Queer: il significato della “Q” di LgbtQ+ che spesso usiamo in maniera sbagliata
Nato con un’accezione negativa e omofoba, il termine “queer” provoca, ancora oggi, alcune confusioni circa il suo significato. Scopriamolo insieme.
Nato con un’accezione negativa e omofoba, il termine “queer” provoca, ancora oggi, alcune confusioni circa il suo significato. Scopriamolo insieme.
Dal momento che, però, la realtà in cui siamo attualmente immersi ha ben poco di ideale, risulta ancora necessario, affinché ogni persona abbia voce e pari dignità, rispondere alle esigenze sociali di esemplificazione e chiarimento facendo ricorso a “categorie” che possano includere tutte le sfumature della personalità umana.
In questo senso, quindi, risulta particolarmente funzionale l’acronimo della comunità LGBTQ+, che associa a ogni lettera un determinato orientamento sessuale o una specifica identità di genere. Oltre ai più noti lesbica, gay, bisessuale e transgender, però, vi è un termine che crea ancora confusione nel dibattito odierno: “queer”.
Vediamo che cosa significa e qual è la sua genesi.
Il sostantivo “queer” appartiene alla lingua inglese e affonda le proprie radici in tempi lontani. La sua prima attestazione risale, infatti, al ‘500, quando era inteso con il significato di “strano, eccentrico, particolare”.
La radice, tuttavia, sembra essere germanica e avere echi ancora più remoti. Come precisa il filosofo Cristian Lo Iacono sul Portale Nazionale LGBT:
In tedesco troviamo, appunto, l’aggettivo quer, che ha il significato di “obliquo, perverso”. Anche il verbo to queer, in origine, ha un senso prettamente negativo, che significa “andare male, andare in rovina.
Non stupisce, dunque, che, inizialmente, il termine fosse utilizzato alla stregua di un insulto: un modo per indicare, in modo dispregiativo, gli “omosessuali maschi effeminati”, diffuso, per la prima volta, dalla rivista teatrale americana “Variety” nel 1925.
La connotazione malevola si inserisce perfettamente nel solco terminologico dell’epoca, sviluppandosi in opposizione a ciò che era considerato “straight”, ossia giusto, convenzionale. Tradotto: eterosessuale e cisgender.
Un cambio di rotta si ha solo negli anni ‘90, quando il termine queer viene reso popolare dapprima dal gruppo di attivisti inglesi Queer Nation, come elemento provocatorio adoperato in azioni-spettacolo, e, in seguito, dalla studiosa italiana Teresa De Lauretis.
Fu quest’ultima, infatti, a coniare la “Teoria Queer”, la quale fece la sua prima apparizione in un numero speciale della rivista “Differences”, collettore degli atti del convegno omonimo svolto all’Università della California, a Santa Cruz, nel 1990.
Il termine queer fece, così, il suo ingresso in ambito accademico e assunse presto un peso politico ben definito. Come si legge su Treccani, secondo De Lauretis il concetto doveva essere usato con almeno tre intenzioni:
[Per] rifiutare il riferimento all’eterosessualità come termine di paragone per tutte le forme di sessualità; farla finita con la rappresentazione della sessualità gay e lesbica come un’unica forma di sessualità per considerarle, invece, nella loro diversa condizione di esistenza storica, materiale, sociosimbolica; infine, dare rilievo ai molteplici modi in cui la razza influenza in modo decisivo le soggettività sessuali.
La teoria queer sarebbe, quindi, uno strumento utile per procedere con gli studi di genere e, soprattutto, per ampliare gli orizzonti delle identità sessuali e di genere nel loro complesso, valicando il limite coatto (e ancora insuperato) dell’eteronormatività.
Le persone queer, dunque, rivendicano il diritto di opporsi al binarismo tradizionale che permea la nostra società e contrastano le etichette e gli stereotipi connessi alla comunità LGBTQ, riappropriandosi, al contempo, di un termine sorto con chiare intenzione omofobe.
