere traccia di dove finiscono i miei soldi, con la categorizzazione automatica delle spese e con i tag manuali, per capire dove posso risparmiare; e, soprattutto, grazie alla funzione Spaces di N26 ogni mese metto da parte soldi per obiettivi precisi. Al momento sono per lo più le tasse, il tal allestimento o i soldi per il piano di accumulo per la pensione, ma confido già a fine anno di aprire anche una voce Vacanze.
Insomma sì, sono diventata grande, il che forse vuol dire anche meno spensierata.
Ci sono sere che sono stanca come non mai e mi sembra di rincorrere sempre il tempo, che con un lavoro nel pubblico non mancava mai. Ma nello specchio oggi non vedo traccia della ragazza annoiata che si chiedeva spesso “è questo quello che volevi per te?”.
So cosa mi è costato inseguire il mio sogno, so cosa mi costa, ma il prezzo non si misura solo in termini di fatica o soldi. Il prezzo che pago oggi è, finalmente, anche quello della mia felicità e del sentirmi realizzata.
Lo confesso, quel senso di frustrazione di fronte a certe domande/ affermazioni non si è mai del tutto sopito e forse non riuscirò mai a scacciarlo totalmente. Ma sto imparando a farmi scivolare addosso i pregiudizi altrui e a vederli per quello che, spesso, sono: tentativi di sminuire un traguardo che, forse, molti di loro mi invidiano, insieme alla mia caparbietà.
La testimonianza di A., cliente di N26, è pubblicata con il suo gentile consenso, omettendo dati sensibili nel rispetto della privacy. La fotografia correlata pertanto è un’immagine generica di repertorio e non ritrae A.
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