Parte della tradizione napoletana da secoli, il femminiello è considerato quasi una figura sacra, che prende parte a diverse manifestazioni partenopee. Un esempio nel quale un uomo che si veste e si atteggia da donna non viene discriminato, non subisce violenza, ma è invece celebrato, come qualcosa di speciale e unico, proprio perché duale e quindi completo.

Ripercorriamo insieme la storia, la tradizione e la cultura dei femminielli di Napoli, fino ai giorni nostri.

La storia dei femminielli

La storia dei femminielli ha origine molto antica, tanto che non si sa precisamente quando sia nata. Si tratta di una delle tradizioni, partenopee ma non solo, più longeve e resilienti, che hanno resistito a qualsiasi trasformazione culturale e sociale della città e del Paese.

La figura del femminiello pare prenda ispirazione da quella dell’ermafrodita, che nell’antica Grecia era considerato sacro, poiché rappresentava il figlio della dea della Bellezza e del dio dell’Amore, e conteneva quindi la dualità del creato, ovvero sia la parte maschile che femminile.

Il femminiello raccoglie in sé questa doppia natura, in una descrizione che va al di là delle etichette, infatti non si definisce soltanto con termini come omosessuale, transessuale, transgender o drag queen. Il femminiello è riconosciuto come un uomo che sente e vive come donna.

Da secoli è la figura protagonista di diverse manifestazioni sociali e sacre di Napoli. Proprio come i Greci infatti, i napoletani portano avanti tradizioni religiose come la Candelora a Montevergine. Nel Cristianesimo in questa giornata si celebra la presentazione di Gesù al Tempio.

A Napoli la Candelora è un giorno speciale anche per i femminielli, che salgono al Santuario di Montevergine per glorificare la Madonna, durante la “Juta dei Femminielli“. In ricordo a un episodio avvenuto nel 1256, quando la Madonna di Montevegine, conosciuta dai partenopei con il nome di Mamma Schiavona, mossa dal sentimento di due amanti omosessuali incatenati sulla montagna e condannati a morte, decise di salvarli con il calore della sua luce.

Il femminiello nella cultura napoletana

femminiello
Fonte: Web dal film “Napoli Velata” di Ozpetek

Il femminiello non è solamente una figura sacra napoletana, ma rientra anche nella cultura. La tradizione così antica infatti ha fatto sì che per secoli si mantenessero vive alcune manifestazioni e celebrazioni. I femminielli organizzano più volte all’anno la Tombola Vajassa. Ovvero una rivisitazione della tombola classica, che unisce la tradizione del femminiello con la scaramanzia, dei tarocchi e il mondo del gioco tipici napoletani.

Un’altra importante tradizione, forse la più significativa dei femminielli è la “figliata“. Si tratta di un rito che si tramanda da secoli, nel quale il femminiello riproduce il momento del parto, mimando i movimenti e i dolori delle doglie. E lo fa con urla di lamento, contorsioni del corpo, come se stesse realmente vivendo l’esperienza. Al termine del travaglio, dalle gambe del femminiello viene fatto comparire un bambino. Un tempo veniva usato un bambino reale prestato da vicini o parenti per il rito, mentre negli ultimi tempi è stato sostituito da un bambolotto.

Il figlio nato dalla figliata è sempre di sesso maschile, a rimarcare la dualità del femminiello, che è uomo ma si sente anche donna. La figliata de’ femminielli è raccontata nella cultura napoletana e italiana da tempo. Il film Napoli velata di Ozpetek inizia proprio con la scena di una figliata, mentre l’attore la narra come una storia “eterna”, poiché derivante da tradizioni secolari. La figliata è ben descritta anche nel libro La pelle di Curzio Malaparte.

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Il libro racconta, in maniera straziante e orribile, un’epidemia di peste a Napoli nel 1943, che trasforma la città in un vero e proprio inferno.

Questo evento avviene in seguito al matrimonio tra femminielli, una celebrazione compiuta in una chiesa chiusa, che gli sposi consumano durante la notte di nozze. Dopo esattamente 9 mesi avviene la figliata, a cui fanno seguito banchetti e festeggiamenti. Oggi la figliata è conosciuta anche come “magia imitativa“, un termine dato a questo rito da James Frazier ne Il ramo d’oro, proprio perché questa tradizione ha attirato da secoli l’attenzione di tutto il mondo.

La realtà dei femminielli è da sempre un’unicità. Rappresenta la grande apertura mentale, sociale e culturale del popolo partenopeo, che ha saputo dare non solo libertà, ma uno spazio ai femminielli.

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I femminielli oggi

La cultura del femminiello ha resistito per secoli, a cambiamenti culturali e sociali. Oggi a Napoli il femminiello inteso come figura sacra, che porta bene, al quale le famiglie affidavano i proprio bambini, è meno presente.

I femminielli di oggi sono soprattutto uomini più anziani, che mantengono la tradizione di qualche decennio fa. Ma lo spirito e il significato che il femminiello ha avuto per questa città è ancora ben radicato. I femminielli attuali si sentono ambasciatori della libertà di poter essere se stessi, senza limitazioni e restrizioni, rappresentata da questa figura.

I ragazzi di Napoli oggi sono dei femminielli che portano la loro cultura nella comunità LGBTQ+, ai pride. Si trovano principalmente nella sede dell’Arcigay della città, e portano avanti la tradizione semplicemente essendo loro stessi.

Ciò che vogliono trasmettere anche nelle altre parti d’Italia e nel mondo è la consapevolezza dei femminielli del passato, che per secoli hanno reso possibile ai giovani oggi di essere accettati per le vie della città. Di poter vivere ed essere come vogliono, celebrando la loro fluidità di genere, senza doverla necessariamente spiegare o etichettare.

E vivendo in comunione con gli eterosessuali, con uomini, donne, anziani e bambini, senza discriminazione. Anzi, con un rispetto che da nessun’altra parte del mondo è così evidente. La tradizione del femminiello ha portato Napoli ad essere, almeno in questo caso, avanti di secoli nella strada verso i diritti umani e l’accettazione di tutte le identità di genere e sessuali.

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