Self made man o woman, quel culto del farsi da solo/a che non serve a nessuno/a
Da secoli sentiamo parlare di self made man o woman, ma siamo sicuri che il concetto sia davvero così positivo?
Da secoli sentiamo parlare di self made man o woman, ma siamo sicuri che il concetto sia davvero così positivo?
Per anni siamo cresciuti nel mito di questa figura, l’uomo (o la donna) capaci di creare un impero dal nulla, basandosi solo sulle proprie idee e sul proprio talento, e l’abbiamo presa come modello ispirazionale cui guardare con ammirazione.
Ma siamo proprio sicuri che il self made man sia davvero il prototipo di persona ideale, e quello di cui abbiamo bisogno?
Lo abbiamo già detto, ma lo ribadiamo secondo quanto riportato nella definizione di Garzanti linguistica: un self made man è un
uomo che si è fatto da sé, cioè che deve il successo sociale o professionale esclusivamente ai propri meriti e alla propria attività
Parliamo generalmente di imprenditori, che hanno trovato il successo e la ricchezza grazie al loro lavoro. Detta così, sembra veramente che si parli di qualcuno verso cui non si possa che nutrire profonda ammirazione, ma il mito dell’uomo che si è fatto da sé ha prodotto anche diversi danni, in particolar modo alle donne.
Ad alimentare il mito del self made man c’è sicuramente il “sogno americano”, incarnato nei primi anni del XX secolo dal magnate Rockefeller, fondatore della Standard Oil e riformatore dell’industria petrolifera.
Ma l’uomo che si fa da solo, in realtà, ha radici ben più antiche, che possono essere ritrovate già nel principio rinascimentale dell’Homo faber suae fortunae, il quale rappresentava la rivendicazione della liberazione dell’uomo dalle catene dell’autorità del passato feudale, chiesa e corporazioni.
Secoli più tardi il mito è stato incarnato dai cercatori d’oro del West, che ha ulteriormente contribuito a far vedere l’America come il vero El Dorado da raggiungere, anche per i popoli europei; questa tesi, del resto, è stata sostenuta da diversi filosofi, fra cui Alexis de Toqueville che, nella sua Democrazia in America, notava proprio la differenza profonda esistente tra gli imprenditori americani, che avevano costruito la propria fortuna partendo dal basso, e quelli europei, che invece avevano un benessere il più delle volte ereditato per discendenza dalla famiglia.
C’era, insomma, un egualitarismo sociale negli USA che in Europa invece mancava, e che ha convinto intere generazioni a migrare verso gli States, proprio per avere pari opportunità per affermarsi.
C’è però un rovescio della medaglia che viene spesso trascurato, quando si parla di self made men: prendiamo lo stesso Rockefeller, che si impose sì come grande imprenditore, ma anche per via del Trust da lui stesso fondato nel 1882 che rese, di fatto, la Standard Oil un monopolio per oltre 30 anni. In questa situazione privilegiata Rockefeller intesse relazioni con i politici più influenti, che gli diedero il loro pieno appoggio, e fu solo nel 1911, con la prima delle tante leggi anti-trust della storia, che la società si divise in 5 entità separate.
Seppur in tempi decisamente più recenti, e in misura minore, accanto al mito del self made man compare quello della self made woman, la donna che costruisce da sé la propria fortuna, basandosi su talento, dedizione al lavoro e competenza.
Eppure, la figura della donna “che si è fatta da sola” non è così positiva come, a un primo sguardo, potrebbe sembrare, perché negli anni ha contribuito a creare quello scenario tossico per cui le donne, professionalmente, sono finite con il diventare figure stereotipate (la donna in carriera), costrette ad assumere atteggiamenti maschili per essere prese sul serio, oppure sono state semplicemente divise in “di successo” contro “non realizzate”.
Tutto questo non ha fatto che portare a una categorizzazione delle donne: lavoratrici, che si sono costruite una carriera vs donne che stanno a casa e si occupano dei figli, innescando un dibattito senza soluzione di continuità fra le prime, che reputano “meno donne” le seconde per la loro scelta di rinunciare alla carriera per “fare le mantenute”, e le seconde, che attribuiscono alle altre la medesima definizione per aver scelto di non voler creare una famiglia in nome del lavoro.
Ma c’è anche una terza via, altrettanto tossica, quella della donna multitasking, che riesce a fare tutto, dal lavoro alle faccende domestiche, che per anni ci è stato proposto come un perfetto esempio di emancipazione totale, ma in realtà non è che una fregatura, perché, proprio come i precedenti esempi, non fa altro che etichettare le donne e costringerle a essere in un certo modo per essere considerate “socialmente accettabili”.
Il mito del self made non ha però creato danni solo alle donne; in realtà, è molto difficile il concetto stesso del “farsi da solo/a”. Ad esempio, se prendiamo attori e cantanti, il loro successo è inevitabilmente condizionato dal pubblico che decide o meno di seguirli; gli imprenditori, oltre che di una base economica, devono necessariamente avere persone che lavorino per loro, e un certo numero di acquirenti che acquistino i loro prodotti.
Senza contare che, molto spesso, il self made man, per essere tale, deve instaurare anche rapporti di potere vantaggiosi per far sì che gli altri diventino il mezzo utile al conseguimento dei suoi obiettivi.
Il mito del self made man, come ben spiega questo articolo, è incarnato ad esempio dalla figura di Robinson Crusoe, che costruisce da solo quanto gli serve per sopravvivere dopo il naufragio sull’isola deserta, addomestica animali e, appena incontra un altro essere umano, come un vero conquistatore, gli impone un nome e lo riduce allo stato di servo.
Per i critici, non a caso, il mito del self made man rispecchia in pieno i valori borghesi e capitalisti, e per questo anche Marx fu tra i detrattori del romanzo di Defoe.
Robinson Crusoe altri non è che l’incarnazione del colonialismo europeo, vissuto come progresso.
In un certo qual modo il concetto del self made man è anche una prerogativa elitaria, senza contare che l’idea di un mondo dove tutti riescano a farsi da sé provocherebbe inevitabilmente un collasso del sistema, a causa dei troppi consumi.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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