“Vestiti trasandata e ricorderanno il vestito; vestiti in modo impeccabile e ricorderanno la donna”.
“Una donna che non mette il profumo non ha futuro”.
Forse qualcuno oggi griderebbe al sessismo, leggendo queste frasi, eppure la donna che le ha pronunciate era la meno devota al patriarcato e ai dettami maschilisti del suo tempo. Gabrielle Bonheur Chanel, per tutto il mondo Coco, fu infatti un immenso esempio di emancipazione e indipendenza femminile in un tempo in cui le donne erano ancora sottoposte alla “schiavitù” dei corsetti e imbragate in abiti dai sottogonna improbabili, perché così chiedeva le società alle signore “per bene”.
Lei le liberò dal giogo della moda imposta per compiacere gli uomini e diede loro i pantaloni, destando scandalo e sgomento fra i suoi contemporanei. E dire che, ben prima di diventare un’icona assoluta non solo di stile, ma anche per la cultura popolare, la vita di Gabrielle è immersa in una profonda aura di mistero, per sua precisa volontà, visto che lei stessa non amava parlare del proprio passato.
L’infanzia difficile di Coco Chanel
Gabrielle, il cui secondo nome significa “felicità” nacque in un contesto tutt’altro che allegro, un ospizio del poveri a Saumur, il 19 agosto del 1893; il padre, Henri-Albert Chanel, era un venditore ambulante che girovagava tra i mercati dell’Auvergne, nella Francia sudorientale, mentre Jeanne De Volle, madre della futura stilista, morì quando i figli erano ancora piccoli.
Henri-Albert li prese con sé per abbandonarli presso la propria madre, a Vichy, così, mentre Lucien e Alphonse vennero mandati a lavorare presso un’azienda agricola, le tre sorelline Chanel furono affidate alle suore della congregazione del Sacro Cuore, all’orfanotrofio di Aubazine. Proprio lì Gabrielle ebbe modo di approcciarsi al mondo sartoriale per la prima volta, iniziando a cucire delle stoffe monacali per creare degli abiti per le sue bambole.
Raggiunto il limite per poter restare nell’orfanotrofio, Gabrielle fu mandata in una scuola di apprendimento delle arti domestiche di Notre Dame, poi iniziò a lavorare come commessa a Moulins, a Maison Grampayre, un negozio di biancheria e magliera dove mise a punto le lezioni di cucino apprese a scuola e con la zia Louise.
Pare che il soprannome Coco le sia stato dato nel cafè-concerto in cui si dilettava lavorando come cantante, e dove incontrò il primo grande amore, Étienne de Balsan, quando lei aveva 21 anni e lui 24. Proprio lui fu il primo finanziatore della stilista: figlio di imprenditori tessili e ufficiale di cavalleria, Étienne la invitò a trasferirsi presso il suo castello a Royallieu, imparando a cavalcare i purosangue che lui tanto amava e trovando proprio lì, probabilmente, l’ispirazione per i pantaloni da cavallerizza che caratterizzarono il suo stile.
La carriera di Chanel prese il via da lì, dalla residenza dell’uomo con cui rimase per otto anni, con dei cappellini di paglia, ornati da semplici fiori in raso o piume, che scioccarono la moda del tempo, abituata a cappelli decisamente vistosi e sontuosi. Per assurdo, la sua prima cliente fu Emilienne D’Alençon, vecchia fiamma di Balsan.
L’incontro decisivo con Capel
Fu però l’incontro con il ricco industriale Arthur “Boy” Capel, avvenuto proprio nel castello di Royallieu, a spianarle definitivamente la strada e a farle scoprire il grande amore. A differenza di Balsan, che aveva sempre lasciato fare Gabrielle pur non comprendendone la passione, Capel la incoraggiò pienamente, anticipandole i soldi per permetterle di aprire la sua prima boutique a Rue Cambon, a Parigi, dove si trasferirono insieme.
Nel 1912, due anni dopo l’apertura del negozio, Chanel iniziò a vendere anche maglioni, vestiti e gonne oltre ai cappellini di paglia. Il mito stava nascendo. Fu Suzanne Orlandi la prima a indossare un abito Chanel, un abito in velluto nero ornato da un semplice colletto bianco.
