Cos'è la ball culture e la nascita del voguing
Una storia di riscatto e accettazione: quella della ball culture e del voguing non è solo la storia di una competizione di danza, ma di un safe space per la comunità LGBTQI+ e le persone razzializzate.
Una storia di riscatto e accettazione: quella della ball culture e del voguing non è solo la storia di una competizione di danza, ma di un safe space per la comunità LGBTQI+ e le persone razzializzate.
A dar vita a una sottocultura unica, che unisce sfide in passerella e strutture socio-familiari inedite, è stata proprio la voglia di rivalsa e la necessità di creare un safe space da parte di tutte quelle persone – omesessuali, donne e uomini trans, afroamericani e latinoamericani – marginalizzate (spesso anche violentemente) dalla società e dalle leggi del “paese delle libertà”.
Persone che, negli scantinati e nelle sale scure e fumose di Harlem in cui i primi ball sono nati a partire dal 1964 hanno potuto trovare un luogo in cui potersi mostrare con orgoglio, senza dover nascondere se stessi e la propria identità. Non solo: nelle house che li hanno accolti, hanno trovato una famiglia, dopo che quella di origine li aveva rifiutati.
La Ball Culture – conosciuta anche come ballroom culture – può essere definita come un insieme di persone raggruppate in house (famiglie) che si sfidano partecipando a ball (competizioni, dette anche “funzioni”), suddivise in categorie.
Le competizioni sono espressione di un insieme di linguaggi, di concetti, categorie, movenze e slang che sono unici e propri di questa sottocultura. I partecipanti “camminano” o “competono” su un palco o una passerella, esibendo il loro abbigliamento insieme al loro personaggio per diverse categorie e sono giudicati in base all’abbigliamento, all’aspetto e ai movimenti, mentre un MC – il “maestro di cerimonie” – commenta la gara.
La ball culture, come abbiamo visto, ha un linguaggio e concetti originali, oltre a un insieme di regole che devono essere rispettate per poter gareggiare nelle competizioni. Ad ogni ball, ad esempio, sono ammesse alcune categorie, elencate di volta in volta attraverso indicazioni di genere o di orientamento sessuale, come
In alcuni casi, le indicazioni non riguardano l’identità e l’espressione di genere o l’orientamento sessuale, ma altre caratteristiche. È il caso di “Virgin” (chi partecipa alla categoria per la prima volta), “Beginner” (chi partecipa alla categoria da meno di un anno); “Legendary” (riservato alle legends), “Big Boy/Girl” (riservata ai partecipanti di taglia forte, solitamente dai 113 kg in su, che in caso di competizioni femminili è chiamata anche “Liscious”).
Le categorie non servono solo a definire chi parteciperà alla sfida, ma anche quale sarà l’oggetto del contendere: le competizioni, infatti, hanno un focus specifico, definito attraverso una precisa categorizzazione.
Nella categoria Runway, ad esempio, ci si sfida sulla capacità di sfilare; nella Fashion si punta ad avere il miglior vestito/accessorio richiesto dalla categoria mentre nella Face, competizione in cui “vendere il proprio viso” esaltandone le qualità attraverso gesti, espressioni e, se concesso, il trucco.
Ma ci sono anche “Realness”, in cui ci si confronta sulla capacità di essere quello che la categoria richiede, Sex Siren in cui la sfida è a colpi di sex appeal o ancora Body, in cui a essere oggetto di competizione è l’esibizione del proprio corpo.
La ballroom culture, però, non è solo una competizione in passerella, ma l’espressione di valori autentici e strutture sociali uniche. Negli anni ’60, molti dei partecipanti non potevano esprimere apertamente la propria sessualità e identità di genere all’interno delle loro famiglie biologiche. Le “house” sono nate per colmare questo vuoto e, per molti, sono state la sola e unica famiglia che li ha accettati per quello che erano.
Molti giovani omosessuali si sono uniti al ball giovane età e le house sono diventate la loro vera casa. Queste famiglie alternative sono guidate da “madri”, che sono per lo più butch queen (uomini gay) o femme queen (donne transgender) o “padri”, che sono per lo più butch queen o butches (uomini transgender).
I genitori sono a capo della famiglia e sono modelli e mentori per i loro “figli” che, generalmente, prendono il loro cognome quando entrano a far parte della casa. Le houses competono insieme durante i ball, sviluppando uno stile tutto loro.
Tra le categorie di ball, la più conosciuta è sicuramente il voguing: si tratta di uno stile di danza che, sebbene sia stato reso mainstream da Madonna con la celeberrima Vogue e i tour degli anni ‘80, è nato proprio nelle sale fumose della ball culture degli anni ‘70 come espressione della comunità LGBTQI+.
L’origine non è certa, anche se secondo alcune leggende sarebbe stato creato dai prigionieri gay nelle carceri di New York per divertire i compagni di cella ed evitare di subire soprusi e violenze. Quello che è certo è che questo ballo non è una creazione di Madame Ciccone, nonostante il titolo di “Mother of voguing” di cui si è insignita da sola, ma un’emanazione diretta della ball culture, ispirata – nomen omen – alle modelle sulle copertine della rivista Vogue, che venivano imitate con pose plastiche, ammiccanti e seducenti.
In Italia, la ballroom culture è un fenomeno sempre più diffuso, anche se ancora molto di nicchia: ogni mese è organizzato almeno un ball, in varie zone del paese.
Rispetto alla ball culture statunitense, che è approdata in Europa attraverso Parigi, la componente prevalente è quella della danza, come hanno spiegato i membri della Kiki House of Savoia – una delle più importanti houses italiane – a Outsider Webzine:
in Italia, potrebbero pensare che la ball culture sia puro vogue, un ballo che ormai è diventato molto famoso in Italia e di cui si tengono veri e propri corsi, e che viene praticato durante le function. Non è esattamente così: certo, la ball culture contiene anche il ballo, ma è solo una delle componenti presenti al suo interno. Il problema è che in Italia la ball culture si è sviluppata inizialmente quasi solo come danza, e forse per questo si è diffuso questo tipo di idea. […] Il difficile è stato importare non solo le caratteristiche meramente performative delle competizioni, ma anche, appunto, tutta la cultura che ne sta dietro: motivazioni, obiettivi, ideali, storia e valori. La ball culture è un mix di tutto questo ed è necessario che continui a crescere senza perdere di vista le sue fondamenta – se lo facesse, si trasformerebbe in una sterile competizione fine a se stessa.
Curiosa, polemica, femminista. Leggo sempre, scrivo tanto, parlo troppo. Amo la storia, il potere delle parole, i Gender Studies, gli aerei e la pizza.
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