La necessità del femminismo religioso: Simone De Beauvoir, Una Kroll e le altre
A cosa serve parlare di femminismo religioso? Come la necessità di unire fede e diritti delle donne ha plasmato la storia delle religioni
A cosa serve parlare di femminismo religioso? Come la necessità di unire fede e diritti delle donne ha plasmato la storia delle religioni
Quando si parla di religione, si tende normalmente a parlare di divinità e umanità. C’è però un dualismo molto più profondo e meno indagato, che divide uomo e donna in seno alla professione e alla pratica della fede. Questa dicotomia è il cuore del dibattito sul femminismo religioso, che si muove in un territorio pericoloso: nell’eterno anelito all’ascensione mistica, è in una dimensione squisitamente terrena che si consuma la lotta per il progresso di tutte le religioni.
C’è una possibilità per la parità di genere nelle religioni? C’è e in realtà c’è già stata in passato. Ripercorrere tutta la storia è un’impresa mastodontica e sfiancante, ma vale la pena compiere un volo pindarico dalle antiche religioni pagane a oggi.
Non ci sono arrivate molte informazioni su Pu-Abi, regina e sacerdotessa sumera, ma sappiamo che molto probabilmente univa in una sola persona la dimensione di sovrana e guida spirituale.
Un’onorificenza altissima, che ritroviamo traslata anche nell’Antico Egitto nel titolo di Divina Sposa di Amon, spesso ricoperto dalle principesse egizie, come Neferura, figlia di Hatshepsut. Tra i compiti di queste sacerdotesse c’era la gestione pratica ed economica del tempio del dio Amon, che richiedeva non poco impegno e diplomazia.
Nell’Antica Grecia, scenario illuminato come pochi altri nella storia, le donne erano responsabili di riti e celebrazioni importanti, come le Tesmoforie e i misteri eleusini. Ed è impossibile non citare Pizia, la celebre sacerdotessa del tempio di Delfi dedicato al dio Apollo.
Sono presenti figure centrali di donne anche nella storia dell’induismo, del buddhismo e dell’ebraismo, che ha dovuto aspettare fino al 1935 per vedere la sua prima rabbina, Regina Jonas.
Nell’Antica Roma c’erano le Vestali, le sacerdotesse che vegliavano il fuoco sacro e offrivano la loro vita alla dea Vesta. Grazie al voto di castità potevano dedicarsi allo studio e ai rituali statali, portando avanti un potere anche superiore ai sacerdoti uomini.
A spogliarle dei loro diritti e dell’autorità ci pensò un imperatore romano cristiano, Graziano: il cristianesimo si adoperò per escludere le donne dall’ordinazione vera e propria (vescovo e sacerdote), concedendo solo l’apertura degli ordini religiosi.
Nel 494 papa Gelasio I condannò pubblicamente la partecipazione femminile ai riti, compresa la celebrazione dell’eucaristia, definendo un nuovo corso patriarcale per la Chiesa cattolica.
Poco è cambiato fino a oggi: nel 1992, papa Giovanni Paolo II ribadiva ancora una volta l’incompatibilità delle donne con l’ordinazione sacerdotale. Nell’ambito delle chiese protestanti, invece, il passaggio al pastorato femminile era stato già compiuto da qualche decennio, intorno all’inizio del Novecento.
Papa Francesco ha invece manifestato l’intenzione di aprire una discussione sulla possibilità di un diaconato femminile, specificando però di non voler superare le posizioni di papa Giovanni Paolo II.
La storica e teologa Anna Carfora ha raccontato il suo punto di vista in una recente intervista alla RAI. A suo parere, un cambio di prospettive della Chiesa cattolica avrebbe un effetto rivoluzionario sulla condizione delle donne che di fatto donano già tutta la loro vita alla fede.
Se un diaconato femminile venisse istituito nella Chiesa cattolica in maniera pienamente analoga al diaconato permanente maschile, cambierebbero sicuramente diverse cose. Tra le più importanti, direi, le funzioni liturgico-sacramentali che allo stato le donne non possono svolgere: matrimoni o esequie, ad esempio. Le donne uscirebbero dall’ombra e dall’ufficiosità e riceverebbero, soprattutto, quella “grazia di stato” che è legata all’ordinazione e che è dono che si riversa sulla comunità prima ancora che sulla persona. Avremmo una Chiesa più inclusiva e meglio capace di riverberare sul mondo – e si comprende bene come non si tratti qui di aggiornare la Chiesa al mondo o meglio di rincorrere le mode del mondo come alcuni paventano – il volto di Dio che è volto di Padre e di Madre allo stesso tempo.
