Network marketing, il complesso di superwoman che colpisce mamme e non
Perché il network marketing ha un problema con le donne? Perché noi donne dovremmo volere un lavoro attaccato allo smartphone e i figli a carico h24?
Perché il network marketing ha un problema con le donne? Perché noi donne dovremmo volere un lavoro attaccato allo smartphone e i figli a carico h24?
Soprattutto in questo momento storico, la situazione risulta allarmante: secondo gli ultimi dati Istat
il numero di persone occupate ha subito un ampio calo in termini congiunturali (-470 mila, -2,0%), dovuto prevalentemente alla diminuzione dei dipendenti a termine e degli indipendenti.
A farne le spese soprattutto le donne (fortemente rappresentate nelle due categorie sopracitate): una ricerca pubblicata a fine ottobre dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ha calcolato che, tra il secondo trimestre 2019 e il secondo trimestre 2020, sono stati persi 841 mila posti di lavoro, di cui il 55,9 costituiva lavoro femminile. Quasi 330mila le lavoratrici autonome colpite; solo a Dicembre, i lavoratori sono calati di 101 mila unità, di questi 99 mila donne. E con la fine del blocco dei licenziamenti a Marzo, i dati potrebbero addirittura salire a livelli mai visti prima.
Già prima della pandemia, in Italia, lavorava meno di una donna su due, con un gap tra occupazione maschile e femminile del 18,9 per cento, peggiore in UE solo a Malta, e Il Global Gender Gap Index realizzato dal World Economic Forum aveva calcolato, nel 2019, che per raggiungere un’effettiva parità salariale all’Italia sarebbe servito quasi un secolo. Adesso, sicuramente di più.
In questa precarietà e incertezza possono facilmente fare presa truffe e raggiri mascherati da “opportunità” di lavoro da casa, in cui risulta molto facile cadere per disperazione e bisogno di credere in un futuro diverso per sé e/o per la propria famiglia. Frasi come “lavorare da uno smartphone”, “fare la mamma a tempo pieno mentre si guadagna” e simili sono infatti argomenti fallaci creati apposta per attrarre una determinata categoria di persone già in difficoltà e far leva su speranze e sensi di colpa che, in quanto donne, conosciamo benissimo. Ma partiamo dall’inizio:
Il marketing piramidale è un modello economico illegale in molti stati, basato primariamente su uno scambio di denaro al fine di arruolare nuove persone all’interno dello schema, solitamente attraverso un bene o un servizio. Funziona per livelli, e prevede che quando si ingaggi qualcuno quest* finisca nella propria downline (e quindi che si guadagni da quella persona e da tutte le persone sotto di essa); si va avanti fino a creare diversi strati a partire dal prim* individu* che ha dato inizio al sistema, diventato appunto una piramide. Col tempo, risulta sempre più complicato trovare nuove reclute, fino a quando la maggior parte dei membri non è in grado di trarre più alcun profitto dalle proprie ore lavorative.
L’insostenibilità dello schema è infatti ipotizzabile attraverso un semplice modello matematico: immaginando inizialmente un gruppo di sei clienti/venditori, ognuno di questi con sei persone sotto di sé, il secondo livello risulterebbe di 36 persone; se quest* reclutassero ognun* altre sei persone, e così via, la quantità di persone in ciascun livello seguirebbe le potenze del numero sei; al decimo livello (sei alla decima), i clienti/venditori ammonterebbero a 60.466.176, più dell’attuale popolazione italiana.
Ammesso che siamo tutti interessati a vendere beveroni dietetici o simili, difficile pensare che si possa diventare milionar* così, e, soprattutto, che sia un benessere alla portata di tutt*. Il vero guadagno è solo per chi è ai vertici della piramide (leggi: è entrat* all’inizio), e anche quando si tratta di beni di consumo di largo uso (esempio un bagnoschiuma), o particolarmente vantaggiosi economicamente (e spesso non è così), l’offerta è destinata comunque a surclassare velocemente la domanda.
