Donne migranti, le più discriminate tra le discriminate
Sulle donne migranti pesa un doppio stigma. Razzismo e sessismo si intersecano rendendole le più discriminate.
Sulle donne migranti pesa un doppio stigma. Razzismo e sessismo si intersecano rendendole le più discriminate.
Come se questo non bastasse, nel contesto migratorio trova terreno fertile anche la disuguaglianza di genere. Diverse forme di discriminazione agiscono in maniera trasversale sulle donne migranti, che possiamo, quindi, definire tra le categorie più discriminate.
Tra le persone che, ogni anno, abbandonano il proprio paese nei flussi migratori, più del 50% è di genere femminile. Ben 2 milioni e 235 mila le donne straniere che nel 2020 sono risultate residenti nel nostro paese. Le donne, dunque, rappresentano il 52,4% degli adulti immigrati in Italia. In netto aumento rispetto ai dati dei decenni precedenti, probabilmente perché i movimenti stanno assumendo sempre più la forma di ricongiungimenti familiari.
Nonostante l’errata percezione, condizionata dal colore della pelle – che spinge molti a pensare che il più grande numero di immigrati giunga dalle coste africane – in realtà, la maggior parte delle donne migranti nel nostro paese proviene dall’Est. Ucraina, Polonia e Moldavia sono i paesi con la più alta percentuale di migrazioni verso l’Italia.
In base ai dati della Fondazione ISMU, scopriamo che la maggior parte delle donne migranti si trova in Lombardia. Oltre la metà di queste donne è coniugata, mentre pochissime sono separate o divorziate. Due immigrate su tre hanno un diploma e una su cinque una laurea.
Le principali attività lavorative svolte da donne migranti sono in ambito domestico (33,6%); molte altre lavorano nella ristorazione o nel settore alberghiero, mentre solo il 6% svolge una mansione impiegatizia. Particolarmente preoccupanti sono anche i dati sulle retribuzioni. Oltre l’11% guadagna meno di 500€, mentre il 17,2% tra i 500 e i 700, soglia superata solo dal 30% delle donne straniere nel nostro paese.
Essere migrante e essere donna ha un significato specifico. Si tratta di aspetti che sono inscindibili tra di loro e che determinano una differenza sostanziale sia tra le donne migranti e gli uomini migranti, sia rispetto alle altre donne.
La differenza principale si gioca nel campo della discriminazione. Un atto discriminatorio, come sottolinea la giurista e attivista femminista Kimberlè Crenshaw, non riguarda mai solo un aspetto, ma tutti gli elementi che costituiscono l’identità di un soggetto; quindi provenienza geografica, genere, religione, orientamento sessuale, condizione socioeconomica, disabilità etc. si intersecano tra loro.
Da qui la necessità, esplicitata da Crenshaw, dell’introduzione del concetto di intersezionalità nel discorso femminista.
Quindi, le donne migranti portano addosso un doppio stigma e questo ha molteplici conseguenze. A partire dal divario retributivo (sia rispetto alle altre donne che rispetto agli uomini) fino ad arrivare alle violenze a agli abusi che sono costrette a subire.
Le donne migranti, proprio in virtù di quel principio di intersezionalità, subiscono molteplici abusi nel corso della loro vita, collegati tanto alla loro condizione di migranti, quanto a quella di donne.
In base ai dati raccolti da Amnesty International, circa il 90% delle donne che giungono in Europa tramite tratte organizzate subisce uno stupro durante il viaggio. Lo stupro viene utilizzato come strumento di imposizione di forza da parte degli uomini o anche come ‘punizione’ nel caso non si abbiano i soldi per pagare il viaggio. Per evitare gravidanze inattese, queste donne fanno utilizzo massiccio di anticoncezionali con ripercussioni sulla salute.
Ma la violenza per queste donne inizia molto prima che acquisiscano lo status di migranti e di certo non termina col viaggio. Molte famiglie vendono le loro figlie per problemi economici, le costringono i matrimoni precoci e le privano di una adeguata istruzione.
La maggior parte di queste donne subisce violenze di ogni tipo per tutto il corso della vita, sin dall’infanzia. Si stima che circa 125 milioni di donne nel mondo abbia subito una mutilazione genitale. Viene meno il rispetto per la salute e la libertà di queste donne e, spesso, quando giungono nel paese di destinazione le vessazioni non terminano. Sia per il perpetuarsi di violenze domestiche e di sfruttamento lavorativo, sia nei casi in cui vengono costrette alla prostituzione.
Per meglio comprendere la complessa condizione delle donne migranti, la ONG Amnesty International ha intervistato circa 90 migranti o richiedenti asilo che hanno dichiarato di aver subito violenza. Amnesty ha raccolto la testimonianza di 15 donne abusate, attraverso cui è possibile farsi un’idea concreta delle storie di queste donne.
Tra queste possiamo riportare la storia di Ramya, ragazza eritrea di 22 anni, che ha raccontato di essere stata più volte violentata dai trafficanti che la tenevano prigioniera:
Le guardie bevevano e fumavano hashish e poi venivano a scegliere la donna che volevano e la portavano fuori. Le donne provavano a rifiutare, ma avevi una pistola puntata alla testa, non avevi davvero una scelta se volevi sopravvivere. Sono stata stuprata due volte da tre uomini… Non volevo morire.
Amal, invece, ragazza eritrea di religione cristiana, nel 2015 ha subito un sequestro da parte di un gruppo armato islamico che l’ha tenuta prigioniera per 9 mesi. Le donne furono separate dagli uomini, i cristiani dai musulmani. Amal e altre 11 donne furono tenute segregate sotto terra. Picchiate, stuprate, vessate psicologicamente e poi ‘assegnate’ a un marito.
Questi sono solo alcuni esempi che, però, permettono di capire come sulle donne migranti pesi un doppio stigma e quanto possa essere difficoltoso per loto sopportare il peso di questa discriminazione.
Femminista un po' filosofo. Cresciuto in riva al mare. Scrivo per ampliare il mio sguardo sul mondo e provare a interpretare la realtà.
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