Womxn: quando il ri-spelling diventa inclusivo
Womxn è il ri-spelling di “woman” che mira all’inclusione delle donne trans, non binarie e appartenenti a qualsiasi etnia.
Womxn è il ri-spelling di “woman” che mira all’inclusione delle donne trans, non binarie e appartenenti a qualsiasi etnia.
[…] il termine viene usato soprattutto nel femminismo intersezionale come un’ortografia alternativa per evitare il suggerimento di sessismo percepito nelle sequenze m-a-n e m-e-n, e per essere inclusivo delle donne trans e non binarie.
Per comprendere le motivazioni che hanno portato a questo ri-spelling è necessario fare un salto indietro nel tempo.
La prima mutazione della parola woman risale al 1976 ed è stata “womyn”, un termine largamente utilizzato dal Femminismo della seconda ondata.
Come spiega Shana Goldin-Perschbacher, specializzata in studi interdisciplinari sulla musica popolare e sull’identità al Boyer College of Music and Dance di Philadelphia, in un suo articolo pubblicato su The Grove Dictionary of American Music, womyn ha visto la luce in occasione del Michigan Womyn’s Music Festival, un evento in risposta a Woodstock organizzato per promuovere la comunità e la musica lesbo-femminista.
Nonostante la popolarità del termine, che cancellava i suffissi -man e -men promuovendo la lotta al patriarcato e l’emancipazione femminile, il termine venne spesso criticato perché usato dal movimento radicale TERF (Trans Exclusionary Radical Feminism) che ne attribuiva l’identificazione solo con donne bianche e cisgender all’insegna del motto “Womyn-born womyn”.
In risposta a womyn lo spelling mutò nuovamente in womxn con lo scopo di garantire rappresentanza e inclusione a “womxn of color”, “trans-womxn” “womxn non binary”. Questa svolta intersezionale si è realizzata sostituendo la “y” con la “x”, un’operazione già nota agli anglofoni se prendiamo ad esempio parole come “Latinx”, ovvero una persona latino americana che non si riconosce nel genere maschile (Latino) e neanche in quello femminile (Latina).
Womxn divenne popolare nel primo decennio degli anni 2000 perché utilizzata proprio all’interno di un dibattito più ampio attorno alla parità di genere che includesse anche donne trans e non binarie. Poco dopo l’elezione di Donald Trump, a fine 2016, Ebony Miranda a capo della branca femminista di Seattle del Women’s March, propose l’utilizzo di womxn proprio con l’intento di sensibilizzare maggiormente sul tema portando alla luce il problema della misoginia e di qualsiasi forma di discriminazione sia etnica che di genere.
In quest’ottica l’associazione decise di cambiare nome in Womxn’s March Seattle sfilando durante la Women’s March a Washington DC nel gennaio 2017.
Ogni lingua rispecchia l’evoluzione di una determinata società in un dato momento storico e la parola womxn ne è un perfetto esempio. John McWhorter, linguista e professore associato di Inglese e letteratura comparata alla Columbia University, apre il suo articolo Goodbye to ‘he’ and ‘she’ and hello to ‘ze’? con questa constatazione:
Ci stiamo aprendo all’idea che le concezioni binarie di genere sono inutilmente rigide e non corrispondono all’immagine di sé di molte persone e anche che il senso del genere delle persone può non corrispondere al loro sesso biologico.
Nel Regno Unito l’utilizzo di termini gender neutral sembra che si stia gradualmente affermando come scrive in un suo articolo Heath Fogg Davis, professore di Scienze politiche alla Temple University: “[…] questo cambiamento si riflette nell’uso crescente dell’onorifico neutro di genere, ‘Mx’, sulle patenti di guida e sui moduli burocratici, come le dichiarazioni bancarie”.
La diffusione crescente di ri-spelling inclusivi e parole gender neutral è stata fortemente spinta dai social media: womxn ha acquistato popolarità perché riconosce “diversi modi di essere donne”, come afferma Eli Erlick, attivista transgender, in un articolo del New York Times, o Nisha Moodley, coach di leadership femminile che utilizzare la parola sui social anche per gli inviti ai suoi eventi.
Se il linguaggio testimonia concretamente i cambiamenti socio-culturali, le parole possono al contrario influenzare il modo in cui pensiamo? Per Lera Boroditsky la risposta è affermativa. La professoressa in Scienze cognitive della UC Santa Barbara nel suo articolo How does our language shape the way we think? scrive come il genere dei sostantivi influenzi inconsciamente ma in modo profondo come vediamo e concepiamo il mondo.
Inoltre “questo potrebbe a sua volta rafforzare una sottile correlazione tra i ruoli di genere stereotipati e il posto delle donne in essi attraverso l’uso di ‘women’”. Parole come womxn potrebbero quindi stimolare un pensiero più inclusivo? Per Friederike Braun, ricercatrice di linguistica di genere intervistata dal Financial Times, “una lingua gender neutral non assicura che la gente penserà in modo neutrale. Sono convinta che si possa cambiare il modo in cui la gente pensa almeno un po’ usando il linguaggio in modo diverso”.
Di variazioni ortografiche come womxn se ne vedranno sicuramente ancora in futuro e magari verranno anch’esse inserite nel dizionario. La speranza rimane quella di una società più inclusiva e realmente attenta alle tematiche di genere non solo nelle parole ma anche, e soprattutto, nei fatti.
Lettrice accanita, amante dell'arte e giornalista. Ho da sempre il pallino per la scrittura.
Cosa ne pensi?