In America il movimento #antimlm è entrato ormai a pieno titolo nelle lotte per i diritti del lavoro. La Federal Trade Commission ha annunciato di aver inviato dieci lettere di avvertimento a diverse aziende di Network Marketing, intimandogli di rimuovere alcune affermazioni controverse sui social media: alcuni marketer affermavano infatti (più o meno sottilmente) di poter curare il Covid-19 con alcuni dei prodotti in vendita, o promettevano facili entrate extra non verificate e verificabili a persone disoccupate a causa della pandemia. La stessa FTC aveva rilasciato mesi fa uno studio in cui affermava che statisticamente soltanto lo 0,4 % delle persone che entrano in un multi level marketing non perde i soldi dell’investimento iniziale. Altri segnali da non sottovalutare sono la pressione degl* upline affinché i venditori comprino molto più materiale di quello che riescono a vendere (anche solo per sponsorizzarlo sui social media) a prezzi inflazionati; prodotti che sembrano essere smerciati praticamente solo all’interno del giro venditori piuttosto che a clienti esterni, che poi è uno dei motivi per cui queste aziende risultano spesso fra le più quotate nei rispettivi settori.
Insomma, il limite fra legale e illegale potrebbe essere in molti casi veramente sottilissimo. Spesso, infatti, parliamo di aziende con decine di cause legali in corso che si riciclano in company simili.
Le vittime designate di questo tipo di raggiri sono le persone più deboli: immigrati senza permesso di lavoro, che magari parlano poco la lingua del paese in cui vivono; mogli dei militari, che non possono avere un impiego fisso; disabili, ingannat* con la scusa di un guadagno extra, e così via. La Direct Selling Association‘s (DSA) nel 2011 ha dichiarato, inoltre, che il 78,1 % delle persone coinvolte nel Network Marketing è di sesso femminile.
Ma perché le donne sembrano essere le prede preferite dai reclutatori?
Semplice, per scelta, consapevole o meno, spesso facciamo figli. E spesso, per questo, perdiamo il lavoro. Mancano tutele, fondi, contratti e assicurazioni sulla maternità. Ed essendo quelle con l’impiego meno sicuro, meno redditizio, meno appagante, in una coppia eterosessuale siamo sempre noi a scegliere di prenderci cura a tempo pieno della prole, se necessario. Secondo i dati dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani di Carlo Cottarelli, per raggiungere la media Ue di copertura del 33% dei bambini minori di tre anni nei nidi, servirebbe una spesa corrente aggiuntiva di un miliardo l’anno. La maternità ha una durata ridicola, gli aiuti economici alle famiglie sono inesistenti. Pochi giorni fa in tutta Italia le manifestazioni del movimento “Il Giusto Mezzo” hanno chiesto a gran voce al governo di usare i fondi europei per promuove l’occupazione femminile, raccogliendo quasi quarantamila firme.
In un’emergenza del genere risulta davvero troppo facile puntare sul senso di colpa che ci portiamo inevitabilmente dentro, come madri e come donne: stai a casa con i bambini e lavora dal cellulare. È facile, non richiede particolare preparazione (pur trattandosi spesso di prodotti dietetici e simili, cosa pericolosissima, che tra l’altro ovviamente fa leva sull’altro grande punto debole femminile, l’immagine corporea e la possibilità di cambiare il proprio aspetto, anche se non si guadagnerà poi nemmeno un euro, un lavoro “da femmina” che ci fa pure diventare più belle, insomma). La maggior parte delle volte la vita, stando ai racconti di chi ha lasciato e alle numerose zoom call pubblicate su youtube, si trasforma in ore e ore attaccate al cellulare a cercare di coinvolgere chiunque ad entrare nel “business” con messaggi a tappeto, più estenuanti e lunghissime chiamate con gl* upline in cui, nonostante tu sia stat* adescat* per un sistema che, come abbiamo visto, è destinato a fallire, il giudizio è tutto su di te: è colpa tua, non hai quello che serve, non lo vuoi abbastanza.
