Il cambiamento climatico influisce sulla fertilità
Non si fanno più bambini, è vero. E al peggiorare della crisi climatica se ne faranno sempre meno.
Non si fanno più bambini, è vero. E al peggiorare della crisi climatica se ne faranno sempre meno.
Non si fanno più bambini, è vero. E al peggiorare della crisi climatica se ne faranno sempre meno. Al contrario di quanto si crede, però, non sarà solo una questione di scelte individuali ragionate sull’impatto delle nuove vite o del mondo a cui le si consegnerebbe. La comunità scientifica ci avvisa, gli studi aumentano e le evidenze empiriche confermano : il cambiamento climatico influisce sulla fertilità.
Nel 2018 il declino demografico italiano contava appena 439.747 nuovi nati, un record che certifica una controtendenza rispetto a quanto registrato a partire dal 1861, quando fu fatta l’Italia Unita.
Le ragioni sono molteplici e alcune sono connesse ad importanti, e positivi, cambiamenti culturali. L’aumento della capacità di agency delle donne, il diritto all’aborto, l’aumento dell’occupazione femminile e dell’età media di matrimonio riducono il numero di nascite. Il che è un bene, perché si tratta di un guadagno esistenziale per tutta quella parte di popolazione costretta a partorire figli su figli, forza lavoro e capitale del patriarca. La possibilità di scegliere se avere figli o meno non è inedita, ma generalmente giovane ed è infatti molto giudicata dalla morale comune.
Eppure, l’idea di avere figli, per molti comincia a essere fuori discussione, come pensare di programmare la nascita e il futuro di un bambino quando il futuro del pianeta verte verso prospettive disastrose? In particolare, il nostro paese sarà investito da una commistione di siccità, desertificazione, alluvioni e esondazioni, il mare avanzerà e i ghiacciai si scioglieranno con progressiva frequenza, il tutto condito da un’economia stagnante senza possibilità concrete per la gioventù e il suo know how.
Insomma, pensare di generare un bambino destinato alla disoccupazione e, tra non molto, alla migrazione climatica verso paesi che sappiamo non essere campioni di accoglienza, non è esattamente ciò a cui dei potenziali genitori ambiscono. Soprattutto visto che, nel caso di una bambina questa si troverà ad affrontare asperità persino maggiori, gettare le bambine del futuro nella spirale della misoginia e del cambiamento climatico non è decisamente l’ambizione con cui si decide di fare un figlio.
Il cambiamento climatico sta già modificando il tasso di fertilità, uno studio della UCLA ha rivelato che in presenza di ondate di calore il tasso di natalità negli USA precipita a nove mesi dall’evento.
Uno studio affine, effettuato questa volta in Cina, ha correlato l’esposizione ad un aumento del 10 μg/m3 in PM2.5 (Polveri sottili con dimensioni minori o uguali a 2,5 micron) ad una decrescita della fecondità dell’11% e ad un aumento del rischio di infertilità pari al 20%.
Il cambiamento climatico avrà – e sta iniziando ad avere – un impatto economico notevole, passibile di modificare non solo le relazioni di produzione ma anche le modalità con cui queste influiscono sulla scelta di fare figli o meno. Non si tratta solo di avere meno soldi e meno possibilità di mantenere un figlio, piuttosto di una modifica strutturale delle mansioni. Nei paesi del Sud del mondo il cambiamento climatico impatterà in maniera preponderante il settore agricolo, aumentando la richiesta di manodopera non specializzata.
Il numero di figli potrebbe quindi aumentare, ma a discapito della loro educazione e della loro libertà di agency, soprattutto per le bambine. Al contrario, nel nord del mondo le contratture economiche e la minaccia all’agricoltura risulteranno in un incremento del livello di educazione dei pochi, sempre più pochi, figli fatti.
Le tendenze non solo localizzate, ma globalmente diffuse quasi a rimarcare che, sebbene le istituzioni non vi abbiano ancora fatto pace, il cambiamento climatico ci riguarda tutti. In Malesia, ad esempio, si è riscontrato che il cambiamento climatico, oltre a causare modifiche sociali e strutturali, ha innescato un cambiamento nella diffusione di patologie, modificando di conseguenza la salute della regione. Nello studio sono prese in considerazioni sia le interferenze dirette, come le “alterazioni fisiologiche indotte dal calore che alterano la struttura e le funzioni a livello tissutale o cellulare o interrompono l’orchestrazione degli ormoni che regolano le funzioni riproduttive”, sia quelle indirette come la modifica delle relazioni socio-economiche.
Quando si parla di fertilità c’è un profondo bias che inficia la qualità divulgativa e medica, frutto di un pregiudizio che affonda le sue radici alle origini del patriarcato, ovvero la colpa iniquamente attribuita sulla base dei rapporti di genere. La colpa della mancata presenza di un feto nell’utero viene nella stragrande maggioranza dei casi attribuita alle donne. E anche quando la scienza buca il pregiudizio cancellando la validità di questa attribuzione, subentrano gli schemi patriarcali a ripristinare le differenti modalità con cui questi eventi impattano la vita delle donne.
Quest’anno, il Congresso nazionale ‘Natura Ambiente Alimentazione Uomo’ della Società Italiana di Andrologia (SIA) ha lanciato l’allarme : gli uomini in Italia sono del 50% più infertili rispetto a 40 anni fa, tant’è che un uomo italiano su 10 lo è. Gli esperti hanno connesso l’aumento dell’infertilità all’aumento delle temperature, un aumento di un grado genera un aumento dello 0,1% della temperatura scrotale, cambiando la qualità dello sperma e arrivando a comprometterne la fertilità.
Dunque, con la fertilità a rischio le popolazioni subiranno drastiche modifiche. Principalmente in termini di diritti. Perché se è vero che la demografia dei paesi può essere svecchiata aprendo le frontiere e accogliendo le popolazioni migranti, è altresì vero che la xenofobia razzista di alcuni paesi lo impedisce. E non sorprende trovare tra i gerontostati alcuni dei paesi più restii ad accogliere le persone che migrano, Italia compresa.
Ci sono già fazioni politiche che regolarmente minacciano il diritto all’aborto, questi dati relativi al cambiamento climatico rischiano solo di incentivarli dando loro una giustificazione che trascenda la vetusta parabola cattolica della difesa dei feti. In Italia il diritto all’aborto è già virtualmente inaccessibile in molte regioni. La 194 cerca di resistere, ma anziché essere migliorata, si trova ad essere costantemente compressa da una mole di bigottismo e dai numeri dell’obiezione di coscienza. Le persone con utero, si ritrovano quindi con una manciata di stigma nella mano e di restrizioni nell’altra, oppresse dalla dimensione sociale che le vuole genitrici a tutti i costi e da quella della politica xenofoba i cui esponenti chiamano alla difesa delle gestazioni forzate come resistenza all’arrivo delle persone migranti.
Le prospettive non sono rosee, ma la consapevolezza sociale può essere un efficace contraltare. Onde evitare di ritrovarci persi in una bollente Gilead, con donne costrette a procreare e anzianissimi politici sempre pronti a chiudere, chiudere, chiudere, dobbiamo capire che sì, il cambiamento climatico inficia la salute riproduttiva, ma che il diritto non può esserne minato.
Nata e cresciuta in Comasina, è una fotografa e una scienziata politica specializzata in relazioni internazionali e politiche globali, si occupa di disuguaglianze, espulsione sociale con un’ottica intersezionale e antispecista.
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