Tradwives, il trend delle donne che vogliono essere casalinghe "sottomesse"
Sono madri e mogli e vogliono vivere come si faceva negli anni '50: chi sono le tradwives e perché sono accusate di essere nazionaliste.
Sono madri e mogli e vogliono vivere come si faceva negli anni '50: chi sono le tradwives e perché sono accusate di essere nazionaliste.
Il termine tradwife (tradwives al plurale) altro non è che la versione breve di traditional wife, o moglie tradizionale. Giovani donne che hanno abbandonato la vita lavorativa e la carriera per adottare lo stile di vita e l’estetica degli anni ’50, trasformandosi casalinghe a tempo pieno e promuovendo la loro “tradlife” sui social.
Come Alena Kate Pettitt, una delle più note tradwife inglesi che, dopo aver lavorato nel mondo della cosmetica a Londra, ha deciso di realizzare il suo sogno di essere moglie e madre, diffondendo il verbo delle casalinghe tradizionali di oggi su Instagram – dove ha oltre 21.000 followers – e sul suo blog The darling academy, dove insegna a diventare casalinghe anni ’50 modello.
Benvenuti nella casa dei valori familiari tradizionali, delle buone maniere e lifestyle. La Darling Academy celebra il ruolo della casalinga, le dinamiche familiari tradizionali, il grande lavoro in casa e condivide la bellezza di ciò che rende davvero utile “essere a casa”.
Tra consigli di cucina e manutenzione della casa vintage, Alena spiega la sua filosofia di vita e dà suggerimenti alle housewives-to-be, non solo su come diventare perfette casalinghe ma anche, ad esempio, su quali carriere intraprendere prima del matrimonio in modo da prepararsi alla vita domestica: babysitter, ostetrica, donna delle pulizie…
Tra le regole base per essere una perfetta donna di casa anni ’50, c’è quella di mettere sempre il marito al primo posto, non solo nelle attenzioni quotidiane ma anche in quanto Re della casa: è lui a portare il pane in casa, e a detenere il controllo sulle finanze:
Il mio personale significato della parola sottomissione si basa sui principi della Bibbia. Mio marito è il capitano della nave. Non possono essercene due. Solo perché prende decisioni più grandi delle mie non significa che non mi consulti o che io sia la sua serva.
Quello delle tradwives con il femminismo è un rapporto più complesso di quello che si potrebbe pensare: nonostante le mogli tradizionali propongano un modello di vita e di sottomissione all’uomo contro cui il femminismo si batte, infatti, molte di loro si dichiarano femministe rivendicando proprio come non subiscano questo tipo di vita, ma lo scelgano liberamente perché lo desiderano fortemente.
La mia opinione sul femminismo è che si tratta di scelte. Dire che puoi entrare nel mondo del lavoro e competere con gli uomini e non ti è permesso stare a casa – per me è togliere una scelta.
Peccato che poi, nella pratica, spesso l’idea di femminismo che emerge dalle loro parole sia quella di un femminismo che odia gli uomini e li vuole inutili e superabili, che non si batte per la libertà delle donne di scegliere liberamente il loro destino ma le vuole a tutti i costi donne indipendenti e in carriera in eterna competizione con la metà maschile del mondo.
Per alcune di queste donne, quindi, essere una tradwife è un vero e proprio atto di empowerment, che permette loro di recuperare il controllo sulla propria vita, un controllo che sentivano di aver perso quando si sono adattate a uno stile di vita “moderno” che non sentivano proprio.
Grazie ai social network, le tradwives possono non solo promuovere il loro stile di vita, ma anche trovare sostegno e supporto all’interno di una vera e propria comunità: dichiarandosi spesso incomprese nelle proprie scelte anche delle proprie famiglie, trovano in donne come loro un senso di appartenenza e di realizzazione.
Penso che l’empowerment derivi dalla consapevolezza che ci sono altre donne che vogliono quello che vuoi tu, e non sei una vergogna per il tuo genere se non vuoi vivere da sola in un appartamento vuoto per il resto della tua vita.
