"Ho tanta paura per mia figlia su Tik Tok"
Un padre di 41 anni ha scritto al nostro numero di Whatsapp raccontando come l'interesse della figlia nei confronti dell'app Tiktok lo stia molto preoccupando.
Un padre di 41 anni ha scritto al nostro numero di Whatsapp raccontando come l'interesse della figlia nei confronti dell'app Tiktok lo stia molto preoccupando.
“Il regalo dello scorso Natale di mio fratello per mia figlia è stato uno smartphone.
Lì per lì, io e mia moglie non abbiamo avuto il coraggio di dire niente: lei adora suo zio e ormai sta crescendo. Ci siamo detti che per una ragazzina che iniziava le scuole medie, che ha le sue amicizie e i suoi interessi, che si muove coi mezzi pubblici da sola, un telefonino poteva essere utile. Confesso: ho pensato che ci avrebbe aiutato a “proteggerla” un po’ di più. Non siamo degli sprovveduti e piuttosto che vietare preferiamo conoscere e condividere.
Frequentiamo i social, sappiamo i pericoli della rete e parliamo con lei del rischio di intrecciare amicizie con sconosciuti che possono rivelarsi, nel peggiore dei casi, bulli, truffatori o adescatori. Vado al punto: mia figlia, come quasi tutti i suoi amici, ha scaricato l’applicazione “Tiktok” e ne è completamente incantata. Uso il termine “incantata” perché nel tempo che le è concesso di passare in rete è completamente rapita. Io mi sento vecchio, non capisco cosa ci trova. Vedo video velocissimi, che per me non hanno senso, spesso di bambini anche più piccoli di lei.
Soprattutto i video delle bambine sono inquietanti: ballano in modo provocante, sono truccate, sembrano piccole donne sexy. Non voglio essere un padre troppo protettivo o bacchettone, ma quei contenuti mi turbano e non posso fare a meno di chiedermi che effetto possono avere su di lei. Ti chiedo: sono solo io che sono un dinosauro tecnologico o è un’applicazione che le fa davvero male?”
(Ale, 41 anni)
Caro Ale, lasciami prima di tutto scrivere che il tuo messaggio è per me molto rassicurante: cercare di capire e mettere in discussione i limiti che finora abbiamo avuto (e dato, soprattutto come genitori) è la strada giusta per crescere insieme ai nostri figli in un mondo colonizzato dalle tecnologie dell’intrattenimento. Scrivo intrattenimento e non comunicazione proprio perché molta tecnologia è fatta perché gli utenti letteralmente “ci anneghino dentro”. La metafora dell’oceano per descrivere il web ha molto successo perché ha un senso: nel web c’è di tutto, e quello che vediamo e popoliamo è solo una piccola parte.
Anche io, come te e come moltissimi altri adulti, sono spesso smarrita di fronte all’esplosione di fenomeni virali di breve durata e di fascino per me incomprensibile. Definito che abitiamo la stessa parte di questo mondo e che questa rubrica è uno spazio il più possibile neutro da giudizi (tutti i livelli compresi tra dinosauri e tecnoentusiasti sono benvenuti!) entriamo nel merito di “Tiktok”.
Breve e doveroso inciso per chi non ha figli appena entrati in adolescenza e connessi in rete. “Tiktok” è il nome con cui, nell’agosto 2018, è stato rilanciato il social cinese Musical.ly dal nuovo proprietario ByteDance. Ci si iscrive per condividere video in cui si canta e si balla in playback (cioè si fa “lip–sync”) con brevi video, sotto il minuto; non solo: ci si trovano anche clip comiche, tutorial, piccole prove di abilità, saluti delle star.
Gli ultimi dati rivelano che Tiktok vanta 1.5 miliardi di download ed è la terza app più usata dopo Whatsapp e Messenger, avendo superato Facebook e Instagram (tutte e quattro proprietà di Facebook). In teoria, come in FB, c’è un limite fissato a 13 anni per iscriversi; ma non è verificato. Per farla molto molto semplice: è un social fatto solo di stories in cui sono visibili i numeri dei like. A differenza di altri social che prevedono l’iscrizione, in Tiktok tutti gli account sono pubblici: questo significa che chiunque può vedere e contattare gli utenti che postano i loro video.
