Il corpo delle persone trans* non è un corpo sbagliato
Dire che il corpo delle persone trans* è "sbagliato" alimenta una rappresentazione che non fa affatto bene alla comunità. Nessun corpo è sbagliato, nessuna persona lo è.
Dire che il corpo delle persone trans* è "sbagliato" alimenta una rappresentazione che non fa affatto bene alla comunità. Nessun corpo è sbagliato, nessuna persona lo è.
Dire che un corpo è sbagliato crea discriminazione e falsa informazione. Troppo spesso nella mia vita mi sono sentito dire che il mio corpo è sbagliato solo perché sono un uomo trans* e questo mi ha fatto sentire sempre sporco e a metà. E mi sono creduto inferiore per tanto tempo, costringendomi a cambiare e cercare di rientrare in uno stereotipo di uomo-tipo che in realtà non potrò (e non voglio) raggiungere.
Ho imparato a mie spese che parlare di corpi sbagliati può generare mostri, falsa rappresentanza delle persone trans* e discriminazione e per questo vorrei de-costruire questo stigma che grava sulle spalle della comunità transgender.
Si è diramata purtroppo, a causa della falsa rappresentanza data da media e tv, la convinzione che una persona trans* sia valida e socialmente rispettabile solo una volta conclusosi il suo percorso gender affirming e quindi una volta fatte tutte le operazioni necessarie.
Questa convinzione è in realtà stigmatizzante e discriminatoria: non esiste una fine del percorso gender affirming, non esiste uno step da raggiungere valido per tutti.
Nell’immaginario comune le vite di tutte le persone trans* sono identiche: tutti e tutte sono nati in corpi sbagliati di cui vogliono sbarazzarsene il prima possibile tramite operazioni chirurgiche e ormoni. La realtà dei fatti è ben distante da questa idea, però. Ci sono tantissime persone trans* che non provano disagio per i propri caratteri sessuali primari e per il proprio corpo in generale e non hanno nessuna intenzione di cambiarlo, avendo un rapporto sereno e armonioso con esso. Credere che i corpi delle persone trans* siano sbagliati crea una falsa rappresentanza che finisce per ridurre tutto a una divisone binaria tra giusto e sbagliato, tra normale e a-normale.
La validità di una persona trans* non sta nel suo corpo. Semplificare l’esperienza transGender all’aspetto fisico/corporale è incredibilmente invalidante, riducendo tutta la complessità e la varietà di un percorso gender affirming a un mero cambiamento fisico o cambio di look.
Definire il corpo di una persona T come sbagliato alimenta un pregiudizio che ci portiamo dietro da secoli e che sarebbe ora di abbandonare: i corpi delle persone cisgender sono lo standard da seguire. Definendo un corpo come sbagliato, volontariamente o non, stiamo presupponendo che ne esista uno giusto a cui si debba aspirare per essere socialmente riconosciuti e che quindi, finché non hanno compiuto tutte le operazioni chirurgiche del caso, le persone trans* non sono valide.
Questo è dannoso soprattutto per i giovani e le giovani persone transgender, le quali penseranno sia giusto annullare e de-costruire la loro unicità e le loro particolarità per rientrare nel suddetto stereotipo, rimanendo poi disilluse rendendosi conto che ogni percorso, come ogni persona d’altronde, è differente.
La domanda che più frequentemente viene fatta a una persona trans* quando questa dice di vivere un rapporto sereno ed armonioso con il proprio corpo è: allora perché cambiare, perché intraprendere un percorso gender affirming?
Il fatto è che le persone trans* non vogliono sostituire il loro corpo con un altro ma semplicemente trovare un equilibrio, raggiungere determinati cambiamenti o miglioramenti che possano alleviare il disagio provato. Iniziare un percorso di transizione è una necessità, un bisogno intimo che ha lo scopo di salvaguardare il proprio benessere psico-fisico e un sostegno per superare la body-dysphoria. In fondo, se ci pensiamo solo per un momento, possiamo renderci conto che a tutti accade di cambiare, di voler modificare qualcosa del proprio aspetto fisico, ma questo non necessariamente equivale a odiarsi o voler gettare il proprio corpo come fosse un pezzo di carta sporco e inutilizzabile.
Spesso ho rimuginato su questa parola, quando me la sono sentita dire e quando l’ho rivolta a me stesso e al mio corpo. Sbagliato è una brutta parola, pesante, intrisa d’odio. Una parola che ci veniva detta quando andavamo a scuola e facevamo un errore di calcolo o in qualche altra materia. Il corpo di una persona trans*, il suo stare al mondo, non può e non deve essere considerato un errore, uno sbaglio.
Considerarlo sbagliato, additare il corpo di una persona trans* come un errore, può essere davvero dannoso e dare il via a delle dinamiche pericolose, soprattutto ai danni dei e delle più giovani.
Portando avanti l’idea che un corpo sia sbagliato ci si sente legittimati a trattarlo, che sia nostro o di qualcun altro , di conseguenza: maltrattandolo, ferendolo, non prendendosene cura o invalidandolo.
Inoltre, questo pensiero è ciò che mette in moto un meccanismo violento e discriminatorio che sfocia in atti di transfobia. Persone esterne alla comunità T , troppo spesso, facendo leva su questo concetto di corpo sbagliato si sentono di avere il potere e il dovere di compiere determinati gesti ai danni delle persone trans*.
Dire che un corpo è sbagliato annulla le soggettività trans, i loro vissuti, le loro storie e loro lotte. Significa dire che esiste un solo modello a cui fare riferimento, quello eteronormato, cisgender e binario. Significa dire, e mi sembra un’assurdità, che se sei fuori dal binarismo di genere allora sei fuori dalla società, allora devi impegnarti per tornare sulla giusta via e conformarti al resto se vuoi essere meritevole di rispetto.
Autore, attivista lgbT+ e creatore del progetto “AMORE IN MOVIMENTO” contro omofobia e transfobia.
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