Non tutti i membri della comunità concepiscono, infatti, in modo favorevole l’utilizzo di questo sostantivo, proprio a causa delle radici profondamente discriminatorie che esso possiede. Le persone queer, tuttavia, ne legittimano il ricorso al fine di offrire espressione a tutti quegli individui che rifiutano le identità di genere canoniche e le categorie correlate all’orientamento sessuale, esulando dagli schemi previsti da una società prevalentemente eterosessuale.
Per questo motivo, quindi, queer non è sinonimo – come spesso si suppone – di LGBT, bensì una sua corrente specifica e, a tratti, anche un po’ “avversa”, proprio per la sua volontà di non rientrare in schemi fissi e predeterminati, incapaci di esaurire e descrivere completamente tutte le sfaccettature della personalità di un individuo.
Chi è queer, pertanto, abbraccia una visione non binaria della sessualità e dell’identità, facendo propria la possibilità di identificarsi, in base alle volontà di ciascuno, con entrambi i generi “tradizionali”, con nessuno dei due o con una combinazione di entrambi.
Come è, purtroppo, consuetudine quando si tratta di orientamenti sessuali e identità di genere dissimili dalla “norma”, anche l’orgoglio queer nacque in seno a una serie di rivolte avviate alla fine degli anni ‘50 del secolo scorso.
La prima fu quella del 1959 al Cooper’s Donuts, una tavola calda di New York in cui, come riporta Sinapsi, si riunivano prostitute e queer, persone oggetto di discriminazioni perpetuate dalla polizia e, poi, culminate in una sequela di scontri violenti (e iniziali lanci di ciambelle).
Un episodio similare si verificò anche alla Compton’s Cafeteria di San Francisco, nel 1966, tra polizia e drag queen, prostitute ed emarginati sociali, fino a giungere all’evento fondante del movimento LGBTQ nel suo complesso: la rivolta allo Stonewall Inn del 28 giugno 1969, origine del Gay Liberation Front e vero e proprio motore propulsore per la lotta al riconoscimento della propria libertà da parte delle persone vittime d’odio.
Odio e discriminazioni che, ancora oggi, stentano a scomparire del tutto, rendendo necessarie azioni di contrasto all’astio e all’emarginazione scatenati da sessualità e identità di genere “diverse” rispetto alla “norma”.
Come ricorda la nostra firma Daphne Bohémien, infatti:
Abbiamo bisogno di rappresentazioni non binarie, anche per la giovane età, perché sentirsi rappresentat* valida chi siamo, ci fa esistere, non ci fa sentire sol* nel mondo, non ci fa sentire sbagliat* ed evita possibili anni di tormento durante e dopo la pubertà.
Ciascun individuo, appunto, ha il diritto di esprimere la propria interiorità con atteggiamento libero e scevro di pericoli. Fin dalla più tenera età.
Fortuna che, a rappresentare tutto lo spettro di possibilità di orientamento sessuale e identitario, ci pensa almeno l’arte.
In ambito televisivo, per esempio, spicca la serie statunitense-canadese Queer As Folk, ambientata nei primi anni 2000 a Pittsburgh e incentrata sulla vita di cinque ragazzi gay e sulle relative vicende amorose, meritevole di aver ampliato l’utilizzo del termine queer nella sua accezione positiva.
Di rilievo poi la seria Euphoria con Zendaya e l’attrice trans Hunter Schafer e anche Tales of the City basata sui romanzi di Armistead Maupin.
A fare da apripista a queste serie, alcune che arrivando al grande successo hanno contribuito ad acuire la sensibilità sul tema,c ome Orange Is the New Black, uno sguardo sulle dinamiche di un carcere femminile del Connecticut, e, facendo qualche passo indietro a livello cronologico, Will & Grace, telefilm che ha portato per la prima volta, sul piccolo schermo, un protagonista gay un po’ meno avulso dalla moltitudine di stereotipi tipicamente associati a questo tipo di personaggi.