Caro Ale, i tuoi turbamenti e i tuoi timori non sono infondati. In primo luogo perché è un’app fatta per “catturare” l’utente da un lato e dall’altro: chi guarda sviluppa una fruizione compulsiva di contenuti velocissimi e sempre diversi, facendo costantemente zapping. Il breve video è raramente un contenuto di spessore; e abitua il cervello a rispondere a scariche di adrenalina. Chi produce i video e li condivide cerca attenzione e consenso, osando con l’ingenuità e l’imprudenza tipiche dell’adolescenza.
Esiste poi un oggettivo problema di sicurezza: proprio in questi giorni, le riviste di settore hanno riportato la correzione di una falla che permetteva agli hacker di scaricare dati personali e video degli utenti, cancellare contenuti e caricarne altri non autorizzati. Insomma: in fatto di sicurezza, Tiktok è un colosso dai piedi d’argilla.
Infine, cosa da non sottovalutare, i videoclip hanno come protagonisti per lo più bambini, che sono visibili e contattabili da chiunque nel mondo. Con tutta l’apertura mentale possibile, questa prospettiva è comunque inquietante.
Tiktok è l’ultimo social di enorme successo tra i giovanissimi utenti, in grado di diffondersi con una rapidità sconcertante e privo di garanzie che social più maturi ormai devono riconoscere a utenti più esigenti per quanto riguarda la sicurezza dei propri dati, la moderazione e l’affidabilità per le situazioni di rischio.
Non sarà l’ultimo: altri fenomeni nasceranno, qualcuno resterà e si consoliderà, altri saranno delle comete destinate ad essere presto dimenticate. “È la viralità, bellezza!”, direbbe qualcuno. Ma la viralità non è sempre innocua: un conto sono i video musicali, un conto sono le challenge (vere e proprie gare) che spingono gli utenti a sfide pericolose (ricordate extreme ironing? era la sfida a stirare in situazioni assurde e di estremo pericolo), al bullismo di massa (una su tutte: il deprecabile “pull a pig”, cioè l’ingannevole seduzione e l’umiliazione pubblica di una donna fisicamente poco attraente) fino all’autolesionismo.
Di fronte a questo mare di pericoli, la tentazione del divieto è forte. Ma permettetemi di usare una metafora: da bambini, per non avere paura del mare bisogna imparare a nuotarci dentro; ed è meglio se ce lo insegna qualcuno di più grande e di più esperto.
Quindi, tre cose da fare subito se siete genitori sbigottiti di fronte ai fenomeni virali. Primo: essere curiosi, conoscere, capire. Esistono e attirano i vostri figli? Allora vale la pena interessarsi e approfondire di cosa si tratta. E se anche non lo capite, non condannatelo a priori, ma cercate qualche lato positivo; va bene anche il divertimento (non venite a dirmi che passate notti intere a guardare le serie tv perché hanno contenuti di spessore!).
Secondo: dare dei limiti al tempo in rete. Esiste una differenza tra informazione e conoscenza: quando acquisiamo delle informazioni (parole, dati, immagini), poi dobbiamo avere il tempo di elaborarli, abbiamo fisicamente bisogno di pensarci su, di capire; e anche di mettere a fuoco quello che ci ha turbato o disorientato.
Terzo: mantenete aperto il dialogo e il confronto, senza pregiudizi o condanne. Qualsiasi cosa succeda ai vostri figli (nella vita reale come in quella virtuale) devono sapere che possono raccontarvela e che voi ascolterete, vi sforzerete di capire e sarete comunque dalla loro parte. Questa è la differenza determinante tra il supporto (concreto) di un genitore e quello dei follower.
E adesso scusate, ma per i miei figli è iniziato il momento del gioco e qui spopolano Fortnite e Minecraft. So che potete capire la fatica che fa una come me, che sono pacifista e che, per costruire mondi, non uso altro che parole…
Sei una vittima, non vergognarti. Non è colpa tua e non sei solo.
Parlane con un adulto e con chi può darti un aiuto concreto: qui di seguito trovi un manuale di primo soccorso.
Se pensi che i tuoi genitori o gli adulti di riferimento non possano capire o non stiano accogliendo la tua richiesta di aiuto in maniera idonea, fai leggere loro queste parole e prendi contatto con persone qualificate che potranno darti il supporto necessario e che meriti.
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MANUALE DI PRIMO SOCCORSO
PER VITTIME DI BULLISMO E DI CYBERBULLISMO
Laureata in lettere moderne, giornalista e professionista della comunicazione privata e istituzionale. Da oltre dieci anni consulente per le istituzioni e le amministrazioni pubbliche su innovazione urbana e sociale [smart cities &a...
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