Vi siete mai trovate nella situazione in cui un uomo vi sta spiegando, anche in maniera vagamente pretenziosa, qualcosa di cui voi in realtà sapete già a sufficienza, e probabilmente persino più di lui? Se la risposta è sì, sappiate che siete cadute “vittime” del mansplaining.

Se non avete mai sentito questo termine, ecco di cosa si tratta.

Cos’è il mansplaining?

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Fonte: web

Formata da man – uomo- e dal verbo explain – spiegare – la parola indica l’atteggiamento paternalistico degli uomini che spiegano a una donna qualcosa di ovvio e scontato, oppure qualcosa di cui quest’ultima è esperta.

Proprio perché non si registrano solo episodi di mansplaining, negli ultimi tempi si è cominciato a parlare, ad esempio, di whitesplaining, quando un bianco, uomo o donna, spiega qualcosa a una persona di colore con lo stesso tono arrogante e presuntoso, pur se celato da una certa condiscendenza. Allo stesso modo un discorso da mansplainer può verificarsi verso i colleghi di lavoro più giovani, o i nuovi arrivati.

Coniata nel 2008 nel corso di una discussione online originata dalla pubblicazione sul Los Angeles Times di un articolo della scrittrice e giornalista Rebecca Solnit intitolato Men who explain things, ovvero “Uomini che spiegano cose”, il mansplaining rappresenta comunque una forma di prevaricazione e di discriminazione – sessista in questo caso, razziale nel caso del whitesplaining – perché parte dal presupposto che la donna, in quanto tale, non possa essere esperta o competente in un determinato ramo.

L’esempio più evidente del mansplaining si è verificato nel 2015, quando un uomo di nome Casey O’Quin su Twitter ha spiegato un principio fisico all’astronauta americana Jessica Meir. “Per la prima volta sono andata a più di 19mila metri di altezza, la zona equivalente allo spazio, dove l’acqua bolle spontaneamente! Fortunatamente ho la tuta!” aveva scritto Meir, e per tutta risposta O’Quin aveva replicato: “Non direi spontaneamente. La pressione nella stanza è sotto la pressione di vapore dell’acqua a temperatura ambiente. Semplice termodinamica”.

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Fonte: Twitter

O’Quin ha successivamente dovuto cancellare il proprio profilo Twitter per la pioggia di critiche ricevute per questa infelice frase. Ma la stessa Rebecca Solnit aveva raccontato in quell’articolo scritto per il LA Times di un caso di mansplaining subito in prima persona.

Rebecca si è sentita dire dal ricco pubblicitario che aveva organizzato la festa a cui stava partecipando “Ho saputo che hai scritto un paio di libri”. Lei, che all’epoca – nel 2003 – ne aveva scritti sei, rispose: “Ne ho scritti diversi, in verità”. Al che lui le chiese di cosa parlavano, e lei gli rispose citando River of Shadows, il suo libro sul fotografo Eadweard Muybridge, uscito da poco. Sentendo quel nome, il pubblicitario la interruppe chiedendole se aveva sentito parlare del libro appena pubblicato su di lui, ignaro di stare citando proprio il libro di Rebecca Solnit, e senza pensare che proprio lei potesse essere l’autrice.

Mansplaining: le situazioni tipiche

Cosa c’è che non va nel mansplaining? Chiaramente, il fatto principale è che venga messa in dubbio l’intelligenza della donna, che non si consideri “all’altezza” o capace di comprendere certi discorsi, e che non si ritenga competente in determinati ambiti.

Nella vita di tutti i giorni, è sicuramente sul luogo di lavoro che il mansplaining viene attuato spesso, soprattutto da parte di colleghi e superiori; in questo contesto, il mansplaining si tramuta anche in un modo per escludere le donne da ruoli decisionali e di responsabilità, pur se in possesso delle giuste qualifiche. Le situazioni più comuni?

Lascia perdere, faccio io.

Oppure

Sai, ieri dopo il lavoro siamo andati a bere un paio di birre, e alla fine, parlando, abbiamo preso una decisione.

Alcuni studi hanno dimostrato che, in una conversazione di tre minuti, in media le donne interrompono gli uomini una sola volta, mentre fra donne ci si interrompe con una frequenza di 2,8 volte. Gli uomini interrompono altri uomini due volte e le donne 2,6 volte, e lo fanno soprattutto in modo invadente, non consentendogli di proseguire il discorso, mentre le donne interrompono principalmente per chiedere chiarimenti o delucidazioni.

Chi ha maggiore potere a livello sociale interrompe più spesso, tanto che, secondo una ricerca condotta nel 2012, nei meeting ben il 75% degli uomini prende la parola, a fronte di un modesto 25% femminile. Lo stesso fenomeno si verifica nelle aule universitarie e scolastiche e nel settore medico, quando i pazienti comunicano con una dottoressa.

Come reagire al mansplaining

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Fonte: web

Chiaramente per arginare il fenomeno del mansplaining occorrerebbe partire dal comportamento sociale dell’età infantile, esattamente come accade per ogni altra manifestazione maschilista. Ma, partendo dal presupposto che ciò non sempre sia possibile o sufficiente, ci dovrebbe essere una maggiore comprensione maschile rispetto alle difficoltà vissute sul piano lavorativo dalle donne, già spesso relegate a funzioni segretariali o colpite dal gender pay gap.

Nel 2016 Unionen, il sindacato per impiegati svedese, ha aperto per quattro giorni, dal 14 al 18 novembre, una linea telefonica gratuita proprio per segnalare casi di mansplaining. L’idea è partita proprio dalle lamentele di molti membri del sindacato per degli episodi di manövern – la traduzione svedese di mansplaining – di cui erano stati vittime sul luogo di lavoro.

La metà delle chiamate arrivate al numero erano di uomini: padri che volevano spiegare ai figli cosa fosse il mansplaining, come rispondere a episodi di questo genere, e come evitarlo. Anche se non è mancato, naturalmente, chi l’ha vissuto come un attacco verso il genere maschile nel suo complesso.

La reazione migliore, però, forse l’ha suggerita Christina Knight, esperta di questioni di genere svedese che ha lavorato proprio per Unionen alla realizzazione della campagna telefonica.

In questo momento mi stai parlando come se fossi una bambina o mi stai dicendo qualcosa di cui sono parecchio esperta – ha consigliato di rispondere – e mi farebbe piacere se la prossima volta tu iniziassi la conversazione chiedendomi se mi interessa saperne di più, se ho bisogno di chiarimenti o se so già quello che mi serve sapere.

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