Femen, non 'quelle con le te*te al vento': storia di attivismo molto scomodo
Fisionomia di un movimento femminista che fa del proprio corpo uno strumento di protesta e un’arma contro il patriarcato.
Fisionomia di un movimento femminista che fa del proprio corpo uno strumento di protesta e un’arma contro il patriarcato.
Ridurre il movimento delle Femen a una mera provocazione politica e sociale sarebbe, però, semplicistico. Quello delle Femen, infatti, è un attivismo scomodo e coraggioso, in grado di pungolare l’opinione pubblica e condurla a un ulteriore livello di riflessione circa le discriminazioni sessuali e di genere.
Scopriamone la storia.
Le Femen sono i membri dell’omonimo gruppo femminista di protesta nato a Kiev nel 2008, su desiderio della leader Anna Hutsol, particolarmente colpita dalle storie di donne espatriate o fuggite all’estero e irretite da false promesse.
Ho fondato Femen – ha dichiarato Hutsol, come riporta France 24 – perché ho capito che nella nostra società mancavano donne attiviste: l’Ucraina è maschilista e le donne hanno un ruolo passivo.
Per tale motivo, il movimento si propone di manifestare e combattere contro il sessismo, le discriminazioni di genere e il turismo sessuale (particolarmente diffuso in Ucraina). Nata inizialmente per dare una nuova immagine della sua nazione, mettendone in rilievo le opportunità per le donne e incrementando le capacità morali e intellettuali di queste ultime, l’organizzazione si è poi diffusa su scala globale, ampliando, così, il proprio bacino di utenza e di lotta politica.
Quando ha fondato il movimento delle Femen, Anna Hutsol aveva 24 anni e un’attitudine fervida e assetata di lotta. E, come lei, lo erano anche le giovanissime studentesse universitarie che, fin da subito, hanno abbracciato la causa delle Femen, manifestando a seno nudo di fronte alle maggiori istituzioni ucraine, e non solo.
Ma da dove deriva la scelta di manifestare proprio in topless, fregiate da simboli e parole di protesta sul petto? Lo spiega la fondatrice, che, come si legge su Il Sole 24 Ore, si è resa subito conto che
il femminismo tradizionale, qui in Ucraina, non avrebbe attecchito, né con le donne né con la stampa e tanto meno con la società. E allora perché non adattare il femminismo al modello ucraino? Qui le donne non temono di usare il proprio corpo: siamo abituate a considerarlo uno strumento almeno quanto il cervello.
Di qui, l’obiettivo di volgere in positivo – e anche in “arma” – ciò che è tendenzialmente considerato “peccaminoso” e “inopportuno”: il seno nudo, emblema della lotta contro il sistema patriarcale e soggiogante che caratterizza le nazioni di tutto il mondo.
I metodi provocatori – hanno affermato le attiviste – sono l’unico modo per essere ascoltati in questo paese. Se avessimo manifestato con il solo ausilio di cartelloni, le nostre richieste non sarebbero state nemmeno notate.
Dall’anno della sua fondazione a oggi, al movimento hanno preso parte anche uomini e attivisti provenienti da tutto il mondo, così come le proteste hanno ampliato i propri orizzonti e hanno valicato i confini ucraini, toccando anche città quali Milano, Vienna, Istanbul, Roma, Londra, Venezia e Parigi.
Scopo primario delle Femen è quello di conseguire una «vittoria completa sul patriarcato». Per farlo, le attiviste non mancano di conseguire una formazione non solo intellettuale, ma anche, e forse soprattutto, fisica, derivata dalla necessità di scappare o rispondere agli attacchi subiti nel corso delle proteste.
La battaglia principale, e con cui il movimento ha visto il suo avvio, è quella contro i “sexpats”, ossia il trasferimento di uomini e businessman che si recano in Ucraina solo per il turismo sessuale o, peggio, per un’infondata presunzione di “maggiore disponibilità” da parte delle donne ivi presenti.
Vengono a centinaia – commenta Hutsol –, in aereo o in autobus, spesso in nave attraverso il Mar Nero, e considerano le nostre minigonne come un invito alla prostituzione. Senza voler capire che è il nostro abituale modo di vestire.
Proprio la prostituzione è un altro punto focale della lotta delle Femen. La fondatrice del movimento si è, infatti, dichiarata fortemente contraria alla sua legalizzazione, avanzando la proposta di introdurre la responsabilità penale nei confronti di chi «usufruisce dei servizi offerti dall’industria del sesso».
Gli altri obiettivi, come si legge sul loro sito, sono, poi:
Oltre ad Anna Hutsol, nell’arco di questi tredici anni dalla sua fondazione il movimento delle Femen ha visto succedersi un gran numero di attiviste note anche a livello internazionale.
Tra queste spiccano, senza dubbio, Oksana Šačko, Inna Shevchenko e Pauline Hillier. Le ultime due, in particolare, sono anche autrici di un volume pubblicato pochi anni fa dalla casa editrice torinese AnankeLab, intitolato Anatomia dell’oppressione e dedicato alle modalità con cui, nei secoli, le tre religioni monoteistiche hanno soggiogato il corpo femminile, in tutte le sue parti – dalla testa ai piedi, letteralmente.
Inna Shevchenko, inoltre, è stata anche vittima delle persecuzioni del servizio segreto ucraino, che nel 2012 l’ha costretta a trovare riparo a Parigi in seguito a una delle manifestazioni più celebri dell’organizzazione.
Per protestare contro l’incarcerazione delle femministe russe del gruppo Pussy Riot, infatti, Shevchenko ha impugnato, seminuda, una motosega, e ha abbattuto una grande croce ortodossa di legno in segno di dissenso, provocando, così, le antipatie da parte del governo nazionale.
In seguito alla pausa forzata dovuta alla pandemia, le Femen stanno tornando, ora, nelle piazze di tutto il mondo per continuare a far sentire la propria voce e a lottare contro le ingiustizie sessiste e patriarcali.
Tra le proteste più recenti, si staglia quella contro la condanna a dieci e a sei anni di carcere di due influencer egiziane, tenutasi di fronte all’ambasciata egiziana di Parigi lo scorso giugno. Mawada al-Adham e Haneen Hossam sono state, infatti, accusate di «promuovere l’immoralità» e «incitare alla dissolutezza» dopo aver postato due video in cui ballavano e cantavano.
A queste accuse si sono poi aggiunte quelle di “tratta di esseri umani” (per aver condiviso il video di una campagna di donazioni per bambini malati di cancro) e di “indecenza”, per aver dato voce a una donna egiziana impegnata nel racconto dello stupro subito e della denuncia successivamente rivolta contro il suo aggressore.
Naturalmente, queste sono solo alcune delle innumerevoli battaglie per cui le Femen continuano a mostrarsi e a scardinare l’ordine pubblico, per incoraggiare tutte le donne a non essere sottomesse e a essere «libere di parlare, agire, cantare e ballare». A sostegno di tutte le sorelle del mondo.
Filosofa, bioeticista e giornalista, scrivo e vivo con appassionata curiosità, alla costante ricerca dell'inedito e della bellezza del mondo. Sono affascinata dalle donne libere e indipendenti, da cui traggo quotidiana ispirazione....
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