Pro vita: le obiezioni a 4 punti di vista di un movimento che dice di amare la vita
Il movimento pro vita non è solo contro l'aborto, ma anche contro omosessualità ed eutanasia. Queste sono le nostre obiezioni alle loro idee.
Il movimento pro vita non è solo contro l'aborto, ma anche contro omosessualità ed eutanasia. Queste sono le nostre obiezioni alle loro idee.
Forse, scorrendo i social o leggendo i giornali, vi sarà capitato di imbattervi nel termine pro vita, con cui si inquadra un movimento non solo, per sua stessa definizione, contrario all’aborto, ma, in generale, orientato su posizioni che tradizionalmente si definirebbero “conservatrici”: il pro-life, infatti, è un movimento che non guarda di buon occhio ai matrimoni omosessuali, all’eutanasia, e che mantiene una prospettiva piuttosto patriarcale in tema di famiglia.
Naturalmente non scriviamo questo articolo per attaccare chi a questo movimento ha scelto di aderire, ma certo ci sono alcune obiezioni che si possono porre a ciascuna delle teorie o convinzioni portate avanti dai pro-vita: la critica principale che ci sentiamo di muovere al movimento è che l’esistenza di un diritto non significhi necessariamente l’essere d’accordo o il farvi ricorso.
Per intenderci, aver combattuto – e continuare a combattere – per la legalizzazione dell’aborto non significa affatto né condividere la scelta delle donne che vi ricorrono, né ricorrervi noi stesse, ma semplicemente voler avere la certezza che in un Paese civile e democratico tale opportunità di scelta venga offerta; anche perché, a conti fatti e analizzando i corsi e ricorsi storici, ben prima che la 194 passasse come legge in Italia le interruzioni volontarie di gravidanza venivano praticate eccome, solo nella più totale clandestinità, con tutti i rischi connessi all’illegalità.
Cerchiamo dunque di approfondire i capisaldi dei pro vita e quali sono le obiezioni che muoviamo alle loro posizioni.
Il movimento pro vita considera l’embrione umano biologicamente un essere umano sin dai primi stadi del suo sviluppo, sostenendone quindi il diritto alla vita e considerando perciò l’IVG come un vero e proprio “omicidio”.
Per questo, la proibizione dell’aborto non è considerata come una limitazione alla libertà delle donne, ma semplicemente una proibizione socialmente accettata, volta a preservare appunto il diritto alla vita.
Come detto, però, essere a favore dell’esistenza di una legge che, a livello statale, regoli l’aborto non implica né il farvi ricorso, né l’essere d’accordo, ma solo il voler evitare di affidare le donne che decidono, liberamente e per propria scelta, di sottoporvisi a macellai che operano in condizioni igienico-sanitarie pietose ed estremamente pericolose, come spesso avveniva prima della sua legalizzazione.
Negli anni ’70 Emma Bonino si autodenunciò proprio nel tentativo di portare alla ribalta la questione degli aborti clandestini, per velocizzare la legalizzazione dell’IVG. Era il 1975, e la legge 194 sarebbe arrivata, in Italia, solo tre anni più tardi.
In Europa i baluardi della cristianità pro life sono Spagna, Irlanda e Italia; nel Paese iberico è molto forte il movimento CitizenGo, nato come progetto collaterale dell’associazione HazteOir, fondata nel 2001 da Ignacio Arsuaga, nipote di un generale franchista. Fra le iniziative di CitizenGo c’è, ad esempio, il “bus anti-gender”.
Di pari passo alla questione aborto, il movimento pro vita è contrario anche all’eutanasia e al suicidio assistito, comprendendo per diritto alla vita tutto ciò che rientra dal concepimento fino alla morte naturale dell’essere umano.
Nel settembre 2019 la pagina Facebook del movimento Pro Vita e Famiglia Onlus ha lanciato questo video sul tema del fine vita.
Il messaggio che passa dal video, confermato anche da alcune foto postate sempre sulla pagina social nell’ambito della campagna portata avanti dal movimento contro il no all’eutanasia, è che al suicidio assistito possano far ricorso, ad esempio, ragazzini bullizzati, ragazze depresse dopo la fine di una relazione, persone cui è appena stata diagnosticata una malattia o uomini che hanno perso il lavoro.
Tutte ipotesi prive di fondamento, dato che la legge, negli Stati laddove è in vigore, è estremamente precisa e promulgata in senso restrittivo, con condizioni per richiederla molto chiare, riassunte nello stato vegetativo – con una richiesta che deve essere precedente – oppure in una condizione di sofferenza fisica prolungata unitamente all’impossibilità di una cura.
Per quanto riguarda il nostro Paese, invece, il punto su eutanasia e suicidio assistito è riassunto in questo articolo.
Non è, insomma, una concessione che si fa a cuor leggero per porre un rimedio a problemi che, per quanto gravi o pesanti, sono risolvibili, ed è chiara la gravità di lasciar passare un messaggio simile.
Concedere però la possibilità, a un malato terminale, o a una persona in stato vegetativo da anni – vedasi Eluana Englaro o Piergiorgio Welby in Italia, ma anche, più recentemente, Vincent Lambert in Francia – è una scelta di compassione e di civiltà che, per quanto complessa, segue lo stesso ragionamento logico legato all’aborto: lottare affinché il diritto soggettivo sia garantito non significa per forza volervi fare ricorso per sé.
Secondo la mission presente sul sito:
“ProVita è un’associazione Onlus che opera in difesa dei bambini, della vita dal concepimento alla morte naturale, che sostiene la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e che difende il diritto dei genitori a educare i propri figli”.
Legato a questo aspetto c’è un punto di vista piuttosto patriarcale, secondo cui la visione della donna è limitata a quella di angelo del focolare-madre di famiglia, e la sola realizzazione possibile, per il sesso femminile, è ovviamente quello di diventare una moglie e una genitrice. Prospettiva piuttosto limitante, non fosse altro perché considera tutto ciò che è da appellarsi come “eccezione” qualcosa di innaturale o di sbagliato.
Va benissimo che una donna voglia essere madre o moglie, ma non va bene considerare una donna degna di essere chiamata tale solo se corrisponde alle aspettative di quella che, a tutti gli effetti, è una concezione maschilista e sessista.
Sul tema omosessualità vale spendere due parole soprattutto perché trasmettere un determinato tipo di messaggi, volontariamente o meno, può dare adito a comportamenti discriminatori od omofobi che possono incidere, anche in maniera pesante, sulla libertà e sulla vita delle persone omosessuali.
Che, non a caso, finiscono spesso con l’essere vittima di ostracismo o di vere e proprie violenze, basate appunto sul pregiudizio che ancora oggi li etichetta come “sbagliati” o “contro natura”.
Alcune precisazioni:
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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