C’è una cosa che è sempre stata in grado di destare al tempo stesso scandalo, curiosità, interesse e dibattito: il topless femminile.

Perché tante discussioni appassionate sul seno delle donne, e sulla loro libertà di mostrarlo? Per citare Julia Roberts in Notting Hill “Una persona sue due al mondo ce l’ha. Vostra madre ne ha uno“. Eppure esibire il seno è stato, per anni (e lo è tuttora, in un certo senso), simbolo di ribellione, di trasgressione o, se si vuole considerare l’altra faccia della medaglia, di oltraggio al pudore e alla pubblica decenza.

Per capire come mai il topless abbia da sempre esercitato questo particolare fascino su uomini e donne, forse conviene prima di tutto conoscerne la storia.

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La storia del topless

Il topless, a dispetto di quanto comunemente si possa pensare, è diventato un problema di pubblica decenza più in tempi moderni che nel passato; se pensiamo alle culture islamiche, ad esempio, il seno ha cominciato a essere coperto solo a partire dal VII secolo, con la diffusione su larga scala della religione.

In India, prima dell’avvento dell’Islam, a coprire il seno erano le donne appartenenti a una certa casta: ad esempio, nella zona del Kerala, presso il gruppo etnico di maggioranza, i malayalee, fino al 1858 solo alle donne dei brahamini (la casta religiosa) e dei kshatriya (i guerrieri) era permesso coprirsi il seno.

In Europa il seno nudo non ha destato scandalo almeno fino al XVIII secolo, anzi nelle classi più elevate poteva ritenersi persino comune; diversi, infatti, sono i ritratti di dame, regine e nobili ritratte in un primordiale topless. Pare che all’epoca esistesse persino un make-up specifico proprio per i capezzoli.

La svolta puritana venne inaugurata soprattutto con la società vittoriana inglese, e i suoi strascichi si sono avvertiti per lungo tempo in tutto il mondo anglosassone: negli USA, ad esempio, fino al 1936 era illegale anche per gli uomini stare in un luogo pubblico a torso nudo, e fece scandalo, proprio per questo motivo, la scena di It Happened One Night, del ’34, in cui Clark Gable appare proprio senza maglietta.

A partire dagli anni ’60, e nel decennio successivo, il topless diventa simbolo della rivendicazione femminile, e a sfoggiare per prima il monokini di Rudi Geinrich fu Peggy Moffit, nel 1964, anche se negli Stati Uniti era illegale.

Ma a dare una svolta alla storia del topless fu soprattutto l'”impresa” di sette ragazze di Rochester, che nel 1986 si presentarono in un parco in topless e furono arrestate: il gruppo presentò un appello che, nel 1992, diede loro ragione. Da quell’anno, infatti, New York ha concesso il diritto di stare in topless praticamente ovunque. Uno dei motivi per cui la Corte emise la storica sentenza è interessante e piuttosto eloquente:

Continuare a nascondere il seno non fa altro che rinforzare l’ossessione culturale verso di esso da parte di entrambi i sessi e scoraggia le donne dall’allattare i loro bambini.

Qualche “problema” rispetto al topless, comunque, esiste ancora: basti pensare che, nel 2004, in Australia, nella cittadina di Alice Springs la polizia costrinse un gruppo di donne aborigene in topless impegnate in un ballo tradizionale in un parco cittadino a rivestirsi, scatenando la reazione veemente dell’intera comunità aborigena.

Il topless e il “comune senso del pudore”

Ma il problema del topless sta davvero nella presunta offesa al senso del pudore che farebbe?

Non ne sembra convinta la scrittrice Anna Meldolesi, che nel suo libro, Elogio della nudità, parla piuttosto di contraddizioni in cui culturalmente siamo impigliati e da cui fatichiamo a liberarci. Tutta colpa, scrive, di un senso del pudore che è ambiguo, e intimidatorio.

Andiamo tranquillamente al mare in bikini ma non usciremmo mai di casa in biancheria intima, anche se i centimetri di pelle sono gli stessi.

La questione del topless, in realtà, pare andare ben al di là della moralità o della decenza, e lo dimostra il fatto che, a tutt’oggi, non sono viste di buon occhio neppure le madri che allattano in pubblico, che sono indiscutibilmente slegate dal sesso.

Il problema, allora, è che il topless continua, a distanza di decenni, a essere interpretato per quello che è diventato nei decenni delle rivolte e dell’emancipazione femminile, un simbolo di autodeterminazione delle donne, un modo per rivendicare una libertà che passa anche dalla scelta dell’abbigliamento (o del non abbigliamento) che è tutto fuorché un invito agli uomini a lasciarsi andare a commenti, battutine fuori luogo o allusioni sessuali.

Diverso è rispettare una legge che vale per entrambi i generi, come quella, adottata da molte zone turistiche italiane, che vieta di girare per le strade di paese a petto nudo. In questo caso il comportamento sfocia nell’illegalità indipendentemente che a compierlo sia un uomo o una donna – discutere sulla liceità del provvedimento o del suo bigottismo è un altro paio di maniche – ma nei posti consentiti non è chi si mostra in topless ad avere un problema. È chi la ritiene una cosa indecente ad averlo.