Nella loro versione romanticizzata del lavoro di cura, però, non emerge quanto ancora troppe donne siano invece costrette ad assumere su di sé questo ruolo o, peggio, a dover combinare questo aspetto con un lavoro a tempo pieno, necessario quando un solo stipendio non basta per mandare avanti una famiglia.
Questo, però, non è l’unico aspetto problematico della filosofia di vita delle trawives, nota
Miranda Christou
Forse l’aspetto più significativo dell’hashtag TradWives è l’altra metà del termine: mogli. Donne definite dalla loro relazione con gli uomini, dal punto di vista degli uomini. In particolare, gli uomini dell’alt-right. La tendenza TradWives articola non solo i litigi delle donne sulle loro scelte, ma anche il modo in cui la manosphere riunisce coloro che si sentono accecati dal movimento femminista e vogliono insegnare alle donne come prendersi cura del proprio uomo e dare alla luce più bambini (bianchi). Ed è così che il sessismo funziona come droga di accesso alla supremazia bianca: uomini che si legano alla misoginia e si mobilitano per la razza bianca.
il recupero dei valori tradizionali, infatti, è spesso veicolo di un nazionalismo più o meno pronunciato, di una nostalgia dei bei vecchi tempi in cui «in cui potevi lasciare la porta di casa aperta e sapere che eri al sicuro e conoscevi i tuoi vicini per strada», mentre oggi «non conosciamo più nemmeno l’identità della nostra nazione», ci dice ancora Alena Pettitt, che però in un articolo dedicato a chi siano le tradwives ci tiene a specificare:
Una TradWife non è razzista, è inclusiva.
Per quanto lei creda nell’ordine naturale del genere, così crede nell’arazzo naturale e ricco della vita che porta con sé una varietà di razze, culture e credenze. Le persone contano per lei e non si considera superiore a nessuno, indipendentemente dal titolo, dal sesso o dal colore della pelle. Vede la persona, non il pacco. Lei non è categoricamente una suprematista bianca (!?). Apri gli occhi e vedrai orgogliose casalinghe tradizionali di colore provenienti da tutto il mondo!
Il riferimento al suprematismo bianco non è legato tanto al Regno Unito – dove il movimento delle tradwives è nato e si è sviluppato, senza però assumere tratti fortemente nazionalisti – ma piuttosto agli Stati Uniti, dove invece è spesso molto vicino all’alt-right ed
è particolarmente popolare tra i suprematisti bianchi, che sono estremamente favorevoli al messaggio che le donne bianche dovrebbero sottomettersi al marito e concentrarsi sul fare il maggior numero possibile di bambini bianchi.
Un articolo del New York Times dedicato proprio a The Housewives of White Supremacy mette in guardia sul sottovalutare questo fenomeno, ricordando che ad
affiancare quello che potrebbe essere scambiato per uno stile peculiare di mommy-vlogging è un ceppo virulento di nazionalismo bianco. Una di queste sostenitrici che si fa chiamare “Moglie con uno scopo” ha fatto notizia a livello internazionale l’anno scorso quando ha pubblicato qualcosa che ha intitolato “la sfida del bambino bianco”. Citando il calo delle nascite bianche in Occidente, ha esortato i suoi seguaci a procreare. “Ne ho fatti sei!” scrisse. “Raggiugnimi o battimi!”.
Moglie con uno scopo potrebbe essere la suprematista più prominente e certamente più apertamente bianca delle donne che si definiscono tradwives, ma non è un’anomalia: questi resoconti virano vertiginosamente dai consigli in stile Cosmo su come compiacere tuo marito a riflessioni razziste sulla “musica del ghetto” a, in alcune occasioni, inviti a riaffermare la propria visione della razza bianca. Il modo apparentemente anacronistico in cui si vestono non è casuale. L’estetica volutamente iperfemminile è costruita proprio per mascherare l’autoritarismo della loro ideologia.
Curiosa, polemica, femminista. Leggo sempre, scrivo tanto, parlo troppo. Amo la storia, il potere delle parole, i Gender Studies, gli aerei e la pizza.
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