Spesso può capitarci di scoprire nuove rivelazioni in grado di mettere in discussione credenze consolidate che per anni abbiamo creduto essere delle certezze assolute. Dalle più piccole informazioni di costume a nozioni ben più rilevanti a dal maggiore impatto sociale e culturale.

Eppure, oggi sappiamo che il ruolo giocato dai processi psicologici e il condizionamento che l’influenza del mondo esterno può determinare sulle dinamiche mentali e mnemoniche possono tirarci brutti scherzi, provocando ricordi di eventi mai davvero esistiti o interpretazioni di fatti distorte e modificate, situazioni che in alcuni casi possono anche creare danni non indifferenti in termini di disinformazione e suggestione su scala universale.

Vediamo più nel dettaglio cosa sono e come si formano i falsi ricordi, noti anche con il nome effetto Mandela.

Cos’è l’effetto Mandela?

Per effetto Mandela si intende un falso ricordo collettivo, ossia una situazione in cui un gruppo di persone pensa che un fatto sia realmente successo, anche se così non è, o lo ricorda in maniera differente rispetto alla realtà effettiva.

Fu la studiosa del paranormale Fiona Broome ad attribuirgli questo nome: la donna, infatti, durante un congresso sostenne che il famoso attivista e politico sudafricano impegnato nella lotta contro l’apartheid fosse morto in carcere negli anni Ottanta – e non nel 2013 (e non in carcere), come realmente successo.

La cosa strana è che Broome – che ricordava anche i dettagli del funerale oltre alla copertura della notizia da parte dei giornali telegiornali e un discorso emotivo della vedova – non era la sola: scopre, infatti, con sorpresa che sono in moltissimi a credere che la storia abbia avuto questo corso. La donna fonda anche un sito nel 2009, in cui attesta e approfondisce il fenomeno, raccogliendo testimonianze sulla questione.

Da qui appunto nasce l’effetto Mandela, senza dubbio il falso ricordo collettivo più famoso, anche se certamente non l’unico, come vedremo meglio di seguito.

Effetto Mandela: come nascono i falsi ricordi?

L’effetto Mandela è di fatto una distorsione della memoria personale e collettiva, riconducibile, secondo alcune spiegazioni scientifiche, a una forma di confabulazione. Ossia, la mente umana, per cercare di colmare vuoti di memoria ricorre a idee plausibili, scambiate per fatti realmente accaduti.

È una sorta di ricostruzione indotta, una bugia in buona fede, che si crea in maniera naturale nel cervello umano al solo scopo di riempire dei buchi. Il materiale a cui si attinge non è altro che la più probabile sequenza degli eventi o la più scontata delle spiegazioni. Ecco spiegato il motivo per cui potrebbe generarsi in più individui, tanto da diventare una falsa convinzione collettiva.

Insieme a questa spiegazione, non va trascurato il fatto che la mente umana tende a confermare e prendere per reale ciò che un’altra persona crede sia vero. Questo secondo aspetto, dunque, porterebbe a una facile conferma e consolidamento del falso ricordo.

Formule linguistiche introdotte dalla formula “Ti ricordi che” oppure domande tendenziose del tipo “Nelson Mandela non è morto in prigione?” o “Nelson Mandela è morto in prigione, giusto?” suggeriscono già una determinata risposta, andando a incrementare la nascita della memoria fasulla.

Secondo alcuni ricercatori, poi, sull’effetto inciderebbe anche la disinformazione. Secondo l’autrice di libri di psicologia e salute mentale Kendra Cherry, le informazioni ottenute dopo un evento andrebbero a interferire in modo determinante con il ricordo dell’evento originale, sostituendolo a quest’ultimo. E su questo il passaparola e l’era di internet giocherebbero tutt’oggi un ruolo centrale per consolidare quel “gioco del telefono senza fili” che sarebbe alla base di questa distorsione della memoria e della creazione di una diversa verità, che verità, appunto, non è.

Insieme a queste considerazioni scientifiche, vi è una serie di altre spiegazioni, decisamente meno plausibili e ben più visionarie, al limite del cospirazionismo. Alcuni infatti vedrebbero dietro a questo effetto la prova dell’esistenza di universi alternativi paralleli, ossia, nella loro ottica alcuni eventi e ricordi erano veri fino a che questi soggetti non sono scivolati in un’altra realtà, dove tali episodi non si sono di fatto mai verificati.

Accanto a questa, vi è un’altra paradossale motivazione: il retcon, una riscrittura del passato, pratica piuttosto comune nel campo delle saghe fumettistiche o cinematografiche, utilizzata perlopiù per riarrangiare o riavviare un sequel o reintrodurre personaggi popolari. in queso caso, dunque, gli eventi modificati sarebbero solo residui di un passato realmente esistito che è stato poi modificato, ma di cui sono rimaste queste memorie fantasma come traccia.

