Barbara Sabellico: "Cosa penalizza le donne - e anche gli uomini - sul lavoro"

"In Italia quando parliamo della questione del lavoro femminile stiamo parlando di una discriminazione sistemica: belle le teorie di parità, ma il sistema attuale non è improntato a sviluppare, non dico l'imprenditoria femminile, ma neppure i ruoli delle donne sul lavoro". L'avvocata giuslavorista Barbara Sabellico rifiuta ogni generica ideologia sulla parità di genere e, in questa intervista, illustra una strada più concreta per costruirla.

“Un uomo che prende un congedo parentale lo devo ancora vedere.
E quando lo trovi – con qualche eccezione nella Pubblica Amministrazione dove c’è un sistema di garantismo che risponde a tutt’altre logiche – il rischio è che venga sminuito, non considerato un vero uomo. Sicuro non lo fa uno lavoratore maschio che vuole ‘fare carriera’ o che ricopre un ruolo di un certo tipo”.

Barbara Sabellico, avvocata giuslavorista e consigliera Confapi Emilia Romagna alla guida del ricostituito (luglio 2020) Gruppo delle Donne Imprenditrici – ConfapiD regionale, affronta la questione lavoro e gender gap da una prospettiva certo non inedita, ma poco sfruttata perché ritenuta secondaria.

Sul lavoro, come in società, al maschio si chiede di rispondere a precise aspettativa: verità sotto gli occhi di tutti che, se da una parte si può leggere come un’altra forma di discriminazione (forse più blanda nei suoi effetti di quella cui sono sottoposte le donne), più spesso viene considerata come lo scotto da pagare per un privilegio secolare, solo recentemente scalfito dalle istanze contemporanee. Entrambe le versioni hanno le loro ragioni eppure, se si resiste alla tentazione di sminuire il condizionamento del maschilismo lavorativo sui colleghi uomini, si evidenza una possibilità meno ideologica e più concreta di affrontare la sfida della parità al centro, tra le altre cose, dell’Agenda Europea 2030: la gender equality conviene a tutte e a tutti.

Non si tratta cioè di stabilire l’equità tra generi in nome di un importante ideale di giustizia – per molti utopico o poco vantaggioso -, bensì perché la gender equality ci varrebbe, dati del Fondo Monetario Internazionale alla mano, confermati da uno studio condotto dalla Harvard Business Review – una crescita dell’economia globale del 35%, stimata in 28mila miliardi di Pil mondiale entro il 2025.

È in questo senso che l’incontro con Sabellico stimola una riflessione non scontata, che si spoglia dalle istanze e dalle ragioni a priori della teoria per calarsi nel concreto, senza timore di tradire alcuna causa femminile e femminista.

“Siedo al tavolo direttivo di Confapi Emilia Romagna: siamo in 17 persone, di cui due donne e io sono la più giovane, ma non ho mai sentito messa in discussione la mia autorevolezza”, dice.
Al che farle notare che quel 15 a 2 non è esattamente paritario viene spontaneo ma lei, che pure non nega il problema, sceglie di affrontarlo in ottica diversa:

“Chiaro che ai tavoli in cui siedo ci sono molti uomini, e che questo è frutto di una società fondata su una visione economica e del lavoro non paritaria, ma il mio colloquio è alla pari e, in questi anni, ho visto aprirsi grandi possibilità. Almeno per quanto riguarda la terra che mi ha ‘adottata’ e che forse gode del vantaggio di una mentalità storica e politica orientata ai temi dell’uguaglianza e della giustizia sociale. Non ovunque è così e nella stessa Italia, da questo punto di vista, l’unità è ancora tutta da fare. Ci sono zone dove pesa molto più, non solo il maschilismo, ma soprattutto il nepotismo. L’Emilia è invece una terra fortemente meritocratica. In questo, anche dal punto di vista della parità di genere, sono convinta possa essere traino e modello da esportare”.

Destinata a raccogliere il testimone del padre, la storia professionale stessa di Barbara Sabellico si dipana dalla carriera predefinita di avvocata in quel di Frosinone, alla scelta di costruire per sé un futuro diverso: da andare a ‘meritare’ altrove. Così, terminati gli studi in Giurisprudenza, Sabellico va a Milano con la scusa di incontrare un’amica e tenta il test di ingresso a un prestigioso master di Diritto Internazionale: “Mio padre me l’ha ‘perdonata’ – anzi mi ha detto che ho fatto bene – solo due anni fa”.
Da lì, i percorsi di vita la portano in Emilia, dove sceglie di restare.

Professionista impegnata a far valere i diritti di lavoratori e, in particolare, per vocazione e incarico recente, delle lavoratrici, nonché a valorizzare l’imprenditoria femminile, Sabellico resiste all’ideologia a favore di una declinazione ‘imprenditoriale’ delle istanze delle donne nel mondo del lavoro e precisa:

“Parliamoci chiaro: a nessun professionista, tanto meno a una professionista donna, possono piacere in sé le quote rosa. Il loro valore va inteso non come bonus al vittimismo o gentile concessione, ma nell’ottica di valorizzare la meritocrazia laddove spesso non viene riconosciuta per retaggio culturale e non certo per assenza di capacità o valore. Detto questo, credo che il miglior servizio che possiamo fare a noi stesse, in quanto genere sicuramente discriminato, sia mostrare come il nostro apporto nel mondo del lavoro crei valore aggiunto per noi e per tutti, a livello economico, metodologico, sociale e politico”.

