Cos'è Kwanzaa, la festa che celebra (o forse no) gli afroamericani
Nata negli anni '60, Kwanzaa celebra e unisce la comunità afroamericana con riti e principi specifici per ogni giorno di festa. Ma non tutti ne sono entusiasti.
Nata negli anni '60, Kwanzaa celebra e unisce la comunità afroamericana con riti e principi specifici per ogni giorno di festa. Ma non tutti ne sono entusiasti.
Kwanzaa è una festa che si celebra sempre a dicembre, per onorare la fertilità delle terre e il buon raccolto. È stata ideata nel 1966 dallo studioso di africanistica, nonché attivista, Maulana Ndabezitha Karenga, con l’obiettivo di “dare ai neri un’alternativa all’attuale festa del Natale e dare ai neri l’opportunità di celebrare se stessi e la loro storia, piuttosto che semplicemente imitare la pratica della società dominante”.
Per il suo nome Karenga si ispirò alla frase swahili matunda ya kwanza, che significa “primi frutti del raccolto”; la scelta dello swahili, lingua dell’Africa orientale, è un vero e proprio simbolo del panafricanismo.
In realtà ogni famiglia può celebrarlo a modo suo, ma in generale la festa include il più delle volte canti e danze, tamburi africani, la lettura di storie, lettura di poesie e la consumazione di un pasto tradizionale.
Per entrare appieno nello spirito del Kwanzaa occorrono:
Si posiziona una tovaglietta di paglia o di tessuto, che rappresenta le fondamenta della stirpe africana, al centro del tavolo, disponendo i simboli di Kwanzaa sulla stessa, cioè il candeliere (senza accendere le candele!), le pannocchie, frutta e verdura, regali e tazza.
Possono essere aggiunte anche altre decorazioni a piacimento, ad esempio bandiere panafricane o simboli di culture africane diverse.
Lo scopo principe di Kwanzaa è però fare del bene alla comunità, che sta al centro di tutto: durante le celebrazioni, dunque, è bene dedicarsi ad attività di volontariato, meditazione e creatività, per il bene collettivo. Infine, il 1° gennaio, l’ultimo giorno di Kwanzaa, ci si scambia i regali tra figli e genitori, prettamente di natura educativa o artistica.
Sono sette, uno per ogni giorno di celebrazione:
Ogni candela deve essere accesa per ogni giorno, rappresentando un principio specifico, con la candela nera che è sempre la prima. Ci sono persone che accendono le candele dal rosso al verde, ovvero da sinistra verso destra, ma questa è solo una scelta.
Nel dettaglio, i principi del patrimonio africano sono:
Umoja, il principio che aiuta a mantenere l’unità nella famiglia e nella comunità.
Kujichagulia, autodeterminazione che consente di essere responsabile e di parlare per se stessi.
Ujima, il principio che regola il lavoro collettivo fatto per costruire e mantenere una comunità.
Ujamaa, la cooperazione economica, messa in atto per supportare gli altri.
Nia è lo scopo primario, che permette di costruire e sviluppare la comunità per il bene di tutti.
Kuumba è la creatività che consente di lasciare una comunità migliore alle generazioni future.
Imani, il principio che permette di credere in qualcuno (nei genitori, nelle guide, nei leader).
La popolarità del Kwanzaa è diminuita in concomitanza con il calare della popolarità del movimento separatista nero, e, anche se è piuttosto difficile offrire una stima precisa delle persone che lo celebrano, un’indagine di marketing promossa dalla National Retail Federation nel 2015 ha rilevato che l’1,9% degli intervistati prevedeva di celebrare il Kwanzaa, pari a circa sei milioni di persone negli Stati Uniti.
Naturalmente, ci sono anche delle critiche alla celebrazione, ad esempio da parte di alcuni gruppi cristiani, che giudicano la festa pagana e persino razzista, aggiungendo che non è festeggiata in Africa e che il suo solo scopo è quello di allontanare i neri cristiani dalla celebrazione del Natale; molti mettono poi in discussione la reputazione del suo fondatore, Maulana Ndabezitha Karenga, che negli anni ’70 è stato condannato per aggressione criminale ai danni di due donne nere dell’Organizzazione Us, un gruppo nazionalista nero al quale è ancora affiliato.
Infine, c’è chi sostiene che l’uso dello swahili non rappresenti affatto la comunità afroamericana, in quanto la tratta degli schiavi ha interessato soprattutto l’Africa Occidentale e non quella Orientale, in cui questa lingua è più diffusa.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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