I “poteri” del self help: la verità sull'auto-aiuto
Il self help è tutta fuffa o riesce veramente a risolvere i problemi contribuendo al miglioramento personale?
Il self help è tutta fuffa o riesce veramente a risolvere i problemi contribuendo al miglioramento personale?
Il tema dell’auto-aiuto è indubbiamente controverso e molti specialisti ne mettono in dubbio la reale efficacia. Ma cos’è esattamente il self help e perché riscuote così tanto successo?
Il self help viene definito dall’APA Dictionary of Psychology come “un’auto-guida agli sforzi per far fronte ai problemi della vita senza l’ausilio di un professionista”. L’obiettivo è quindi quello di migliorare le proprie condizioni emotive e psicologiche in totale autonomia per sentirsi meglio.
Quella che si delinea come la sostanziale ricerca della felicità trova soluzioni ed esercizi nello specifico filone della letteratura dell’auto-aiuto. Gli argomenti sono i più disparati ma si possono raggruppare in 4 principali categorie: crescita personale, identità, relazioni, gestione dell’emotività.
Per capire l’evoluzione di questo fenomeno, la professoressa Mercè Mur Effing dell’Universitat Autònoma di Barcellona, ne ripercorre la storia nel suo articolo The Origin of Development of Self-Help Literature in the United States: the Concept of Success and Happiness, an overview. Possiamo guardare alla letteratura dedicata all’auto aiuto in tre fasi temporali distinte.
Da una cultura che l’autrice definisce di “industria e sforzo” da Benjamin Franklin fino alla metà del XX secolo, si passa a una cultura di “svago e leggerezza”, subito dopo la seconda guerra mondiale. Verso la fine del XX secolo, emerge una letteratura dedicata allo studio della mente e alla conoscenza di sé con l’obiettivo di raggiungere la felicità e il successo nella vita.
La letteratura dedicata all’auto-aiuto decolla durante l’ultimo terzo del XX secolo. Micki McGee, professoressa di sociologia alla Fondham University di New York, nel suo libro Self-Help, Inc.: Makeover Culture in American Life fa luce sul contesto culturale della società americana del periodo. In particolare mostra una nazione che si affida alla all’auto-aiuto per avere consigli su come affrontare un mondo del lavoro sempre più volatile e competitivo.
La cultura del makeover per McGee intrappola le persone all’interno di cicli infiniti di auto-invenzione e superlavoro mentre lottano per stare al passo con un ordine economico in rapida ristrutturazione.
Il successo della letteratura sull’auto-aiuto è legato anche alla natura stessa della società postmoderna, caratterizzata da una crisi dell’identità culturale generalizzata, come evidenzia Elizabeth Deeds Ermarth nel suo Sequel to History: Postmodernism and the Crisis of Representational Time.
In questo contesto il singolo si muove alla ricerca della propria soggettività, cercando risposte efficaci ai propri turbamenti. Così la macchina del miglioramento personale sforna CD, libri, seminari di self help e personal coaching dando vita ad una nuova industria che a inizi 2000 fatturava 2,48 miliardi di dollari l’anno.
I dati provvisti da Gran View Research testimoniano una crescita apparentemente inarrestabile del settore che nel 2019 è stato valutata 38,28 miliardi di dollari e dovrebbe crescere ad un tasso annuale del 5,1% tra il 2020 e il 2027.
Il self help può essere di tue topologie, quello individuale o di gruppo. Ecco quali sono le principali differenze individuate dalla dottoressa Laura Pedrinelli Carrara, specializzata in psicoterapia di tipo psicodinamico e formata in psicoterapia comportamentale:
Nel corso del tempo si sono susseguite diverse personalità che hanno segnato lo sviluppo della storia del self help:
I più scettici penseranno che l’auto-aiuto sia solo aria fritta, ma in realtà dei benefici concreti ci sono e vengono individuati da Recovery Brand, filiale di American Addiction Centers (AAC):
La decisione di preferire il “fai da te” presenta però alcuni limiti. Lo psicologo Ad Bergsma, professore alla Saxion University of Applied Science, in un suo lungo articolo sul tema della letteratura self help, mette in luce anche questi aspetti:
[…] un processo senza fine. Non si può mai dire: “Ora ho realizzato tutto il mio potenziale. Ora sono davvero la versione migliore di me stesso. Certo, fa parte della condizione umana lottare per le cose. Ma se stiamo bene solo finché ci sforziamo, ci muoviamo, ci sviluppiamo, allora non stiamo mai bene. Il pensiero principale di una persona depressa è: “Non sono abbastanza bravo, non potrò mai essere abbastanza bravo, è colpa mia se non sono abbastanza bravo”. Il fatto spaventoso è che la persona depressa ha effettivamente ragione. Lui o lei sta effettivamente interpretando correttamente il messaggio della società all’individuo. Non ci è mai permesso di essere felici e soddisfatti, sia di quello che siamo che di quello che facciamo.
Lettrice accanita, amante dell'arte e giornalista. Ho da sempre il pallino per la scrittura.
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