Coco, infatti, sosteneva che
Il nero contiene tutto. Anche il bianco. Sono d’una bellezza assoluta. È l’accordo perfetto.
Ancora su suggerimento di Capel, nel 1913 Chanel aprì un secondo negozio nella cittadina balneare della Normandia Deauville, dove sostituì definitivamente i bustini stretti con abiti leggeri ispirati allo stile marinaresco e ricami in pizzo, maglioni a righe e pantaloni comodi.
Con lo scoppio della prima guerra mondiale Capel fu arruolato come ufficiale ed emissario diretto tra il primo ministro inglese e i vertici militari francesi, passando gran parte del proprio tempo a Londra, dove conobbe Diana Lister, una ricca ragazza proveniente da una famiglia aristocratica. La boutique di Deauville di Chanel, invece, rimase aperta per tutto il conflitto.
Alla fine della guerra Capel venne nominato segretario politico e fu costretto a organizzare un matrimonio facoltoso per rafforzare la propria posizione; del resto, lui e Gabrielle non avevano mai potuto sposarsi per via del divario sociale che li separava. Così nel 1918 Boy sposò Diana, ma il matrimonio naufragò dopo pochissimo tempo a causa del legame che ancora lo univa alla stilista francese.
Una tragedia spezzò anzitempo la sua vita: mentre tornava in Francia, deciso a vivere definitivamente con Coco, la Rolls Royce su cui viaggiava a Monaco slittò sulla strada ghiacciata, finendo contro un albero e uccidendolo. Travolta dal dolore per la morte dell’unico uomo che avesse mai realmente amato, Chanel non vorrà mai più sposarsi nella sua vita.
In omaggio a Boy Capel, nel 2013 Karl Lagerfeld ha realizzato una borsa che porta il suo nome, la Chanel Boy.
La petite robe noire e i pantaloni
A Chanel si deve la creazione del tubino nero, nel 1926, da lei chiamato la petite robe noire; fino a quel momento l’abito nero che non fosse indossato per un lutto era giudicato sconveniente e inopportuno, ma lei ribaltò completamente questa convinzione, creando un abito che potesse adattarsi al fisico di ogni donna. L’idea piacque talmente tanto che Vogue lo definì “una sorta di uniforme per ogni tipo di donna, a prescindere dal gusto e dallo stile personale”.
Ma Coco Chanel fu anche la prima che “liberò” definitivamente le donne dall’obbligo della gonna, cucendo per loro pantaloni ampi, con la vita alta, in tessuti morbidi, così da garantire alle donne la massima comodità. Le prime creazioni, in questo senso, vanno fatte risalire alla guerra, quando, con gli uomini al fronte e le donne impegnate al lavoro, le differenze tra i sessi cominciarono finalmente ad assottigliarsi e alla componente femminile servivano praticità e comodità.
Allo stesso modo, Chanel ideò per le donne l’iconica giacca, diventata un vero e proprio evergreen della moda, un passepartout adatto a ogni occasione che all’epoca gridava voglia di emancipazione e di indipendenza dalla logica del male breadwinner, e rivoluzionò anche il concetto di borsa, dando vita alla prima vera it-bag con la 2.55, la classica borsa matelassè con tracolla che, finalmente, ha liberato le mani delle donne da pochette e clutch.
Di se stessa, Chanel amava ripetere di essere una “creatrice di moda”.
Per prima cosa io non disegno, non ho mai disegnato un vestito. Adopero la mia matita solo per tingermi gli occhi e scrivere lettere. Scolpisco il modello, più che disegnarlo. Prendo la stoffa e taglio. Poi la appiccico con gli spilli su un manichino e, se va, qualcuno la cuce. Se non va, la scucio e poi la ritaglio. Se non va ancora, la butto via e ricomincio da capo… In tutta sincerità non so nemmeno cucire.
Alcuni libri dedicati alla figura di Coco Chanel:
Coco Chanel. La rivoluzione dello stile. Ediz. illustrata
Coco Chanel. Una donna del nostro tempo
Coco Chanel. Un'icona di stile
Coco secondo Coco
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
- Storie di Donne
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