Negli ultimi anni, un’ondata di femminismo religioso ha attraversato il mondo musulmano. Sono molte le donne che chiedono la Musawah (l’uguaglianza in arabo, che ha dato anche il nome a un’associazione di donne femministe) non solo nella vita pubblica e privata, ma anche religiosa.
Margot Badran, storica del Medio Oriente e specializzata in tematiche legate al genere, in un bell’articolo tradotto da Jura Gentium parla di femminismo secolare e di femminismo islamico.
A differenza del femminismo secolare che emerge nella forma del movimento sociale, il femminismo islamico esplode sulla scena globale alla fine del XX secolo nella forma di un discorso – un discorso sull’uguaglianza di genere fortemente radicato nella religione. […] I femminismi secolari e islamici si sono rinforzati a vicenda. Non solo c’è un importante passato femminista secolare alle spalle del femminismo islamico, ma c’è anche una continua presenza fianco a fianco dei due femminismi. Le attiviste hanno utilizzato discorsi sia secolaristi che islamici nelle loro campagne per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere. All’inizio del XX secolo, le femministe secolari hanno utilizzato il discorso modernista islamico e, a partire dalla fine del ventesimo secolo, hanno attinto dal nuovo discorso femminista islamico.
La necessità di legare due argomenti solo apparentemente distanti, come la religione e il femminismo, è tutto sommato recente. Nel corso della storia occidentale sono emerse figure che possiamo definire protofemministe, come Santa Caterina da Siena, Santa Teresa d’Avila e la meno nota suora messicana Juana Inés de la Cruz, considerata la prima femminista del Nuovo Mondo.
Il primo cenno a una teologia femminista tout court risale però agli anni Sessanta ed è universalmente ricondotto all’articolo The Human Situation. A Feminine View di Valerie Saiving Goldstein. L’accademica metteva in discussione il sistema patriarcale delle dottrine religiose, scritte da uomini e per uomini, ponendole in una prospettiva moderna.
Studio teologia e sono anche donna. Forse vi sembrerà una stranezza il fatto che metta questi due concetti uno accanto all’altro, come se volessi intendere che l’identità di genere possa in qualche modo determinare la propria visione teologica. All’inizio dei miei studi teologici io stessa avrei obiettato ad una idea di questo tipo. Ma ora, tredici anni dopo, non sono così certa come una volta che quando i teologi parlano di “uomo” stiano usando la parola nel suo significato generico. Dopotutto è ben noto il fatto che la teologia sia stata scritta quasi esclusivamente da uomini. Questo fatto da solo dovrebbe metterci in guardia, soprattutto perché i teologi contemporanei continuano a ricordarci che una delle più grandi tentazioni dell’uomo sia quella di credere che la propria prospettiva limitata corrisponda alla verità universale.
Parlare di femminismo religioso senza nominare Simone de Beauvoir è impossibile. La madre del femminismo sosteneva ne Il secondo sesso (1949) che la religione opprimesse le donne nello stesso modo in cui opprimeva il proletariato secondo la teoria marxista.
Secondo il suo pensiero, gli uomini hanno a lungo esercitato il controllo della maggior parte delle istituzioni nella società, religione compresa: Dio è stata solo una scusa per giustificare il loro controllo sulla società.
Per gli ebrei, i maomettani e i cristiani, tra gli altri, gli uomini sono padroni per diritto divino; il timore di Dio reprimerà quindi ogni impulso alla rivolta nella donna oppressa.
Simone de Beauvoir si era allontanata prestissimo dalla religione cattolica, respirata e vissuta fin da giovanissima nell’istituto religioso in cui studiava. La sua era stata una scelta ferma, mai rinnegata, come raccontato in una vecchia intervista riportata dalla Stampa. Curiosamente, usava la parola “vocazione”, normalmente ricondotta a una dimensione spirituale, per parlare del suo lavoro di intellettuale.
Avevo una fede ardente da piccola, credevo veramente in Gesù bambino eccetera, ma dopo ho cominciato a credere sempre meno in quell’aspetto un po’ mitologico, esteriore, ma sempre di più in Dio, che però pian piano ho talmente distillato fino a non aver più rapporti con quel mondo, perché Dio non poteva essere stupido come le persone pie che incontravo, o come i preti con cui parlavo. Dio era diverso, non poteva essere interessato a stupidaggini, e allora ha finito col non rispondere più a niente e a nessuno. E mi sono accorta che non esisteva più per me; era evaporato.
