Microaggressioni: le violenze quotidiane che subiamo quasi senza accorgercene
Le microaggressioni non sono sempre facili da individuare e per la loro natura subdola esprimendo pregiudizi e luoghi comuni.
Le microaggressioni non sono sempre facili da individuare e per la loro natura subdola esprimendo pregiudizi e luoghi comuni.
Scopriamo come si manifestano le microaggressioni, in che modo individuarle e soprattutto come contrastarle.
Per comprendere cosa sono le microaggressioni possiamo rifarci alla definizione conferita dallo U.S. Department of Health & Human Services:
[si tratta di] sgarbi verbali, non verbali e ambientali quotidiani, affronti o insulti – intenzionali o non intenzionali – che comunicano messaggi ostili, sprezzanti o negativi agli individui basati esclusivamente sulla loro appartenenza a un gruppo emarginato.
Le microaggressioni ripetono o affermano gli stereotipi relativi ad un gruppo minoritario di soggetti e tendono a minimizzare l’esistenza di discriminazione o pregiudizio, intenzionale o meno. Derald Wing Sue, psicologo e scienziato sociale di spicco della Columbia University, ha individuato come le microaggressioni si manifestino in 3 forme:
Le microaggressioni non sono sempre facili da individuare perché surfano sulla superficie dei discorsi e dei comportamenti camuffandosi da battute o complimenti. Forti della loro natura subdola, queste affermazioni nascondono dichiarazioni offensive o supposizioni totalmente insensibili nei confronti dell’interlocutore.
La Royal Pharmaceutical Society ne ha individuato le caratteristiche:
È fondamentale tenere presente il contesto della relazione e della situazione che si sta svolgendo prima di saltare a conclusioni troppo affrettate.
Derald Wing Sue, nel suo libro intitolato Microaggressions in everyday life. Sex, Gender and Sexual orientation, ne ha individuate le tipologie:
Le microaggressioni mostrano un ampio spettro di sfumature discriminatorie. Ecco le categorie prese di mira e individuate da Sue e riprese da Kevin Leo Nadal, premiato psicologo e professore alla Columbia University, in Racial Microaggressions in Everyday Life: Implications for Clinical Practice:
Nonostante alcune persone credano che le microaggressioni siano brevi e innocue, molti studi hanno scoperto come queste esternazioni abbiano un impatto significativo sulla salute mentale e fisica dei soggetti ai quali sono destinate.
Una ricerca pubblicata sul Journal of Counseling & Develpment ha dimostrato come a seguito delle microaggressioni razziali è più probabile che le persone di colore sviluppino sintomi depressivi e una visione negativa del mondo. In un altro studio i partecipanti LGBT hanno riferito che dopo aver subito microaggressioni si sono sentiti depressi, ansiosi e in alcuni casi anche traumatizzati. I ricercatori hanno rilevato anche effetti estremamente gravi come l’abuso di alcol.
In che modo possiamo reagire alle microaggressioni? Nadal nel suo articolo A Guide to Responding to Microaggressions descrive un processo in 3 fasi su come affrontarle:
Quando al momento dell’evento ci sono persone intorno a noi (in particolare delle quali ci fidiamo) diventa più semplice verificare e convalidare la microaggressione. Se invece si è soli a fronteggiare la situazione, è comunque utile cercare il supporto delle persone care per raccontargli l’accaduto e chiedere un parere.
Se un individuo è certo (o moderatamente certo) che una microaggressione si sia effettivamente verificata, deve riflettere sui potenziali rischi o conseguenze nel rispondere o meno. Nadal suggerisce alcune domande da porsi:
Quando si è soggetti a una microaggressione si potrebbe reagire istintivamente in modo passivo-aggressivo, ad esempio con una battuta o un commento sarcastico per trasmettere quanto si è arrabbiati o infastiditi. Questo però non è un modo efficace di gestire la situazione.
Nadal infatti, sostiene che una reazione proattiva possa avere un effetto quasi terapeutico per alcune persone, che riescono a liberarsi di anni di frustrazione accumulata a seguito di microaggressioni perpetrate. Inoltre risulta funzionale anche per chi non ha l’energia per coinvolgere il perpetratore in una discussione.
La terza reazione è quella che sicuramente pone le premesse per un dialogo: il comportamento assertivo. Esso si traduce nel rivolgersi in modo calmo al perpetratore esprimendo il proprio stato d’animo, esponendo il motivo per il quale l’esternazione viene percepita come offensiva.
Spesso il perpetratore si metterà sulla difensiva, il che può portare a ulteriori microaggressioni (in particolare microinvalidazioni). Può essere importante usare le affermazioni in prima persona, ad esempio: “Mi sono sentito ferito quando l’hai detto”, invece di dichiarazioni di attacco come “Sei un razzista!”. Il punto cardine è il comportamento, non chi l’ha messo in atto.
Un linguaggio aperto e pacato è decisivo per far comprendere un comportamento scorretto soprattutto se partiamo dal presupposto che alle persone non piace essere etichettate come sessiste, omofobe o razziste, quindi se si vuole instaurare un dialogo efficace senza stare sulla difensiva, è meglio evitare questo genere di attacchi.
In un’intervista Nadal dà un suggerimento: se non si è sicuri che quello che si sta per dire sia effettivamente uno stereotipo, meglio riflettere attentamente sul perché si è portati verso quella affermazione e se la si è già esternata invita ad osservare la reazione suscitata nell’interlocutore:
Se vedi che forse qualcuno sta mostrando disagio dal volto o dal linguaggio del corpo, che non apprezza la presunzione che hai appena fatto su di lui, sceglie di cogliere gli indizi.
Dall’altro lato, con la consapevolezza che la strada è ancora in salita, chi è soggetto alla microaggressione ha l’opportunità di contrastare concretamente gli stereotipi promuovendo un dialogo all’insegna di una maggiore sensibilità e consapevolezza.
Lettrice accanita, amante dell'arte e giornalista. Ho da sempre il pallino per la scrittura.
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