Seguono consigli di libri scritti da motivatori non meglio qualificati e positività tossica a secchiate: come se fosse vero che per realizzare qualcosa, in questo caso un “six-figure income” (entrata annuale a sei cifre), bastasse semplicemente volerlo. Queste guru postano continuamente foto patinate di vite perfette e sfoggiano un benessere economico che statisticamente abbiamo visto come non può corrispondere alla realtà, il tutto accompagnato da frasi motivazionali, odio generalizzato nei confronti del riposo e dell’ipotetica altrui pigrizia (“sei già sui social a non fare niente”) e il fatidico “chiedimi come”. Chiedimi come posso farti spendere quattrocento euro di campionario che non venderai probabilmente mai per guadagnare una percentuale sul tuo acquisto. Certo.
Ora, vorrei poter dire in pace una cosa scomoda: noi donne siamo veramente sicure di volere un “lavoro” (ammesso che sia possibile rientrare in quello 0,4% che si ritrova per puro caso nel sistema agli inizi) con un’appendice perennemente attaccata allo smartphone e i figli a carico ventiquattrore al giorno?
Lo smart working non è e non sarà mai la soluzione, se ci barrica in casa con homeschooling, pasti da preparare, casa da pulire e figli da intrattenere. E finito questo momento, che capiamo eh, qualcuna di noi vorrebbe pure tornarsene in pace in ufficio, con i bambini a scuola, a calcetto, con la baby sitter, e uh, fare persino gli straordinari, se pagati, se solo i nostri sforzi corrispondessero ad una reale possibilità di competizione con i nostri colleghi maschi.
Ecco, a me tutta questa storia del work from home, pandemia a parte, sembra l’ennesimo contentino, o peggio, l’ennesima gabbietta dorata in cui cercano di infilarci a forza decidendo al posto nostro persino cosa dobbiamo e possiamo desiderare. Poi, a qualcuna piacerebbe anche starci per davvero, di più insieme ai figli, ma certamente, come abbiamo visto, non sembra essere il network marketing la soluzione.
Il mondo del lavoro sta cambiando, dicevo all’inizio, e guarda caso sta lasciando indietro la stessa metà della popolazione che lascia indietro da secoli, incatenata prima dalla maternità a tutti i costi, poi dal mito della bellezza e infine da quest’immaginario capitalistico della boss babe, quella che può fare sedici figli mentre guida un’azienda e guai, guai a dire che ci serve un permesso perché il bambino ha la febbre, è caduta nostra madre anziana o soffriamo di dismenorrea. Dobbiamo perennemente dimostrare di essere invincibili per non rischiare di farci sopprimere. Come nella giungla.
Non abbiamo bisogno di stare sedici ore attaccate ad uno smartphone mentre ci occupiamo di figli, compagni, animali, case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale, ma di reali ed equi congedi di paternità, bonus per continuare ad essere persone oltre che madri, aiuti alle imprenditrici, un’idea davvero nuova di lavoro che finalmente si renda conto delle nostre esigenze e tra carriera e figli non ci faccia scegliere la terza via, quella del dover dimostrare di essere una superwoman a tutti i costi (leggi: più simile ai colleghi maschi – o perlomeno all’idea che abbiamo dell’uomo forte nella società odierna – possibile) perché insomma, non siamo più disposte a fingere che vada tutto bene pur di avere un posto a tavola.
Gli impieghi, come i crash test delle macchine, o i manichini su cui si impara a fare la rianimazione cardiaca, sono a misura d’uomo.
C’è bisogno che qualcuna lo dica ad alta voce, affinché le cose cambino, per davvero e una volta per tutte.
Autrice, attivista intersezionale e fondatrice del progetto Suns - end rape culture che fornisce assistenza alle vittime di abusi sessuali ed educazione contro la cultura dello stupro.
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