Limpida, liquida, celestiale, vellutata, ultraterrena, scintillante, argento vivo: furono snocciolati innumerevoli fantasiosi aggettivi per descrivere la voce di Montserrat Caballé, una delle più grandi soprano del Novecento. Per il caratteristico timbro e gli inarrivabili acuti, alcuni critici la definirono una delle più belle mai udite.

Scomparsa nel 2018, la cantante lirica spagnola possedeva una presenza regale imbattibile, che le conferiva un’aura di divinità, come ricorda l’articolo pubblicato dal New York Times in occasione della sua morte. La Superba, come veniva chiamata dai melomani, nella sua lunga carriera interpretò oltre cento ruoli diversi, diventando una vera leggenda della lirica. Quando cantava lei, gli animi si scaldavano: durante un’esibizione del 1983 a New York scaturì persino una rissa tra fan troppo esuberanti e spettatori che domandavano un religioso silenzio.

Paladina del Bel Canto, si destreggiò elegantemente tra maestri italiani come Rossini, Verdi e Bellini, spingendo il revival dell’opera durante la seconda metà del Novecento, ma si avventurò con successo anche in altri generi, come i lieder tedeschi, le zarzuela spagnole e persino il pop. Maria Callas, l’altra grande voce del secolo scorso, a chi le domandava quale fosse la sua naturale erede, rispondeva sempre “Solo la Caballé”.

La vita e la carriera di Montserrat Caballé

Nata a Barcellona nel 1933 da una famiglia modesta, Montserrat Caballé apprese le basi della musica e del solfeggio dalla madre. Il suo talento fu presto notato: grazie al generoso aiuto di una ricca famiglia, a 11 anni ricevette il sostegno economico necessario per studiare al prestigioso conservatorio della città, dove nel 1954 ottenne non solo il diploma, ma anche la medaglia d’oro.

Molti anni dopo, quando era già una cantante di successo, disse di dovere tutto alle sue insegnanti, Eugenia Kemeny e Conchita Badia, da cui aveva appreso rigorosi esercizi di respirazione che continuò a praticare durante tutta la sua carriera. L’altro artefice della sua carriera fu il fratello Carlos, che la seguì in ogni occasione.

Dopo essersi esibita in piccole parti sul palco dell’Opera di Basilea e di Brema, specializzandosi nel repertorio italiano, nei primi anni Sessanta tornò a Barcellona: fu l’inizio del suo grande successo. La grande occasione arrivò all’improvviso, nel 1965, quando venne chiamata a sostituire la ben più famosa collega Marilyn Horne per la Lucrezia Borgia di Donizetti, in un concerto per l’American Opera Society a New York.

Apprezzata per la sua indimenticabile eroina donizettiana, dal giorno alla notte Montserrat Caballé divenne una star internazionale richiesta in tutti i maggiori teatri. E tra un ruolo e l’altro, come Contessa Almaviva ne Le Nozze di Figaro o Margherita nel Faust, si innamorò del tenore spagnolo Bernabé Martí, che aveva incontrato in una produzione di Madama Butterfly.

Nel 1987 il sindaco di Barcellona la invitò a cantare una canzone per i Giochi Olimpici del 1992; un anno dopo collaborò all’album Barcelona con il cantante dei Queen, Freddie Mercury, grande appassionato di opera, che definì la sua voce “la migliore del mondo”.

Come ogni grande percorso artistico, il suo non fu scevro di ostacoli. Ci fu una condanna penale per evasione fiscale, tramutata poi in multa. C’era chi la accusava di essere incostante e ritardataria, come testimonia una battuta in voga nel settore, riportata nel 1986 dal critico musicale Will Crutchfield sul New York Times. “Madame Caballé è disponibile solo per un numero limitato di cancellazioni in questa stagione”.

I suoi tour furono ripetutamente interrotti da una complicata scia di malanni anche gravi, tra cui un infarto e un tumore cerebrale benigno. “Non annullo le date a causa del mio temperamento”, disse al Chicago Tribune nel 1995. “Ho avuto sette importanti interventi chirurgici nella mia vita. Ho avuto dei tumori. Ho avuto due figli con cesarei; non ti alzi e canti il ​​giorno dopo uno di quelli.”

Non amava essere accusata di divismi; in una delle sue ultime interviste, ricordata dal Corriere, spiegò di aver semplicemente fatto sempre il suo meglio.

Non mi considero una leggenda dell’opera, né l’ultima diva, come a volte i giornalisti scrivono. Ogni epoca ha le sue stelle, e nel mio caso l’unico merito è di aver fatto bene il mio lavoro, nel miglior modo possibile, al più alto livello.

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