Spesso e volentieri parliamo degli stereotipi che riguardano le donne, ma a volte ci ritroviamo, nostro malgrado e il più delle volte in maniera del tutto inconsapevole, a perpetuare lo stesso i più tipici luoghi comuni che riguardano l’universo femminile, con tutta quella serie di frasi e parole che rispecchiano il modo di pensare fortemente influenzato dal patriarcato, che per generazioni ha definito il ruolo della donna nella società e anche il tipo di comportamento che quest’ultima avrebbe dovuto assumere.

Rovesciando per un attimo la prospettiva, però, la domanda che ci poniamo è: siamo sicuri che la cultura patriarcale non abbia inciso anche sugli uomini? Perché esiste effettivamente anche una questione maschile che, per quanto sottovalutata, non può comunque essere ignorata, e che si manifesta praticamente ogni giorno o quasi nelle più disparate occasioni.

Per farvi capire meglio di cosa stiamo parlando, ecco alcuni esempi.

La cultura patriarcale e la sua influenza sulla figura maschile

questione maschile
fonte: web

Proprio perché il patriarcato, per definizione, impone che sia l’uomo a indossare i panni del capo famiglia, è chiaro che chiunque non rientri nelle caratteristiche che si ritengono dover appartenere al patriarca sia discriminato, o considerato “meno uomo”.

Il concetto, sostanzialmente, è di dover essere quell’“uomo che non deve chiedere mai” citato nello slogan di una nota pubblicità qualche anno fa: essere un dominatore, un cosiddetto “maschio alfa“, padrone delle proprietà, risoluto, autoritario e la cui parola non può essere messa in discussione. Per alcuni questa figura assomiglia più a quella di un despota o di un monarca assoluto, ma a lungo l’idea di dominanza all’interno della cerchia familiare è stata associata alle virtù maschili.

Chiaro, in questo contesto, che l’uomo che dimostri una maggiore sensibilità o propensione all’ascolto sia bollato istantaneamente come “diverso”, “effeminato” o, in maniera molto ignorante, “gay”. Come se il non possedere queste caratteristiche, ritenute positive, facesse scattare immediata l’associazione a quelle femminili, evidentemente considerate negative.

Questione maschile e difficoltà nel rapporto uomo-donna

Un simile concetto ovviamente inficia in maniera rilevante anche il rapporto con l’altro sesso, che in quest’ottica dev’essere costantemente dominato, sottomesso o comunque “tenuto a bada”. Immaginiamoci quindi cosa può succedere, partendo da questi presupposti, se è una donna a fare il primo passo per l’avvio di una relazione romantica, ad esempio, o  anche sotto le lenzuola.

Quegli standard di bellezza che causano insicurezza e infelicità

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Certo le donne vivono da sempre un’estenuante lotta quotidiana con lo specchio, vengono divorate dalle proprie insicurezze riguardanti l’aspetto esteriore e si mortificano mettendosi costantemente a paragone con modelli di bellezza giudicati perfetti ma irreali. Sappiamo infatti che le immagini patinate delle riviste, così come  molte delle foto pubblicate sui social, non corrispondono a realtà ma vengono filtrate grazie a una sapiente opera di elaborazione e di fotoritocco, eppure questo non è sufficiente per insegnare alle donne, soprattutto alle più giovani, il valore dell’amor proprio e dell’accettazione.

Ma sbaglia chi pensa che per gli uomini non esistano standard di bellezza a cui doversi attenere, e che l’universo maschile non risenta della pressione di non adeguarsi alle aspettative estetiche che lo riguardano. Inutile sottolineare infatti come, mentre l’ideale di bellezza femminile sia mutato nei secoli (pensiamo alle divinità prosperose della Preistoria o alle donne dalle forme generose del Rinascimento, in contrapposizione agli esempi di esilità estrema come Twiggy, negli anni ’60), quello maschile sia rimasto più o meno immutato nella storia dell’uomo.

L’uomo, per essere giudicato bello, virile e prestante deve sfoggiare addominali scolpiti, bicipiti generosi e, in generale, muscoli guizzanti. Ed è sempre stato così, dai tempi dei Bronzi di Riace – non a caso spesso usati come metro di paragone proprio per indicare l’avvenenza di un uomo – fino a Brad Pitt, icona di virilità e machismo dei giorni nostri.

E chi non risponde a questi standard, magari perché dotato di un filo di pancetta, di muscoli non esattamente tonici, o di qualche capello in meno nei punti critici? Sbagliamo se pensiamo che il senso di inadeguatezza sia una peculiarità solo femminile.

La sessualizzazione non è solo “roba da donne”

In un contesto come quello sopra descritto, è chiaro che anche il corpo maschile possa essere oggetto di sessualizzazione, di commenti poco piacevoli o di sgradite molestie. Perché, a differenza di quanto qualcuno si ostini a pensare, sì, anche le donne possono molestare un uomo e sì, non tutti gli uomini accettano di ricevere apprezzamenti anche pesanti, ritenendoli semplici complimenti.