Sul grande schermo, invece, si stagliano i caratteri delineati da due registi d’eccellenza, ossia Pedro Almodóvar, con titoli come Tacchi a spillo, Gli amanti passeggeri e La mala educación, e Ferzan Özpetek, emblema della queerness con pellicole quali Le fate ignoranti, Mine vaganti o La dea fortuna.
Per quanto concerne la letteratura, infine, non si può non citare un classico intramontabile, ossia Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, impregnato di “ambiguità” e diniego delle norme imposte, nonché uno dei capolavori di Virginia Woolf, Orlando: biografia immaginaria dedicata alla poetessa Vita Sackville-West (con cui l’autrice intrattenne anche una relazione) che, nel volume, assume dapprima le sembianze dell’androgino Orlando (in lotta con la società patriarcale), per poi risvegliarsi, qualche secolo dopo, nelle vesti di una donna.
Tornando, invece, alla vita reale e quotidiana, sono molte le persone che, nel corso degli anni, hanno dichiarato apertamente la propria visione a proposito della queerness.
Tra queste, non mancano anche personaggi celebri. Un esempio è l’attrice Tilda Swinton, che, in opposizione alla dicotomia maschio/femmina, ha dichiarato:
Non so se potrei mai dire di essere stata una ragazza. Sono stata una specie di ragazzo per molto tempo. Non lo so, chi lo sa? Si cambia.
Della stessa opinione anche l’attrice e modella australiana Ruby Rose, che non ha mai nascosto la sua identità queer, affermando che:
Sono gender fluid: mi sembra di svegliarmi ogni giorno con una sorta di genere neutro.
Una testimonianza anonima raccolta sul sito Redeeming God, invece, definisce l’essere queer nel modo seguente:
Alcune delle vecchie generazioni possono considerarlo dispregiativo, ma la mia generazione no. Lo considero come un termine generico. Per me, descrive le persone che non rientrano esattamente nelle solite categorie. Sono maschio, sposato con una femmina e cristiano. Ai fini di questa discussione, non conosco altre etichette adatte. Non sono etero, gay o bisessuale. Mi piacciono le donne. Mi piacciono gli uomini. Sono attratto da alcune donne e alcuni uomini, ma non dalla maggior parte delle donne o dalla maggior parte degli uomini. Ho sposato una donna perché è più facile mescolarsi con le masse. Amo mia moglie e ho intenzione di rimanere sposato con lei. Potrei facilmente sposarmi con un uomo, anche se dipenderebbe dall’uomo. Il giorno in cui lo Stato in cui sono cresciuto ha reso legale sposare qualcuno dello stesso sesso, ho pianto. Se ciò fosse accaduto prima che mi sposassi, mi chiedo se avrei potuto sposare uno dei miei fidanzati anziché una delle mie amiche.
Mentre riprende, infine, il concetto di fluidità anche Taylor, donna nera e queer e tra le voci del sito The Body Is Not An Apology:
L’identità sessuale non è una cosa stagnante, è malleabile e soggetta ai cambiamenti proprio come le sono le persone. Penso che la mia esitazione a identificarmi come queer, alla radice, derivi dall’essermi identificata come etero per così tanto tempo. L’eterosessualità è stata la mia verità abbastanza a lungo e qualsiasi altra parola è sembrata una bugia. Ma penso che sia tempo di reinventare me stessa.
Insomma, non ci sono limiti alle possibilità dell’essere. E nessuno, eccetto noi stessi, può sapere che cosa sia meglio per il nostro benessere identitario. Etichettabile o no.
Filosofa, bioeticista e giornalista, scrivo e vivo con appassionata curiosità, alla costante ricerca dell'inedito e della bellezza del mondo. Sono affascinata dalle donne libere e indipendenti, da cui traggo quotidiana ispirazione....
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