Effetto Mandela tra psicologia e scienza

Come accennato, l’ipotesi più probabile sarebbe dunque un processo psicologico che porta il cervello umano a ricorrere a spiegazioni plausibili per il bisogno naturale di ottenere risposte e non lasciare in sospeso interrogativi non risolti o buchi nella ricostruzione di eventi. Questo, però, in alcuni casi, può portare a una costruzione di un falso ricordo che fa virare la verità in una narrazione fittizia che si autoalimenta.

Una ricerca del 2015 pubblicata dall’Università della California mostra che il 33% dei soggetti intervistati era convinto di aver visto video – in realtà mai esistiti – di varie notizie accadute. Tra questi, il caso più comune riguardava alcune immagini dell’interno del volo 93 della United, abbattuto durante l’attentato terroristico dell’11 settembre 2001.

La spiegazione che ne derivava era la seguente: le persone erano state influenzate da immagini fittizie che ricreavano quell’episodio – tra cui fotogrammi di film sul tema – e che nella loro memoria erano state sostituite nel “file” inerente a quel dato evento, di cui però conoscevano solo una parte della storia – in questo caso, l’immagine esterna dell’aereo che colpisce il grattacielo.

Al processo di falsificazione e distorsione della memoria – ovviamente non volontaria né dolosa – si aggiunge quindi anche il tema della suggestione, della conferma dell’opinione validata da un altro soggetto e la diffusione rapida delle versioni modificate facilitata dai mezzi telematici e dall’era social. Non è un caso, del resto, che il fenomeno sia sorto proprio alla fine della prima decade degli anni Dieci.

Uno studio recente pubblicato su Science spiega infatti come a oggi il ruolo di Internet e dei social media sia determinante nell’influenzare i ricordi delle masse, andando a modificare le informazioni, e di conseguenza i ricordi, e contribuendo a consolidare il fenomeno di distorsione della memoria e la confusione tra piano reale e dimensione immaginaria. Questo però oggi porta con sé il sempre più fondato rischio di veicolare informazioni false e tendenziose, fake news dannose, in grado, purtroppo, di condizionare in modo importante e irreversibile l’opinione pubblica, allontanandola sempre di più – e soprattutto su questioni di primaria importanza – da verità e interpretazioni reali dei fatti.

Un prezzo che oggi paghiamo sempre di più, anche per via di un certo tipo di linguaggio carico e sensazionalistico, usato ad arte e per scopi demagogici – e non sempre per nobili fini – anche da personaggi rilevanti e dagli stessi leader politici, le cui azioni hanno il grande potere di segnare i destini dei popoli e influenzarne credenze e azioni, con ripercussioni su scala mondiale.

Effetto Mandela: alcuni esempi

Come anticipato, sono molti gli esempi dell’effetto Mandela nella cultura popolare, ecco i più conosciuti:

  • Uno dei più noti riguarda la serie letteraria per bambini dedicata agli Orsi Berenstain che secondo molti si sarebbero sempre chiamati Berenstein.
  • Un altro caso riguarda il caso del film Shazaam, di fatto mai esistito, ma che secondo molti sarebbe un lungometraggio sul genio della lampada, interpretato dal comico americano Sinbad. In questo caso, secondo alcuni studiosi il film verrebbe scambiato con uno simile nel tema, dal titolo Kazaam, interpretato però da Shaquille O’Neal, e il ricorso a Sinbad sarebbe spiegato con il fatto che quest’ultimo in passato è stato un genio della lampada in un programma televisivo. Questi condizionamenti avrebbe contribuito a formare simultaneamente in più persone un’immagine erronea.
  • Molti credono che la famosa frase di Star Wars, pronunciata da Darth Vader sia: “Luke, io sono tuo padre!”, ma la vera battuta è: “No, io sono tuo padre“.
  • Inoltre, sempre nella saga di Star Wars, il personaggio di C-3PO non è tutto dorato, ma ha la gamba destra color argento.
  • Molti pensano che il logo dei cartoni animati della Warner Brothers riporti la scritta “Looney Toons”, e non “Looney Tunes“, come di fatto è.
  • Molti inoltre credono che la marca di calzature sportive Skechers contenga una T nel suo nome, ossia Sketchers.
  • Mentre sono in molti a pensare che i Flintstones – grafia corretta – abbia una sola T nel nome: ossia, credono che non ci sia la prima T, ma solo la seconda.
  • Il logo del brand Fruit of the Loom per molti aveva anche una cornucopia dietro i frutti in primo piano, ma così non è.
  • Per molte persone, la coda del personaggio dei Pokemon, Pikachu, ha un dettaglio nero ma in realtà è interamente gialla.
  • Molti credono che Madre Teresa sia stata canonizzata in tempi più lontani, all’incirca nel periodo degli anni Novanta, ma ciò è avvenuto in un momento ben già recente: era infatti il 2016.
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