Non si tratta cioè, solo di quanto le donne abbiano ‘diritto a’, ma anche di quanto questo faccia bene a tutti.
Uguali possibilità, uguali salari, uguali diritti, uguali responsabilità, uguali occasioni cioè, non significa ‘solo’ giustizia per le donne ed equilibrio tra i generi, ma un vantaggio concreto per tutti, anche per gli uomini: l’argomento, posto così, dovrebbe cioè essere più interessante anche per chi non sente la spinta di valori umanitari e/o tema di dover rinunciare a un privilegio.

Entrando nello specifico del tavolo del Gruppo Donne Imprenditrici di Confapi Emilia Romagna, Sabellico spiega: “In Italia quando parliamo della questione del lavoro femminile stiamo parlando di una discriminazione sistemica: belle le teorie di parità, ma il sistema attuale non è improntato a sviluppare, non dico l’imprenditoria femminile, ma neppure i ruoli delle donne sul lavoro. Abbiamo bisogno di fare sentire le nostre voci e le nostre necessità: bisogna fare sistema, fare cioè massa critica. Le donne che fanno rete sono un volano di crescita incredibile, accelerano il cambiamento”.

Nel descrivere il gruppo, Sabellico parla di un team che filtra poi a livello nazionale le esigenze delle singole realtà della piccola e media industria, ma racconta anche di una sorellanza imprenditoriale e umana, in cui ‘sinergia’ significa (anche!) creare una ‘rete di supporto’ per quelle incombenze di cura e familiari, figli in testa, che ancora sono delegate più o meno tacitamente alla donna. E in questo illustra sì, una capacità delle donne di creare comunità, ma anche il persistere di una spina nel fianco femminile: un problema annoso che potevamo definire latente, finché la pandemia non è arrivata a farlo detonare lasciando a casa le donne dal lavoro.

Così, alla domanda: “Bella nelle intenzioni questa comunità di donne che si supportano, ma il rischio non è che si sopperisca, ancora e sempre, a quello che spetterebbe al sistema Stato?”; Sabellico risponde:

“Sì, c’è! Ma bisogna essere realiste e realisti. L’aria sta cambiando e noi dobbiamo lavorare in ottica di parità, riconoscimento, accelerazione del cambiamento. Detto questo nel frattempo è fondamentale continuare ad attuare strategie che nascono sì da situazioni di discriminazione e sono ingiuste, ma senza le quali il cambiamento agognato rischia di non compiersi o di farlo in estremo ritardo”.

E mentre si sopperisce, ahinoi, anche ai ‘buchi’ istituzionali e sociali, Sabellico individua i volani concreti del cambiamento nella flessibilità (“prima della pandemia era impensabile in molte aziende, oggi l’imprenditoria ha capito che in alcuni ambiti si può fare con risultati, in termini di benessere del dipendente e di produttività aziendale, sorprendenti”), ma anche nella responsabilità individuale:

“Tendiamo a vedere la cosa pubblica come qualcosa che non ci riguarda, ma noi stessi siamo cosa pubblica.
Se hai un’azienda, preoccupati di capire se le necessità delle tue lavoratrici sono ok e permettono loro di lavorare con serenità e, quindi, con più motivazione e al meglio.
Se sei donna e imprenditrice o in una posizione di privilegio, entra in circuiti e fai la tua parte per le altre.
Se sei una dipendente e pensi di non poter fare nulla, sbagli: fai rete con le tue colleghe, condividete e sollevatevi a vicenda da incombenze che vi permettano di avere poi le energie di pretendere quello che vi e ci spetta in quanto donne.
Bisogna fare rete. Nonché imparare a chiedere soldi e avanzamenti di carriera.
Noi donne non lo sappiamo fare e quando otteniamo ci sentiamo in debito rispetto a qualcosa che stiamo ampiamente ripagando con la nostra professionalità e il nostro lavoro”.

Un problema oggettivo, cui non a caso Roba da Donne ha dedicato una rubrica intera: I soldi delle donne. Il rapporto delle donne con i soldi ha radici socio-economiche profonde, che affondano nelle leggi stesse che, per esempio, in Italia impedivano a una moglie di possedere i propri patrimoni fino a pochi decenni fa. Il rischio, però, è di aver più o meno chiare le cause, ma di  arenarsi sulla ‘teoria empowerment’ per quanto riguarda le soluzioni. Non con Sabellico:

“Noi donne soffriamo, chi più chi meno, della sindrome dell’impostore, che è più che altro sempre una sindrome dell’impostrice. Fare rete anche in questo caso aiuta, ma a livello concreto dovrebbe aiutarci conoscere anche il risultato di alcuni esperimenti condotti. In particolare, in uno dei nostri corsi sul tema, abbiamo analizzato i risultati di uno studio in cui è stato chiesto ad alcune donne e ad alcuni uomini di contrattare condizioni contrattuali ed economiche più favorevoli, prima per altre/i colleghe/i, e solo in un secondo momento per sé stesse/i.
I risultati? Mentre gli uomini contrattavano allo stesso modo per sé e per gli altri; le donne erano molto capaci nel farlo per terzi, ma le loro competenze di contrattazione crollavano quando si trattava di portare a casa il risultato per se stessi.

Ora, qui siamo solo noi che possiamo fare la differenza e cominciare a riconoscere, prima di tutto a noi stesse, ciò che meritiamo. Se posso aggiungo un consiglio, che ho visto tornare molto utile!
Q
uando contrattiamo ricordiamoci di fare presente al datore o alla datrice di lavoro una cosa importante: il fatto che io ti chieda un percorso carriera, definito nel tempo, significa che io sto investendo me stessa nell’azienda e voglio sapere cosa farò di qua a cinque anni. È una cosa che fa bene alla produttività e alla crescita dell’azienda. Le aziende che non offrono reali prospettive a chi fa l’azienda (ovvero le persone che vi lavorano), non possono pensare di crescere. Almeno non con continuità né con prospettive di durata nel tempo”.

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