Il Novecento è costellato però da storie di attiviste, teologhe e personalità che hanno contribuito al dibattito sul femminismo religioso, che non respinge la fede, ma cerca di includerla. Ecco alcune delle voci che si sono più distinte nel panorama mondiale.
Teologa statunitense, classe 1938, Elisabeth Schüssler Fiorenza insegna alla Harvard Divinity School e ha cofondato l’autorevole Journal of Feminist Studies in Religion. Nel suo primo libro, In memoria di lei. Una ricostruzione femminista delle origini cristiane (pubblicato in Italia nel 1990, ma scritto nel 1984), ha indagato il ruolo delle donne agli albori della cristianità, prima di essere relegate a una dimensione inferiore a quella degli uomini.
La teologia cristiana femminista e l’interpretazione biblica delle donne stanno entrambe riscoprendo che il Vangelo cristiano non può essere proclamato se non vengono ricordate le discepole e quello che hanno fatto. Stanno recuperando la cena di Betania come eredità cristiana delle donne al fine di correggere simboli e ritualizzazioni di un’ultima cena tutta maschile, che è un tradimento del vero discepolato cristian0. […] Finché i racconti e la storia delle donne agli inizi del cristianesimo non saranno teologicamente concettualizzati come parte integrante della proclamazione del Vangelo, le tradizioni e i testi biblici formulati e codificati da uomini rimarranno fonte di oppressione per le donne.
Nata nel 1943 a Lahore, in Pakistan, Riffat Hassan è una delle più note femministe islamiche. Teologa e docente negli Stati Uniti, dove ora vive, sostiene un’interpretazione non rigida del Corano, attraverso l’ermeneutica, ovvero l’esame del significato delle parole al momento in cui fu scritto.
Si batte per il diritto all’aborto e l’accesso ai contraccettivi per le donne musulmane, affermando che il Corano non affronta direttamente l’argomento, ma che il quadro religioso ed etico dell’Islam porta alla conclusione che la pianificazione familiare dovrebbe essere un diritto fondamentale.
Judith Plaskow, nata a Brooklyn nel 1947, è la prima teologa femminista di fede ebraica (e anche apertamente lesbica). Nel suo bestseller Standing Again at Sinai: Judaism from a Feminist Perspective (1991), uno dei primi testi teologici femministi ebraici, sosteneva che l’assenza di prospettive femminili nella storia ebraica ha avuto un impatto negativo sulla religione e ha spinto le femministe ebree a rivendicare il loro posto nella Torah e nel pensiero ebraico.
Non sono ebrea nella sinagoga e femminista nel mondo. Sono una femminista ebrea e un’ebrea femminista in ogni momento della mia vita.
Nata del 1936 in Minnesota, Rosemary Radford Ruether è una delle voci più importanti del femminismo religioso cattolico. Si batte per l’ordinazione femminile così come negli anni Sessanta si era battuta a fianco degli afroamericani per la conquista dei diritti civili. Docente in teologia femminista dal 1965, ha scritto una trentina di libri e centinaia di articoli sul femminismo religioso e sull’ecofemminismo.
Scomparsa nel 2017 a 91 anni, la britannica Una Kroll è stata medico, suora e attivista femminista con un ruolo di primo piano nel movimento per l’ordinazione delle donne. Come racconta un articolo del Guardian, nella sua vita ha rifiutato qualsiasi tipo di etichetta: forse il titolo del suo libro del 1995, Vocation to Resistance (vocazione alla resistenza), è l’unico che la riesce a descriverla.
Quando nel 1978 il Sinodo Generale, organo legislativo della Chiesa d’Inghilterra, si è espresso con parere contrario all’ordinazione delle donne, lei c’era. Dalla galleria, dove avrebbe dovuto partecipare in silenzio, urlò “abbiamo chiesto del pane e tu ci hai dato una pietra”, citando il Vangelo secondo Matteo. Anni dopo, nel 1992, si è deciso di aprire al sacerdozio femminile e nel 1997 Una Kroll è stata ordinata sacerdote della Chiesa d’Inghilterra.
Web content writer e traduttrice. Parlo poco, scrivo tanto e cito spesso Yeats.
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