Fighe di legno e uomini autorevoli: due volti della stessa medaglia
Donne troppo disinibite? "Cagne". Troppo poco accondiscendenti? "Fighe di legno". Benvenuti nel mondo dove non vai comunque mai bene (se sei donna).
Donne troppo disinibite? "Cagne". Troppo poco accondiscendenti? "Fighe di legno". Benvenuti nel mondo dove non vai comunque mai bene (se sei donna).
Di esempi ce ne sono a bizzeffe, come peraltro ricordato dalla bravissima Paola Cortellesi nel suo monologo ai David di Donatello del 2018; le donne vengono sempre valutate diversamente per l’attitudine che hanno nel mondo del lavoro, nella loro vita privata e nel modo di rapportarsi con l’altro sesso.
Un esempio classico? Quello della “figa di legno“, espressione, ovviamente gergale, che si è diffusa per caratterizzare le donne in due diversi contesti: quello lavorativo, appunto, ma anche quello sessuale.
L’espressione può assumere una doppia valenza, e riferirsi a una donna in ambito professionale, oppure per un atteggiamento specifico verso il sesso opposto.
Dal primo punto di vista, generalmente a essere considerata una figa di legno è una donna estremamente autorevole sul posto di lavoro, che riveste cariche importanti e mostra quindi un’immagine professionale, senza lasciarsi andare a battute con i colleghi o i subordinati, focalizzandosi esclusivamente sul lavoro.
È sorprendente come, sul versante opposto, un uomo che sfoggia le stesse caratteristiche sia considerato autorevole, ammirabile, degno di rispetto, insomma connotato con elementi tutti positivi.
Ma la figa di legno è anche la ragazza o la donna che non si concede “facilmente” agli uomini, che “se la tira” e non ama le avventure sessuali. Anche in questo caso, sembra proprio che per le donne non ci sia via di scampo, dato che chi presenta le caratteristiche opposte non se la passa meglio.
Insomma, le donne molto emancipate dal punto di vista sessuale sono generalmente appellate come “cagne“, “poco di buono”, “zoccole” e con tutta quella serie di epiteti che tendono a rimarcarne la scarsa serietà e integrità morale; le altre, quelle che “dicono di no” sono fighe di legno. Sembra una condanna a vita, della serie: se sei brutto ti tirano le pietre, se sei bello, ti tirano le pietre.
Inutile poi dire che, sul versante maschile, il vocabolario sia di tutt’altro tenore: “playboy”, “dongiovanni”, sono i titoli guadagnati dagli uomini con una vita sessuale molto attiva (mai nessuno che si sogni di chiamarne uno “zoccolo”), mentre un uomo che rifiuta le avances di una donna non è probabilmente neppure considerato, o viene etichettato come gay.
Perché, nella concezione machista e di ipervirilità con cui siamo cresciuti (tutti) si fatica a considerare l’ipotesi che a un uomo possa non piacere una donna, fare sesso con una sconosciuta o cercare delle avventure.
Perché questo doppio standard? Possibile che a sbagliare siano sempre le donne? Come giustamente osserva Tea Hacic-Vlahovic in questo articolo per Vice
Nella pratica, in fondo, il concetto di figa di legno nasce per opposizione a una donna ideale che non esiste. Quando hanno a che fare con una donna gli uomini italiani si aspettano l’impossibile, eppure sono i primi a lamentarsi di quanto siano impegnative non appena queste formulano una qualsiasi richiesta. […] se fossi cresciuta in Italia io stessa oggi sarei una figa di legno, e anzi dovremmo tutte esserlo.
Prendete me, per esempio: io sono sempre stata l’esatto opposto di una figa di legno, eppure anche così non ci ho guadagnato niente. Gli uomini mi odiavano lo stesso. E sapete perché? Perché ero una ‘cagna’. È assurda, in Italia, la quantità di insulti a disposizione di chiunque voglia esprimere un’opinione sulla vita sessuale di una donna’, mi ha detto Claudia, una delle ragazze che hanno risposto al mio appello su Facebook. ‘L’ho capito l’altro giorno, quando un ragazzo mi ha chiamata rizzacazzi perché avevo postato una foto in cui ero piuttosto scollata. Ovviamente è stato uno dei primi a mettere like’.
Morale, tanti vi odieranno indipendentemente da ciò che fate. Quindi, già che gli insulti li prenderete comunque, meglio avere il coltello dalla parte del manico.
Chiaramente non esiste un’etimologia dell’espressione; si può solo provare a pensare al motivo per cui si sia iniziata a usare. Dato che generalmente la si usa per associarla all”insensibilità dell’organo sessuale, come se non fosse fatto di carne, c’è da supporre che si sia usato il termine “legno” riferendosi a un materiale duro e non sensibile.
A dirla tutta, probabilmente usare l’espressione figa di pietra sarebbe stata la stessa cosa, ma evidentemente non è venuto in mente a nessuno…
O forse si può pensare che si sia scelto il legno ricordando quei tipici segni sulle cortecce degli alberi che a qualcuno, evidentemente, possono richiamare alla mente proprio una vulva. In ogni caso, il senso è piuttosto eloquente: parliamo di donne considerate frigide.
In qualunque modo la si pensi, e anche sforzandosi di trovare “buffa” questa espressione, non possiamo evitare di considerarla per ciò che è, ovvero una maniera come un’altra per riaffermare che i ruoli di potere sono precisamente definiti nella società, e ovviamente sono appannaggio esclusivo degli uomini; i quali possono “permettersi” comportamenti e atteggiamenti che, invece, nelle donne sono considerati esecrabili o quantomeno da biasimare.
Tentare di sminuire una donna autoritaria sul lavoro, o non lasciarle la possibilità di agire liberamente nella propria sfera sessuale perché costantemente oppressa dall’ormai storica dicotomia “santa/puttana”, alla fin fine non è che un altro modo per tentare di tenere sotto controllo l’agire femminile, compresa la rabbia, che è invece un importante segno di affermazione e di autodeterminazione.
La scrittrice e attivista americana Soraya Chemaly ne ha fatto un’analisi lucidissima nel suo libro, La rabbia ti fa bella.
Se veniamo molestate, ci dicono che ce la siamo cercata e ci chiedono se è così difficile fare un sorriso (sì, lo è). Nonostante ci sia stato detto il contrario per tutta la vita, la rabbia è una delle risorse più importanti che abbiamo, il nostro strumento più acuminato contro l’oppressione sia personale che politica. Ci è stato ripetuto per molto tempo di reprimerla, lasciando che corroda i nostri corpi e le nostre menti in modi che nemmeno immaginiamo. Eppure questo sentimento è uno strumento vitale, il nostro radar per l’ingiustizia e un catalizzatore per il cambiamento. E, viceversa, la critica sociale e culturale verso la nostra rabbia è un astuto modo di limitare e controllare il nostro potere.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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