Le leggi sul topless nel mondo

Cosa dicono le leggi a proposito del topless? In Italia i primi procedimenti penali si registrano nel 1973, seguite da assoluzioni nel 1977, in particolare per due ragazze di Voltri. Negli anni abbiamo assistito anche all’emanazione di leggi piuttosto strampalate (per usare un eufemismo), come quella, del 1982, per cui i sindaci di Tropea e Pantelleria consentirono il topless solo alle ragazze con “un bel seno”.

Nel 2000 la terza sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 3557 del 20 marzo 2000, arriva a una distinzione tra topless e nudismo, rendendo di fatto legale il primo e ponendo la parola fine a una battaglia giudiziaria quasi trentennale.

Generalmente si parla di topless in merito a località turistiche, e proprio in queste esistono diverse normative sul monokini: negli USA, ad esempio, il topless è pressoché bandito da ogni spiaggia, fatta eccezione per Key West, in Florida (ci sarebbero anche zone destinate ai nudisti, ma sotto stretta sorveglianza delle forze dell’ordine).

Nel 2016 il sindaco liberale di New York Bill De Blasio ha dichiarato che avrebbe creato un team per contrastare “il crescente problema delle donne in topless e degli attori in costume” a Times Square. Eppure, come detto, nella Grande Mela il topless è legale in tutta la città.

Ma cosa succede nei paradisi tropicali e nelle località turistiche più esotiche?

  • alle Seychelles il topless è tollerato, non il nudismo;
  • ad Antigua alcune spiagge vietano il topless, ed esiste una spiaggia per nudisti nella zona di Hawksbill:
  • più restrittive le Maldive, che vietano del tutto il nudismo, lasciando tolleranza (in poche zone) al topless;
  • no al topless in Egitto, India, Kenya, Isole Fiji (nudo e topless sono considerati offensivi, ma quest’ultimo è tollerato sulle spiagge dei resort);
  • anche in Brasile il topless è consentito solo sulle spiagge di Ipanema e Copacabana, mentre nel resto del Paese è vietato;
  • illegale ad Anguilla, nei Caraibi, alle Isole Cook è invece considerato offensivo girare poco vestiti o con abiti succinti, a torso nudo, o in costume da bagno. Il topless, pur se tollerato sulle spiagge degli alberghi internazionali, è comunque sconsigliato;
  • stessa cosa, più o meno, per Bali, dove in genere sono sconsigliati gli abiti succinti fuori dalle zone turistiche, mentre topless e nudismo in spiaggia sono vietati;
  • il Messico, pur considerando immorale il topless, lo tollera, mentre il nudismo è vietato, a meno che non venga praticato in spiagge molto isolate.

In Europa sono zone free topless, con poche eccezioni relative a qualche zona, Francia, Spagna, Italia e Grecia.

Topless al mare: pro e contro

Parliamo ovviamente solo da un punto di vista di salute; se il monokini in spiaggia consente un’abbronzatura semi-integrale, senza che ci si ritrovi con gli antiestetici segni delle spalline del reggiseno (non ideali se si intende portare un abito a fascia, ad esempio) bisogna anche valutare gli aspetti “contro” della tintarella in topless.

La più grande preoccupazione riguarda, ovviamente, il tumore al seno, anche se non ci sono evidenze che mostrino una correlazione tra l’insorgenza del cancro e l’esposizione del seno al sole.

Va però detto che, rimanendo coperto per la gran parte dell’anno, il seno ha una pelle senza dubbio più delicata, quindi più facilmente esposta a scottature o eritemi; seno, pancia e glutei sono infatti le zone che possono scottarsi per prime, quindi è fondamentale scegliere una buona crema protettiva.

Il movimento “free the nipple”

Tutto ha avuto inizio nel 2013 con l’attivista e filmmaker Lina Esco, e nel corso del tempo il movimento free the nipple ha riscosso sempre maggiore successo, sia attraverso campagne di attivismo che sui social.

Quella di Esco è nata soprattutto come crociata contro i tabù e le contraddizioni della cultura americana, ma ben presto si è allargata a macchia d’olio in quasi tutto il mondo, toccando i più disparati argomenti, dall’allattamento in pubblico, alle censure dei post Instagram, fino al diritto, per ogni donna, di non indossare il reggiseno, tema salito alla ribalta, in Italia, dopo il caso di Carola Rackete.

Prendiamo proprio il caso della censura social, evidente nel caso di un topless maschile o femminile: le linee guida di Instagram chiedono espressamente agli utenti di mostrarsi “con i vestiti addosso”, e rimuove prontamente le foto in cui si vede l’areola del capezzolo femminile – a meno che non venga auto-censurata – mentre lascia senza alcun problema quelle che ritraggono soggetti maschili.

Non proprio coerente, come cosa…

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