I tabù maschili: la violenza sugli uomini

In virtù di quella mentalità patriarcale che permea ancora a fondo la nostra società si tende a minimizzare la questione della violenza ai danni degli uomini. È chiaro che gli episodi di violenza contro le donne facciano più “rumore”, dato l’altissimo numero di femminicidi compiuti ogni anno nel nostro Paese e alla luce anche dei dati sconfortanti dell’Istat, secondo cui una donna su 3 è vittima di un abuso almeno una volta nella vita, con una buona percentuale di reati compiuti nell’ambito familiare o tra le mura domestiche.

Ma questo non significa né che non esistano forme di violenza al di là di quella fisica, né che non esistano vittime maschili: gli uomini, infatti, in percentuale sono meno vittime di atti di violenza fisica, ma molto più spesso subiscono episodi di violenza economica o psicologica, con una particolare attenzione all’aspetto che riguarda la sottrazione dei figli o la minaccia, in caso di divorzio o separazione, di non farli vedere mai più. È una tematica delicata di cui abbiamo parlato in questo articolo.

Questione maschile e salute: tumore al seno e impotenza

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La neoplasia mammaria è la più diffusa nella popolazione femminile, ma il cancro al seno può colpire anche gli uomini. Purtroppo non se ne parla così spesso, e forse anche per questo le tecniche di diagnosi sono basate solo su quelle femminili e la ricerca nel campo è ancora a uno stadio piuttosto embrionale. La questione però esiste, e storie come quella di Francesco sono un esempio di quanto il tumore mammario sia invalidante anche per gli uomini.

Diverso è il discorso dell’impotenza maschile, ancora avvolto da uno spesso tabù perché considerato argomento vergognoso e di cui si preferisce tacere. Mentre l’anorgasmia femminile viene considerata in maniera decisamente stereotipata (NB: non tutte le donne sono anorgasmiche, casomai ci fosse bisogno di sottolinearlo!) e dell’argomento si parla in maniera naturale, l’impotenza maschile è vissuta come un’onta vergognosa che defrauda l’uomo della propria virilità.

Eppure, già nel 2000 si riteneva che il 13% della popolazione maschile italiana – pari a circa 3 milioni di uomini – ne soffrisse. Chiaramente, la cifra potrebbe essere anche molto più alta, ma quanti uomini parlano apertamente della propria disfunzione erettile?

La consapevolezza maschile delle emozioni e quel “i maschi non piangono”

L’idea del “maschio alfa”, della dominanza e dell’uomo che non mostra emozioni inevitabilmente si riflette da anni anche sul tipo di educazione che trasmettiamo ai bambini. Frasi come “Piangere è da femminucce, i maschi non piangono” portano i bambini a considerare sbagliate le espressioni delle emozioni, senza contare la stigmatizzazione che invece piove istantanea addosso a chi è giudicato “diverso”.

Allo stesso modo, obbligare i maschi a scegliere solo giochi reputati “da maschi”, addirittura preoccupandosi per una loro possibile omosessualità laddove preferiscano bambole e vestiti, o imporre loro determinati colori nella scelta dell’abbigliamento li porta implicitamente a rimarcare quelle differenze di genere di cui, invece, dovremmo liberarci.

Il profilo patologico della questione maschile e il narcisismo imperante

La cosa preoccupante del trasmettere valori educativi come quelli finora descritti non risiede solo nella possibilità che, perpetuandoli, non ci si riesca a liberare di concetti stereotipati dall’impronta volutamente maschilista; il vero aspetto su cui si dovrebbe ragionare riguarda le implicazioni possibili per chi, come detto, non corrisponde ai modelli maschili preconfezionati pretesi dalla società.

Chi si percepisce “diverso” rispetto agli standard e alle aspettative che si richiedono a un uomo, sia dal punto di vista fisico che emotivo, può sviluppare tendenze depressive, ad esempio; oppure, se pensiamo ai bambini e a ciò che viene loro imposto – “Non piangere, non giocare con le bambole, non dare baci” – non è difficile comprendere perché crescano con difficoltà oggettive nell’espressione delle emozioni.

Un profilo diverso, e ancor più temibile, legato inevitabilmente alla componente patriarcale è poi quello del narcisismo: la gran parte degli autori di femminicidi possono infatti essere considerati a pieno titolo dei narcisisti, laddove questo concetto descriva modi di pensare come “Se non sei mia non sarai di nessun altro” o “Sono il meglio che possa capitarti, non c’è nessuno come me”. Pensieri pericolosi che però sono il frutto proprio di quell’atteggiamento di dominanza e autorità che storicamente viene “richiesto” all’uomo.

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