Ognuno di noi è vittima dell'Effetto Bandwagon, anche se è convinto di no
Seguire la massa per paura di essere esclusi: questo fenomeno ha un nome, si chiama effetto bandwagon.
Seguire la massa per paura di essere esclusi: questo fenomeno ha un nome, si chiama effetto bandwagon.
È un comportamento decisamente più frequente di quanto si pensi, perché, a dispetto di una millantata coerenza di idee e di intenzioni, è praticamente connaturato all’animo umano essere influenzati da un certo background culturale e da una serie di pregiudizi e credenze che spingeranno ciascuno di noi a seguire il flusso della maggioranza, legandoci a opinion leader e seguendo quella che è la linea generale.
Questo fenomeno ha un nome: si chiama effetto bandwagon.
Il bandwagon non è altro che un carrozzone, pertanto con la definizione di effetto carrozzone, appunto, si intende in psicologia la propensione ad adottare comportamenti o stili uniformandosi a quanto fanno gli altri. Seguendo la massa, in sostanza, senza formare un proprio pensiero in maniera acritica e privo da influenze.
La paternità del termine è da attribuirsi, come spiega un articolo di Forbes, all’attore comico statunitense Dan Rice, l’uomo a cui si sarebbero ispirati per disegnare il famoso zio Sam che invitava al reclutamento durante la prima guerra mondiale, che, nel corso delle elezioni presidenziali del 1848 – nelle quali lui era un sostenitore di Zachary Taylor, che poi sarebbe stato effettivamente eletto – organizzò una campagna elettorale sotto forma di lungo spettacolo itinerante.
Girovagando per gli Stati Uniti a bordo di un carro circense, con musicisti a seguito (un band-wagon, per l’appunto), il comico ottenne tanto successo da far coniare l’espressione “to jump on the bandwagon”, ovvero “saltare sul carrozzone“, nel lessico popolare, e da spingere altri candidati, negli anni successivi, a ripetere l’esperimento, svolgendo i propri comizi elettorali su un carro con musicisti. Non è infatti un caso se, ancora oggi, l’effetto bandwagon sia presente soprattutto nel campo elettorale.
Sono diverse le ricerche che hanno tentato di comprendere se i sondaggi siano in grado di influenzare il comportamento di voto degli elettori, come evidenziato anche dal professor Guido Gili nel suo libro Il problema della manipolazione: peccato originale dei media?.
Gili sostiene infatti che i sondaggi possano diventare veri e propri strumenti di marketing politico, assolvendo a funzione di “legittimazione” di un candidato o di uno schieramento, oppure di delegittimazione dell’avversario. Inutile dire che, così facendo, rappresentino un mezzo importantissimo per la formazione e il consolidamento del consenso, ma anche per la costruzione dell’agenda politica stessa, imponendo gli argomenti da trattare in primo piano.
In questo modo gli elettori, durante le varie campagne elettorali, rischiano letteralmente di essere “risucchiati” da percentuali e previsioni, finendo con l’orientarsi verso il candidato che risulta vincente; per fare un esempio pratico, un sondaggio di Youtrend ha dimostrato com la Lega abbia visto crescere i propri consensi nelle tre settimane successive al clamoroso exploit alle elezioni europee del 26 maggio, passando dal 34 al 36%.
Se nel campo finanziario l’effetto bandwagon è uno dei bias cognitivi che maggiormente influenzano gli investitori, nel marketing pubblicitario questo fenomeno si configura soprattutto come una strategia di manipolazione che cerca di condizionare le scelte dei clienti indecisi, i quali tendono ad affidarsi a ciò che ritengono essere “il meglio” sul mercato; è il motivo per cui molti prodotti vengono presentati come “prodotto dell’anno”, “il più venduto” o “il più popolare”.
Ma un chiaro esempio, in tempi di app e di social, ce lo offrono anche piattaforme che offrono recensioni di hotel o ristoranti, come TripAdvisor o Booking, in grado di influenzare decisamente le scelte dei consumatori nel bene o nel male.
Apparentemente l’effetto bandwagon sembrerebbe un ottimo modo per risparmiare energia: il nostro cervello non deve sforzarsi troppo per pensare, ma può seguire la sua inclinazione naturale all’omologazione. I problemi alla base dell’uniformazione di pensiero, però, sono fin troppo evidenti: pensiamo, ad esempio, a quanto questo effetto sia presente, con elementi potenzialmente deleteri, nei gruppi di adolescenti, che tendono a fare cose identiche, a vestirsi con le stesse marche, a compiere gli stessi gesti, per ricevere l’accettazione sociale di cui in quel momento sentono di avere bisogno.
In generale, seguire la massa tende a privare ciascuno di noi di quel libero arbitrio di cui, invece, disponiamo, solo per il timore di non essere accettati in un gruppo, di essere esclusi, o di essere additati come diversi e sbagliati; il fatto di essere “animali sociali”, come Aristotele definiva l’uomo, non significa essere per forza d’accordo su tutto con la maggioranza, e invece l’insidia principale dell’effetto bandwagon sta proprio qui: se non la pensi come il gruppo, allora non fai parte del gruppo (in Matrix Morpheus l’avrebbe detta come “Se non sei uno di noi, allora sei uno di loro”).
Eppure non sembra così difficile comprendere che, nel momento in cui i pregiudizi che si radicano nella nostra visione del mondo non sono il frutto di una personale convinzione, ma solo di un’interpretazione condivisa della realtà, il rischio è quello di fare affidamento esclusivamente su quel tipo di informazioni, senza mai metterne in dubbio la veridicità, e soprattutto senza sviluppare una coscienza critica che è invece necessaria per la formazione del libero pensiero.
Così facendo si finisce solo con lo screditare idee “diverse”, non accettandole in maniera aprioristica, e questo, ovviamente, è alla base di tutte le forme di discriminazione che conosciamo oggi: religiosa, razziale, sessuale, di genere.
È chiaro che in un’epoca come quella in cui viviamo oggi, in cui le innumerevoli fake news che corrono via social si alimentano anche grazie al fortissimo effetto bandwagon figlio di una certa propaganda politica (la storia dei 35 euro per immigrato vi dice niente?), sia piuttosto difficile riuscire a staccarsi dal gruppo per pensare autonomamente; ma è la sola e unica cosa fondamentale da fare.
Costruire in maniera indipendente la propria rete di informazioni, cercare più fonti autorevoli, verificare, confrontare, discutere di determinati argomenti anche con persone che sappiamo, ideologicamente, essere molto lontane da noi, sperimentare e verificare di persona sono i soli strumenti che ciascuno di noi ha per liberarsi dal giogo del “pensiero comune” e non diventare il soggetto passivo di quella bullet theory teorizzata negli anni ’40, per cui lo spettatore televisivo non era che il fruitore, facilmente manipolabile, di un messaggio.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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